lunedì 30 marzo 2009

RECENSIONE DISCO - The Music Lovers - Masculine Feminine

PUBBLICATA SU INDIE-ROCK.IT

Music Lovers:
Masculine Feminine

ANNO: 2008
ETICHETTA: Sleeping Star

"Se si decidesse di usarlo come sottofondo per una cena romantica con l'amore della propria vita, sarebbe l'ideale"

VOTO: 7

GENERE: elegant-pop, since 2003 (come recita il loro sito web).

PROTAGONISTI: questi 'Amanti della Musica' sono una band di sei elementi provenienti da San Francisco. I componenti: Matthew Edwards (voce), Jon Brooder (basso), Bryan Cain (chitarra), Kate Weeks (tastiere e viola), Ping Chu (batteria), Isaac Bonnell (piano).

SEGNI PARTICOLARI: terzo album su Le Grand Magistery (in Italia esce per Sleeping Star) dopo 'The Words We Say Before You Sleep' e 'The Music Lovers Guide For Young People'.

INGREDIENTI: un pop al di fuori della comune denominazione. La band di San Francisco non ripropone la solita formula, ma cerca di articolarsi in un percorso più ricercato, più alto. A dar man forte alla splendida voce di Edwards, ci pensano arrangiamenti jazz, swing, soul, i quali impreziosiscono il suono in svariate occasioni.

DENSITA' DI QUALITA': non c'è che dire, dentro questo album c'è una ventata di 'intelligenza' enorme. Che però risulta essere sia il punto forte che il punto debole del lavoro in questione. 'Masculine Feminine' non è un disco d'impatto, da primo ascolto. Per esemplificare, se si decidesse di usarlo come sottofondo per una cena romantica con l'amore della propria vita, sarebbe l'ideale. Ma se lo si volesse utilizzare come sottofondo per una cena romantica durante la prima uscita con una ragazza, si potrebbe passare per noiosi e intellettualoidi. L'iniziale 'Blackout' è un ottimo esempio di Music Lovers: pop ricercato arricchito da echi di jazz e swing. Subentra a sprazzi un'anima più sbarazzina, come in 'Saturday' o 'A Word From Your Faschion Editor', a contrapporsi ad episodi di gran liricismo come 'Autumn Royal' (la sezione d'archi è grandiosa) e al puro sentimento di 'The Wherewithal'. Ad arricchire tutte le composizioni è la voce di Matthew Edwards, profonda ed aristocratica. Un barocchismo indispensabile per mantenere tensione durante l'intero svolgimento del disco. Per chi ama la musica. E vuole sentirla e scoprirla ascolto dopo ascolto.

VELOCITA': camminare in un riservato salotto altolocato.

IL SITO: 'Myspace.com/themusiclovers'; 'Themusiclovers.net'.

Mattia Barro

RECENSIONE - Metronomy (La Casa 139, 1-3-09)

PUBBLICATA SU INDIE-ROCK.IT

1-3-2009
Metronomy @ La Casa 139, Milano
Chi conosce i Metronomy sa più o meno di cosa si parla quando li si definisce 'Geniali'. Trovate intelligenti e divertenti nei videoclip quanto nei live. Pose plastiche, coreografie, giochi di luce (oltre alle ormai consuete luci rotonde sul petto, si aggiungono quelle inserite nelle chitarre e tenute al polso).

I brani proposti in scaletta sono tutti ballabili e presentano sempre qualche buono spunto. I singoli estratti ci sono tutti e stupisce come, qualsiasi canzone, pare essere un papabile singolo futuro. La formula sulla carta è semplice: tre tastiere accompagnate a tratti da basso, chitarra e sassofono sopra le ritmiche in uscita dal Mac. Trame elettroniche con riff di tastiera appiccicosissimi, canto spesso in falsetto aiutato da cori e controcori ('Holyday', in apertura, ne è la sintesi).

Ogni componente della band, sul palco, diviene solista nel gruppo. Si viene quindi rapiti dai saltelli sia fisici che musicali di Oscar Cash (vero leader visivo), dall'autocelebrazione di Gabriel Stabbing e dal simpatico atteggiamento del cantante Joseph Mount ("The friendliest man in pop" per l'NME).

Un concerto davvero piacevole. I Metronomy garantiscono divertimento e interessante musica da ballare. Per chi era arrivato in Italia di spalla ai Bloc Party qualche anno fa, l'affermazione è finalmente giunta: signori e signore, ecco a voi i Metronomy.

Mattia Barro

RECENSIONE - Dente (Magnolia, 3-3-09)

PUBBLICATA SU INDIE-ROCK.IT

3-3-2009
Dente @ Magnolia, Segrate (MI)
Sarà che è martedì sera, sarà che pioviggina, sarà che non c'è il mare a Milano. Probabili ragioni per spiegare la freddezza iniziale del pubblico milanese che subito si scontra con lo spiccato umorismo e la vivacità attitudinale di Dente. Accompagnato da tastiera, basso e batteria, il cantautore italiano, finalmente alla sua consacrazione su larga scala, presenta il suo nuovo disco con un lungo live diviso in tre parti.

Si inizia con un trittico tratto dall'ultimo lavoro, con 'A Me Piace Lei', 'Incubo' e 'Buon Appetito', ma Dente non si dimentica dei precedenti lavori, anzi, ne ripesca i suoi massimi esponenti come 'Canzone Di Non Amore', 'Baby Building', '28 Agosto' e molte altre.

C'è sempre grande intensità nei brani proposti e il pubblico, pian piano, si lascia rapire dal cantautorato dolce e raffinato del nostro Giuseppe Peveri. Sono tutte esecuzioni di alto livello, intramezzate da simpatici siparietti (auto)ironici di Dente che riesce pienamente a conquistarsi una folla che pareva, addirittura, scettica nei suoi confronti. Spesso è lo stesso cantautore, però, a dover rimbrottare i disattenti (a dir poco) fonici, persi "a farsi le canne" invece di aggiustare la voce del tastierista che sparisce a tratti e che non pare venga notata dagli addetti ai lavori a fondo sala.

Dopo una lunga scaletta (che si conclude con la cover di 'Verde' dei Diaframma), congedandosi con la frase "Vado. Vado a fare pipì", il cantautore di Milano ritorna sul palco poco dopo in solitario (e con aureola in testa) per una ricca proposta di canzoni voce-chitarra. I brani storici sembrano quelli più amati ed aspettati dal pubblico che, quando può, si lascia andare ad un canto leggero di supporto.

Recuperata la band, c'è ancora un ultimo spazio dedicato ad altre canzoni di non amore prima della definitiva conclusione che, però, viene ancora rimandata da Dente, affamato di palco, che torna per i "bisses". Si riparte con 'Parlando Di Lei A Te', in cui c'è un intenso duetto tra pianoforti, per concludersi, stavolta definitivamente, con 'Beato Me' (tratto dalla fresca compilation 'Il Paese è Reale').

Seguendo le buone impressioni ottenute con The Niro e Vasco Brondi, Dente mantiene alto il percorso cantautorale intrapreso dai giovani talenti italiani in quest'ultimo periodo. Portando sul palco ironia (è straordinario l'atteggiamento che mantiene con il pubblico) e una lunga (quasi un'ora e mezza) e alta e straordinaria qualità musicale, un concerto di Dente si rivela la semplice formula della felicità.

Mattia Barro

INTERVISTA - Handsome Furs

PUBBLICATA SU INDIE-ROCK.IT

Interview: Handsome Furs
Arriviamo alla Casa 139 e Dan e Alexei, marito e moglie uniti musicalmente nel nome di Handsome Furs, sono alle prese con un set fotografico. I due canadesi sembrano cool rockstar da cui sarà difficile estrapolare qualcosa. Ma dopo alcuni scatti svelano la loro anima divertente e socievole. Cambiando completamente l'idea che ci eravamo fatti ad un approccio puramente visivo, ci sediamo con loro per una deliziosa chiaccherata.

Indie-Rock.it - Siete un duo e siete marito e moglie. Quando vi siete conosciuti e avete iniziato a vivere ed a lavorare insieme?

Dan - Ci siamo conosciuti circa 5 anni fa.

Alexei - Lavoravamo in uno stesso call center a Montreal.

Dan - Entrambi avevamo una relazione in corso e una forte attrazione reciproca. Continuare a vederci ogni giorno ci faceva impazzire. Così abbiamo lasciato quel lavoro e, praticamente, per due anni non ci siamo più visti. Ci siamo poi incontrati nuovamente 3 anni dopo a Vancouver, dopo un concerto coi Wolf Parade. Avevamo chiuso con le nostre passate relazioni e allora abbiamo iniziato a vederci. Siamo andati a vivere insieme in un appartamento minuscolo, abbiamo formato gli Handsome Furs e siamo andati in tour, principalmente nel nord Europa.

Alexei - Il nostro primo live è stato ad Oslo.

Che differenza riscontrate tra la vostra relazione sentimentale e quella lavorativa?

Dan - Non so quale sia la differenza...

Alexei - Come facciamo sesso a letto, lo facciamo anche sul palco!

Dan - Di certo è molto differente dal suonare con una band. Non ci sono quel genere di tensioni. La musica è gran parte della nostra vita, del nostro rapporto. Di sicuro ci sono molte differenze, ma per come la viviamo ora, non saprei elencartele.

Potreste essere comparati ad un'altra famosa coppia di Montreal, il nucleo fondante degli Arcade Fire...

Alexei - Sì sì, oltretutto Dan ha suonato il basso negli Arcade Fire.

Dan - Sì, ero un loro membro agli esordi. Arlen (Wolf Parade) ha suonato la batteria in un loro brano ('Wake Up'), mentre io sono uscito dalla band prima delle registrazioni del disco. Proprio in quel periodo stavamo formando i Wolf Parade e, sia io che Arlan, abbiamo deciso di concentrarci solo su quello.

Rimaniamo ancora sui Wolf Parade. Dan, come cambia il tuo approccio nel suonare con la tua band invece che con Alexei?

Alexei - Non fa sesso sul palco!

Dan - E' completamento diverso, è proprio un altro mondo. Con la band, il nostro flusso creativo lo troviamo jammando in studio per un lungo periodo. Di solito ci troviamo io, Spencer e Arlan. E' un processo totalmente diverso rispetto a quello che accade negli Handsome. Convivendo con Alexei, quando un'idea nasce, la buttiamo sulla drum machine velocemente.

Alexei - Possiamo lavorarci poi su la notte, o la mattina. Fermarci per cena e riprendere rapidamente.

A tal proposito avevamo preparato una domanda, fate musica prevalentemente a casa o in studio?

Dan - Entrambi.

Alexei - Ora stiamo principalmente lavorando in studio dove cerchiamo di perfezionare ed arricchire la traccia o l'idea che è nata precedentemente a casa.

Dan - In studio, potendo lavorare in zone separate, riusciamo a chiarire meglio la direzione che sta prendendo il brano. Oltretutto è davvero vicino a casa, quindi ci andiamo spesso anche se dobbiamo farci una fottuta camminata.

Alexei, tu sei una scrittrice. Puoi parlarci di questa tua carriera?

Alexei - Scrivo storie brevi, dialoghi, cose così. Molti sono stati pubblicati per riviste o siti internet.

Chi scrive i testi delle vostre canzoni?

A: entrambi.

E quali sono le maggiori difficoltà che hai trovato nel passare da scrivere questo genere di cose a scrivere liriche per canzone?

Alexei - Scrivere le liriche è stata davvero una grande sfida per me. E lo è ancora. E' totalmente differente. Ciò che scrivo normalmente è più articolato, posso dilungarmi e perdermi di più su qualche questione o qualche particolare.

Dan - Personalmente, credo che la sfida più grande per Alexei sia rendere poetica la canzone. Il 90% delle canzoni rock ha questo problema. Ciò che scrivi su carta spesso sembra perfetto, ma la difficoltà sta nella capacità di trasportare quelle sensazioni all'interno della canzone e unirle al mood musicale. Non è solo il testo che ha importanza, ma soprattutto il modo in cui lo canti. E anche se a volte le liriche appaiono semplici, cambiando la maniera di interpretarle vocalmente, cambia il loro significato.

Alexei - L'obiettivo è scrivere qualcosa di pulito ed immediato che arrivi.

Qual'è la principale ragione che vi spinge a fare musica?

Dan - Non potrei fare nient'altro. Credo che questo valga anche per Alexei. Ho provato a fare lo chef andando in delle scuole professionali apposite. Ma quando la musica arriva, ti distrugge tutte le carriere intelligenti che avresti potuto percorrere. Avevo una carriera da chef, ma l'ho buttata via per andare in tour.

La musica è strutturata su più livelli. Una parte ritmica, una melodica e così dicendo. La loro somma forma il suono. Quale è la vostra relazione con il 'suono'?

Alexei - Per me dipende dalla singola canzone che stiamo producendo. A volte cerchi di creare una determinata atmosfera e ti concentri su quello, altre volte vuoi soltanto musicare il rumore.

Dan - Io prediligo la semplice melodia. Una buona struttura, con una melodia diretta e rumore nel background. Per questo apprezzo i Sonic Youth o altre robe del genere. E' il suono con cui sono cresciuto. Quella musica che spesso si avvicina al confine della non-musica.

Quali sentimenti avevate durante la lavorazione del primo disco e quali avete inserito in quest'ultimo?

Alexei - Il primo album è nato dal nulla, senza aver avuto esperienza live insieme. Questo, invece, cresce con alle spalle una lunga militanza sui palchi che l'ha portato ad adattarsi e a vestirsi di un'anima più rock, più veloce, più groovy.

Dan - Il primo è nato rapidamente. Mentre i brani di quest'ultimo li abbiamo provati in tournée. Erano molto più rumorosi in principio, poi ci hanno rubato la drum machine e abbiamo dovuto riprogrammare tutto su di un'altra. Durante questo procedimento abbiamo accelerato le tracce. Finito il tour avevamo abbastanza materiale per completare 'Face Control', il quale è un lavoro più focalizzato, al contrario di 'Plague Park' che è nato in una vena più istintiva. Amo quel disco ma ora non ci rappresenta più completamente, siamo cambiati. Abbiamo viaggiato molto.

Il vostro continuo viaggiare come influenza la vostra musica?

Alexei - Molto. Un album come 'Face Control' dipende gran parte dai nostri viaggi e dai nostri spostamenti. L'incontrarsi con popoli di culture storicamente diverse. E' cambiato il modo di scrivere e di approcciarsi alla musica. Le idee venivano a crearsi rapidamente viaggiando, in studio le abbiamo semplicemente sviluppate e concluse.

Dan - Abbiamo fatto foto dei vari posti che abbiamo visitato e in studio, riguardandole, cercavamo di recuperare quelle sensazioni...

Alexei - Ad esempio, suonare provando a sognare Mosca. Con ciò che ci aveva trasmesso.

I nomi dei vostri dischi derivano da episodi o posti reali. Potete raccontarci le storie che si celano dietro ad essi?

Dan - 'Face Control' è una sorta di dress-code, un'usanza russa. Club e ristoranti russi hanno sulla porta questi enormi uomini che ti guardano, ti squadrano e decidono se puoi entrare o no. Anche se hai già pagato soldi per prenotare un tavolo, all'entrata, questa persona può decidere di non farti entrare. Non è un vero e proprio controllo dell'abbigliamento, decidono in base al tuo volto. E' un controllo del volto.

Alexei - 'Plague Park' è una località in Finlandia, nella sua capitale, Helsinki. E' un parco dove sono sepolte centinaia di persone ed è strano vedere quanta vita c'è e quanto è magnifico l'ambiente li intorno. In primavera, addirittura, c'è un enorme festa su questi campi verdi e tutti bevono birra. E' strano percepire tanta vita sopra così tanta morte. A Helsinki è tutto così fantastico, così suggestivo.

Avete un forte legame con la Scandinavia, non avete mai pensato di trasferirvici?

Alexei - Ci andrei subito. Mollerei tutto per andare li, ora. E' Dan che non vuole trasferirsi. Soprattutto per via dei Wolf Parade.

Dan - A me piacerebbe spostarmi a Siracusa. L'Italia è stupenda. Siamo già stati qua qualche volta e l'amiamo. Siamo stati vicino a Siracusa, in vacanza, ed era fantastico come la gente si relazionava con noi. Credo sia un paese incredibile. A partire dalle persone. Sono affascinato da questo forte carattere che avete.

Avete un tour incredibile. Date in tutta l'Europa e per il resto dell'America e del mondo. Che diverse sensazioni ricevete dai vari paesi?

Dan - I ragazzini, soprattutto negli USA, sono entusiasti, ma rimangono a guardarti con il loro cellulare o il loro iPhone, ti filmano e ti riguardano poi su YouTube il giorno dopo. Ti applaudono ma non esprimono quelle emozioni che rivedranno online o scriveranno su qualche blog. Tutto ciò mi disorienta. E' un vivere la realtà senza parteciparci. In Italia, ad esempio ieri a Brescia, invece, parlano, ascoltano, danzano, restano li con il loro bicchiere di birra, fan casino, applaudo, partecipano. E la gente è di qualsiasi età. Non è settoriale.

Alexei - All'est, d'altro canto, ti guardano con profondo interesse. Porti una grossa novità. E per questo, la folla è decisamente più casinara e rapita dallo show.

Dan - In USA ci sono i ragazzi dal college, in Europa c'è una platea più matura.

Alexei - E in Europa si mangia meglio.

Dan - Tranne in Inghilterra. Lì il cibo fa schifo.

A proposito di questi ragazzini iper tecnologici, nel vostro MySpace, nella biografia, c'è una forte critica verso la YouTube generation. Qual'è la vostra opinione a riguardo?

Dan - In paesi come Canada e, specialmente, negli Stati Uniti, internet è diventato un mezzo prevalente nelle comunicazioni personali. Nel sito dei Wolf Parade, dove la gente ci chiede prevalentemente informazioni sui dischi o sul tour, abbiamo dovuto rimuovere parecchi commenti di gente che ci buttava dentro la sua merda personale. Trovo figo, invece, che vengano postati i video dei concerti.

Alexei - L'uso di internet dipende molto da dove ti trovi. In molte zone è usato al fine di scoprire qualcosa di diverso su cui dialogare.

Dan - In Nord America e nell'Europa occidentale è diventato il mezzo prioritario per informarsi e parlarsi. Ne sono critico perché penso sia difficile apprezzare qualcosa in quella marea di informazioni...

Alexei - Che spesso finiscono per essere approssimate e poco accurate.

Una domanda prettamente tecnica, qual'è la vostra strumentazione?

Alexei - Io uso un MicroKorg. E una drum machine di produzione scandinava.

Dan - Io invece una Fender Telecaster prodotta in Messico. Un chitarra di ottimo rapporto qualità/prezzo e che si sposa bene con dei pedali stranissimi che mi porto dietro.

Giusto qualche giorno avevamo una discussione sul valore del MicroKorg. Credete che verrà ricordato come il 'suono' di questi anni?

Dan - Credo sia uno strumento straordinario! Ha la capacità di creare dei suoni pazzeschi. Ha tutte le carte in regola per diventare un modello di riferimento di questo periodo.

Alexei - Ora davvero in molti ne fanno utilizzo. La vera sfida sta nell'usare il MicroKorg in un modo originale in cui nessuno è ancora riuscito.

Siete sotto contratto con la Sub Pop, come gli italiani Jennifer Gentle. Li conoscete?

Dan - Si, li abbiamo visti l'altra sera. Sono fantastici. Ne abbiamo parlato con dei ragazzi di Bologna di come è assurdo che in Italia siano così poco conosciuti ed apprezzati.

Alexei - Sono davvero bravi.

Dan - Sai, anche la Sub Pop non capisce perché non abbiano mercato qui da voi...


Mattia Barro con la collaborazione di Roberto Grosso Sategna

RECENSIONE DISCO - Fever Ray - Fever Ray

PUBBLICATA SU INDIE-ROCK.IT

Fever Ray:
Fever Ray

ANNO: 2009
ETICHETTA: Rabid

"Ansioso e luminoso, piovoso ed innevato"

VOTO: 8

GENERE: electro-pop nordico.

PROTAGONISTI: Karin Dreijer Andersson: conosciuta al di fuori dai confini svedesi per gli ottimi risultati internazionali ottenuti, con suo fratello, nei Knife e per aver collaborato con i norvegesi Royksopp ('What Else Is There?') e i belgi dEUS ('Slow').

SEGNI PARTICOLARI: opera prima, da solista, per la cristallina Karin. Fever Ray arriva dopo il successo di 'Silent Shout', terzo disco in studio per i Knife. Anche l'esordio della Andersson è prodotto da Christoffer Berg, già dietro i comandi nei suoi progetti precedenti.

INGREDIENTI: electro a tratti molto minimalista, con scorci di arcobaleni. Il sole tra le neve appena posatasi su una struttura ritmica cupa.

DENSITA' DI QUALITA': Karin è, nel nostro immaginario, la voce dei ghiacci e delle nevi nordiche. Ha quel timbro inconfondibile che potresti riconoscere ovunque. Anche sotto ogni effetto e distorsione applicatole, la sua glaciale purezza è un dono limpido. 'Fever Ray' è un disco ansioso e luminoso. Piovoso ed innevato. Ad aprire questo suo esordio troviamo il primo singolo estratto, 'If I Had A Heart'. Una cupa trama sonora. Se avessi un cuore potrei amarti. Un dialogo claustrofobico tra una voce profonda e lontana e il pulito canto di Karin. 'When I Grow Up', tra i brani più riusciti, esprime magnificamente il liricismo della cantante svedese che si appoggia come solo lei sa fare su un beat minimalista ed una chitarra ritmica. 'Dry And Dusty' gioca ancora con il dialogo tra voci mentre 'Seven' cerca una via più electro, con un basso a strutturare il brano ed aperture sonore che si diffondono tra le pianure innevate della Svezia. La successiva 'Triangle Walks' si riempie di barocchismi divenendo uno dei lavori musicalmente più 'vivaci' di quest'opera. Al contrario, 'Concrete Walls' è un'altra traccia al piombo, grigia e cadenzata. Le liriche traggono spunto dalla seconda maternità di Karin. La composizione diviene un'anti-ninnanna, proprio come 'If I Had A Heart' può essere considerata, commercialmente, un anti-singolo. 'Now's The Only Time I Know' trova le migliori linee melodiche del disco amalgamandosi con una struttura ricca e aperta. Probabilmente l'apice della produzione Fever Ray che riusciamo a scovare. 'I'm Not Done' è un'altra perla, costruita attorno ad un beat complesso ed armonioso. Ampia e coinvolgente. 'Keep Streets Empty For Me' è, invece, completamente in balia della voce della Andersson: un tappeto sonoro dove Karin si adagia e lascia libero sfogo alle sue ansie e ai suoi desideri. In coda, 'Coconut'; un lento concludersi.

VELOCITA': si viaggia su binari nordici ai 100 bpm con qualche rara accelerata e qualche conseguente rallentamento.

IL TESTO: "I live between concerte walls / In my arms she was so warm / Eyes are open and mouth cries / Haven't slept since since summer", tratto da 'Concrete Walls'.

LA DICHIARAZIONE: da una dichiarazione della stessa Karin: "La metà delle canzoni vertono sul subconscio, sono idee di cose che succedono. Molte di esse riguardano il sognare di giorno, quando si è svegli ma stanchi; e molte delle storie sono realmente accadute nel mondo."

IL SITO: 'Feverray.com'.

Mattia Barro

INTERVISTA - Emidio Clementi (Massimo Volume)

PUBBLICATA SU INDIE-ROCK.IT

Fnac, Milano. Tardo pomeriggio. Emidio Clementi (Massimo Volume) finisce il reading composto da estratti del suo nuovo romanzo 'Matilde E I Suoi Tre Padri' e si ferma a salutare e ringraziare la coda di fan ed amici che strepitano dal bisogno di comunicargli qualcosa. Dopo essersi concesso ad ognuno di loro, Mimì mi fa strada fino ad un ufficio dietro la sala del reading. Si gira una sigaretta (la prima di molte) e iniziamo una chiaccherata sulla scrittura e sulla musica.

Indie-Rock.it - La decisione di riformare i Massimo Volume è data dal fatto che credevate di aver qualcosa di nuovo da dire o perché ritenevate che quello che avevate detto era ancora valido e da propagandare?

Emidio Clementi - In realtà è stato veramente un caso. Siamo stati contattati dall'organizzazione del Traffic di Torino per una doppia serata, comporre musica inedita per il film 'La Chute De La Maison Usher' e suonare con Afterhours e Patty Smith. Non potevamo dire di no. Noi l'abbiamo vissuta come un rimpatriata per un occasione speciale. Dopo ognuno di nuovo al proprio lavoro. Poi però rimettersi a suonare e risentire il nostro suono che esce... C'è sembrato attuale e ci siamo chiesti: "Perché no? Perché non rimettersi a suonare e fare un disco nuovo?". Forse però l'idea non sarebbe venuta a nessuno se non ci fosse stata quella chiamata.

State lavorando al disco nuovo. Che tratti avrà questo lavoro, a 6 anni di distanza dal precedente?

A questa domanda non so davvero risponderti. Siamo ancora agli inizi, è prematuro parlarne. Io vorrei salvaguardare la poetica dei Massimo Volume perché è qualcosa che ci appartiene. Naturalmente vogliamo però fare un disco che parli al 2009, non so a quale tipo di pubblico, ma vogliamo che sia attuale. Non possiamo ripartire dal 2002. Ma ciò che sappiamo fare, non voglio perderlo nel tentativo di attualizzarci.

Il vostro modo di fare musica si è comunque propagato nella musica contemporanea. Citiamo Offlaga Disco Pax e, in parte, Vasco Brondi de Le Luci Della Centrale Elettrica su tutti. Avresti mai pensato di riuscire a fare scuola?

No, no, assolutamente. Ne parlavamo anche tra di noi e notavamo che ciò che ci sembrava un limite dei Massimo Volume era che fosse un progetto un po' fine a se stesso, nel senso che era difficile trovare, per noi, vie di fughe da quell'attitudine. Invece così non è stato e ci fa davvero molto piacere che si sia creata, mettendo le virgolette, una scuola. Noi non abbiamo inventato nulla, non siamo stati i primi. Io sono cresciuto, ad esempio, con gli Starfuckers. 'Brodo Di Cagne Strategico' è un disco che mi ha ispirato molto. C'erano molti punti di contatto con ciò che poi avremmo fatto noi. Cito anche i CCCP, anche se la loro poetica l'ho sempre considerata molto differente. Ho apprezzato molto che Max (Collini, Offlaga Disco Pax) e Vasco parlino di questa nostra influenza nella loro musica. Inoltre con loro ho un rapporto d'amicizia.

Come è stato tornare sul palco dopo tutto questa lunga pausa?

Bello, emozionante. La gente lo aspettava da tempo. C'è stata una bella prova di attaccamento da parte del nostro pubblico, di affettuosità, di presenza. E' anche vero che questa volta abbiamo raccolto ciò che non ci era stato dato, tranne che con l'ultima tournée forse. Oltre a coloro che ci seguivano all'epoca, si è formata una nuova generazione che ha scoperto i nostri dischi ed ha avuto l'occasione di vederci dal vivo. Questo oltre a farci piacere, ha allargato la fetta del nostro pubblico.

E a livello di sensazioni?

Più che sensazioni, ho avuto le stesse paure di sempre. Molto profane. Il bello di un concerto lo recuperi alla fine, ma li per li, in un occasione come quella di Torino, dopo sei anni che non suonavo dal vivo, hai poco tempo di pensare a ciò che c'è stato prima. Controlli se il basso è accordato, se ti ricordi gli stacchi, se senti abbastanza la batteria. Si rimane molto sul pratico. Nel frattempo io ho continuato a salire sul palco, ma ciò che mi mancava di più era la potenza del suono. Mi son continuato ad esibire in cose più fragili, più a bassa voce, mi mancava la spinta del suono.

Come vivi i differenti approcci al palco, da una parte il reading e dall'altra il live con i Massimo Volume? E' la mancanza di potenza la più grande differenza?

Sì, sicuramente. Mi piace muovermi per il reading, è più snello e più rapido. Non c'è soundcheck e attrezzatura da montare e smontare. Ma, probabilmente, c'è qualcosa di più sacrale che circonda un concerto vero e proprio. Io voglio continuare a vivere entrambe le situazioni.

Come vivi l'intimità del reading? Probabilmente leggendo qualcosa di più tuo, non difeso dalla potenza sonora, metti più a nudo la tua anima di fronte agli sguardi delle persone.

Ormai non mi spaventa più di tanto. Ne ho fatti davvero tanti. Poi, in particolare con quest'ultimo libro, che ha poco di autobiografico, riesco ad essere anche un po' più distaccato.

Quando hai iniziato a scrivere?

Al liceo.

Hai sempre prediletto questa forma racconto, o hai provato a sperimentare altre vie di scrittura?

All'inizio erano cose molto semplici, frammenti. Molto simili a ciò che poi è divenuta la poetica dei Massimo Volume. Tutto si risolveva in una pagina. Dopo il primo disco che abbiamo prodotto, ho sentito l'esigenza di allargare i miei confini. Mi stavano stretti i 3-4 minuti della canzone. Il passaggio complesso è arrivato con la scrittura da romanzo. In un romanzo è difficile tenere presente tutta la storia e avere la struttura ben chiara e visibile. Un racconto breve ha il vantaggio di essere facilmente rileggibile, mentre in un romanzo è più difficile vedere dove stai portando la tua storia. Son contento della mia carriera da scrittore nella quale son riuscito a crescere un passo alla volta, partendo da una piccola casa editrice, senza che nessuno mi assillasse.

Scrivere partendo dalle proprie ossessioni. Credi sia questo che il punto da cui parti per scrivere o hai altri motivi?

Credo che nella scrittura di ognuno, compresa la mia, c'è sempre qualcosa che ritorna in ogni libro. Io mi chiedo spesso perché scelgo di parlare di certe persone invece che di altre, di cui magari conosco meglio la biografia e le caratteristiche. Però spesso mi rendo conto che reputo affascinante da raccontare il momento in cui una persona si trova da sola ad affrontare il mondo. Persone che nella solitudine devono affrontare una situazione. Infatti, più o meno, ho sempre parlato di questo. Credo che sia vero che siamo spinti da ossessioni. Non so se siano proprio ossessioni, ma considerando che tornano con una certa frequenza, forse è questa la parola esatta.

Come definiresti di per sé, o rispetto agli altri, 'Matilde E I Suoi Tre Padri'?

Rispetto agli altri c'è un cambio di passo abbastanza evidente. Sicuramente è un libro borghese. Di una borghesia magari illuminata, ma pur sempre borghese. Ho cercato di lavorare soprattutto sullo stile dato che parlo di argomenti come il '77, come il movimento a Bologna e le case occupate che sono già stati descritti molte volte con un grande carico di pathos e nostalgia. Io invece volevo parlarne con distacco, come se ne prendessi le distanze.

A differenza dei tuoi precedenti lavori, questo romanzo non è autobiografico. Quindi mi sorge spontaneo chiederti, quanto c'è di autobiografico in un romanzo non autobiografico?

Sempre abbastanza. Quando descrivi le reazioni o i sentimenti di alcuni personaggi è normale che ti rifai alle tue reazioni, o sentimenti, in determinate circostanze. In una qualche maniera ha profondamente a che fare con me stesso. Credo che in questo libro, tante cose che appartengono a Laura, ad esempio, siano mie. Devi comunque diluirle. Forse è un percorso più affascinante dell'autobiografismo in senso stretto.

Come hai vissuto l'evoluzione come scrittore e come musicista?

In parte è stato un percorso parallelo con vari punti di contatto. Nella band c'è un lavoro più di equipe e i cambiamenti risultano più repentini quando tutti si muovono dalla stessa parte, anche se spesso diventano più complessi. Dal punto di vista letterario, c'è stato un distacco sempre più maggiore dal mio vissuto. Già da 'L'Ultimo Dio', che è un lavoro molto autobiografico, riuscivo già a maneggiare con maggior cura l'immaginazione. Prima mi risultava più difficile.

Ho letto, in qualche tua intervista, che ti turba l'aver perso "gli orizzonti sconfinanti dell'adolescenza"? Cosa rimane della tua adolescenza?

E' una domanda difficile. Il nucleo di me è rimasto comunque inalterato, anche quando ho preso coscienza di me. Le mie insicurezze e i miei entusiasmi credo che agiscano sempre stimolati dalle stesse cose. In quello non sono cambiato. Però è vero che col passare degli anni, l'orizzonte diventa sempre più limitato e cominci a farci i conti. Ma d'altro canto, è anche rassicurante. Prima avevo orizzonti molto più ampi e riuscivo a stemperare le tensioni in un futuro che sarebbe stato completamente diverso. Adesso ho capito che l'unica cosa che mi resta da fare è affinare quei pochi ambiti in cui ho capacità. In questo caso la scrittura e la musica. Si vive sempre su un filo facendo l'artista, ma questo equilibro precario mi protegge in un qualche modo.

Come ha influito la tua paternità in questo?

Parlando a livello pratico, ho iniziato a scrivere il libro prima che Nina nascesse. Dopo la sua nascita mi è stato più facile descrivere Matilde, perché ho potuto proprio vedere in presa diretta i suoi atteggiamenti. In generale, come succede ad ogni padre credo, oltre alla stanchezza, la paternità porta un maggior senso di responsabilità. E' anche vero che i figli riescono a spegnerti i pensieri. Quando sono agitato, passare mezz'ora con mia figlia mi rilassa molto.

Qual'è lo scritto o lo scrittore a cui ti senti più legato?

La scrittrice che prediligo è Katherine Mansfield, la sento molto vicina.

E su ciò che hai scritto te? Con quale hai un maggiore legame interiore?

Non per sviare la domanda, ma mi piacerebbe ricompattare tutto ciò che ho scritto in un unico libro e dire "questo". Quello che ha più limiti, è il mio primo romanzo 'Il Tempo Di Prima', ma anche li, ci sono delle pagine che, rileggendole, mi piacciono. Nello stesso modo trovo difetti in ogni mio romanzo. Mi piacerebbe dire l'ultimo, perché è l'ultimo, perché è l'ultimo di un percorso. Però, forse...dai, 'L'Ultimo Dio'.

Città come Bologna e Torino appaiono ricorrenti e fondamentali con la tua vita. Com'è il tuo rapporto con queste città? Quanto influisce?

Molto. Ad esempio, in quest'ultimo lavoro ci sono anche gli Stati Uniti con San Francisco e New York. Luoghi che, per ironia, ho visitato dopo aver scritto certe pagine. Allora sono andato a visitarle controllando se avessi scritto tutto giusto. Sai, ora con 'Google Maps' sei comunque aiutato, anche solo a vedere le disposizioni dei vari locali. Però ti muovi su un terreno più scivoloso. Quando conosci una città, e ne scrivi, riesci a muoverti decisamente meglio.

Conclusasi questa risposta, gli addetti ai lavori della Fnac ci invitano cordialmente ad uscire dal locale e a svuotare il piccolo palco dove Emidio aveva eseguito il reading accompagnato da un chitarrista. Ci congediamo con un abbraccio. E qualche augurio.


Mattia Barro

giovedì 26 marzo 2009

"mi si son cariati i denti" - SDVQ

Metti gli Interpol a tutto volume e poi lanciati contro una parete e tira giù il mondo. Che ci facciamo un po' di spazio per noi almeno. Per noi che siamo andati a ballare sui cocci dei nostri sentimenti. Senti niente.
Che siamo caduti dentro le bottiglie di vodka vuote e ci siamo sbucciati le ginocchia. Ma abbiamo continuato a berci su. E ti ho detto che a vent'anni sembrano tutti artisti.
Sembri un artista conciata così.
Ci siamo smembrati gli occhi nel guardarci a fondo e infondo non abbiamo trovato nulla di meglio di un letto sul tetto del mondo e sai che tira un freddo della madonna. La madonnina di Milano che ci vomita addosso quando camminiamo a passi svelti sotto il duomo. Tuona.
Mi si son cariati i denti a dirti che forse provo qualcosa e a provare qualcosa nel camerino di Pull And Bear e sentirmi stupido e fuori luogo, da ritrovarmi in un camerino di H&M.
diotuo, che io non ce l'ho.

-Stralci Di Vita Quotidiana-
Mattia Barro

martedì 17 marzo 2009

"Gli organi delle chiese dove ci siamo sposati ubriachi" - SDVQ

Abbiamo donato gli organi delle chiese dove ci siamo sposati ubriachi. Proiettando le parole della Nostra canzone che non conosciamo e non abbiamo mai sentito. Storia di confine con la fine. E tra i nostri ingressi passano i tram. "Feeling" non è la parola esatta, ma è la prima che mi viene in mente, scriverebbe qualcuno.
Gli abiti e gli abc che scegli quando mi chiedi "sei felice, Charlie Brown?".
Aprire le parentesi coi cocci dei nostri cuori malconci. Le linee rette delle nostre rette vie in cui sbandiamo e su cui brindiamo su.
Le finestre aperte e i passanti che ci buttano in casa i lacrimogeni durante le discussioni accese e poi spente come le sigarette su cui lasci il rossetto. Che commenteremo ad alta voce un film muto e ti pagherò il mutuo coi miei reni e i miei geni. Gli edifici sacri e i sacrifici per tenerli su. Che non crollano mai e che s'incollano a noi. Se vuoi. Ci urleranno di andarcene in una qualche lingua, o legione, straniera. E quando arriverà il padrone saremo estranei. E strani.
Tutti i se dei nostri SEntimenti. Che se ti menti non riusciremo ad andare da nessuna parte nemmeno con le scarpe buone che ci siamo comperati dopo. E vorrei dirti parole con la A maiuscola e la m minuscola come è giusto che accada. E cada.
E un giorno dormirò sul divano lasciandoti il letto.


-Stralci Di Vita Quotidiana-
Mattia Barro

lunedì 9 marzo 2009

"causa vostre lacrime causa tue lacrime causa" - SDVQ

Che questo vento ci ha spazzato via dignità e serenità. I grandi sentimenti che ti porti appresso e che lasci nel bagagliaio quando butta le sue mani sui tuoi seni. O se no la pioggia insistente sulle tue parole libere. Espropriazioni proletarie dei tuoi attici e dei tuoi attimi che mio dio quanto ti manco che poi ti dimentichi pure l'ora in cui arrivo e resto alla stazione ad aspettarmi per quattro lustri. Lustrati la coscienza.
I predicati verbali e i predicatori che portano il verbo e la coda lunga un chilometro appena fuori dal tuo zerbino liscio. I pre-indicatori delle tue bugie e scusa puoi girarti di lato che quando mi guardi con quel naso lunghissimo rischi di perforarmi un occhio?
Passi le notti con il dentifricio al limone e poi mi dici che mi ami è un posto magnifico. Che te l'ha detto una tua amica che c'è andata quando c'era ancora Bush. Senior.
Ho cancellato Solo i tuoi messaggi.
Le prese di coscienza della Bastiglia e le brioches per il popolo sovrano di cui fai parte. Di cui te ne fai arte. Di cui te ne fai rate. Prestito a tasso zero+me+te che mi consigli di vendere un rene o n. sogni. N.
Le mie spalle imbarcate causa vostre lacrime causa tue lacrime causa.



Mattia Barro

"le rosticcerie cinesi, le domeniche pomeriggio, le partenze" - SDVQ

Che ci alziamo alle 2 del pomeriggio che siamo stanchissimi e scopiamo fino a sudare lacrime. E mentre ti riprendi ti rubo la macchina e giro il mondo alla ricerca di una rosticceria cinese aperta alle 5 del pomeriggio di domenica. E poi quando la trovo compro di tutto che ho gli occhi più grandi dello stomaco e del portafoglio e c'è tua madre fuori dal negozio che mi chiede dove sei e perchè ho la tua macchina e io sorrido da scemo e dico Come Stai?, alla faccia delle buone maniere e delle buone mani. Poi arrivo a casa che siamo così affamati che divoriamo il fritto velocemente e avanziamo quasi tutto. Avanziamo di peso e stanotte moriremo di fame di nuovo. Per la festa della donna ti regalo uno di quei dolcetti cinesi con dentro una frase esistenziale e tu reciti "troverai l'amore della tua vita. Da consumarsi preferibilmente entro il 1998". Tu mi abbracci in camera e sembra di essere a Chinatown dall'odore che abbiamo addosso. E facciamo un falò per dirci che ce ne andremo da qui. E da li.
I nostri problemi e due porzioni di pollo flitto.
I Rayban che lascio a Milano quando sono a Ivrea e i Rayban che lascio a Ivrea quando sono a Milano sono lo stesso paio di occhiali.
E siamo a corto di ide
e
e
e
e
e.
Che vuoi partire e ti chiedo per dove e tu mi rispondi ma non sento che i motori degli aerei fanno un frastuono incredibile. E rimango al chek-in. Pare stia arrivando la primavera e un British Airways ed è meglio che torni a casa. Che coi congiuntivi non so mai se lo dico a te o a me.
Accoltellami con una bacchetta incastonata nei ravioli al vapore che poi cambierà il sapore. Che abbiamo messo tutti i preservativi pieno dei nostri figli dentro a dei fazzoletti nelle buste della Fnac.
Che quando mi hai chiesto se reputo importante il modo di vestire delle persone, ti ho detto .


Mattia Barro