sabato 26 dicembre 2009

"Quando l'acqua scende dal cielo finisce sempre per diluirci i cocktails" - STRALCIO

Quando poi ha iniziato a piovere forte abbiamo rubato gli ombrelli fuori dai bar per ripararci i cuori. E così han fatto tutti quanti lasciando i ritardatari ad annegare i sentimenti nell'alcool. Nell'acqua delle pozzanghere ci siamo specchiati per pettinarci meglio. Meglio di niente. Le miglia fino all'auto.
Quando l'acqua cade dal cielo finisce sempre per diluire i nostri cocktails.
Per ubriacarci spendiamo i miliardi per andare via da qui.
Quando l'acqua cade dal cielo finisce sempre per diluire i nostri portafogli.

Mattia Barro

"Passaggio Incompleto" - STRALCIO

Tu leggi in francese libri di cui io, dall'altro lato del letto, fatico anche solo a tradurre il titolo. Mi cadono addosso le parole dei saggi che provo a (fra)intendere. Saggiamente mi dici di sedermi per non esserne soffocato.
Quando sono lontano tu esci di casa di soppiatto. E non capisco perchè. E non capisco perchè. Potresti fare tutto il rumore che vuoi. In questo multiproprietà.
Ci sono i doppi vetri i doppi sensi e i doppio giochisti. Angolo cottura e vertici aziendali. La vista dà sul lungomare e le sviste son vaste.
Certe cose non le finiremo mai di costruire.

Mattia Barro

mercoledì 2 dicembre 2009

"Poi preghi" - STRALCIO

Che è sempre tutto te(a)tro.
Dai kebabbari all'angolo malattie veneree e coca cola in omaggio.
A Milano quando non piove dicono che tutti che andrà bene. Che andrà a bere per pisciarci in testa più tardi.
A capodanno metteremo travi di legno sulle finestre.
A capodanno emetteremo vari segni vocali.
Morricone con l'orchestra e mia madre con il diabete.
Democratici a modo nostro.
Democratici nel mo(n)do vostro.
Le parentesi quadre e le equazioni per dividerci a metà i resti. Tu che non resti.
Facciamoci cassette mixate e casse di birra. E chissà che boria.
Con tutti i nostri impegni ci siamo presi a pugni.
Pregi.
Poi preghi.

Mattia Barro

sabato 21 novembre 2009

"Come siamo bulimici amici miei" - STRALCIO

Che con tutte ste bottiglie e battaglie non andremo poi così lontano. Che su queste distanze ci abbiamo apparecchiato sopra e servito gli anti-pasti dei nostri digiuni.
Come siamo bulimici amici miei.
Come siamo bulimici amici.
Ci hanno rigato i vinili e regalato vini per sopravviversi. Gli insegnamenti con le insegne grandi: rendiamo omaggio.
Rotte le dita e stretta la vita siamo amorfi. Siamo forti morti risorti. Zombie della sociologia moderna e della filosofia classica.
Siamo bellissimi, siamo condannati.


Mattia Barro

mercoledì 4 novembre 2009

M (epilogo) - STRALCIO

Hai rimesso a posto la stanza. Hai rimesso a posto le M.
Ora che tutto è in ordine, la A maiuscola seguirà la m minuscola.

Mattia Barro

martedì 13 ottobre 2009

"Da una vecchia Moleskine rossa come ottobre" - STRALCIO

una vecchia moleskine finita con tante altre cose nel nulla che poi è tutto il mio passato.

percorso a ritroso dal più recente al più ammuffito.
circa da luglio 2009 a gennaio 2009. o forse era dicembre 2008.


to my sweetheart, the melancholic

"I bambini scappano dai cani nei parchi e tu mi parcheggi nella doppia fila delle tue manovre sentimentali. Che oggi fa abbastanza caldo per ucciderci e tu non mi lasci il finestrino giù. Di che parliamo?
Si stanno riprendendo tutto, organi compresi, riprendendoci con telecamere giganti. Stars di Che Cazzo TV.
Guardandoti con due aspirine e mille euro in meno ti chiedo se puoi offrirmi una pizza. E uno strappo in macchina. Ma Miami è lontana.


No.
non ci siamo lavati via del tutto.
No.
non ancora del tutto.
No.
non ci siamo lavati via del tutto.


Mi hai dormito sul cuore lasciandoci la piega.
Spiegami ora che ci fai a 600km dalla fine con lo sguardo fuori fisso dal finestrino.


I mondi (in)finiti.
Tu che mi spettini,
io che ti pettino,
il vento forte.
La birra al litro,
la musica in filodiffusione.
Dimmi che non siamo solo questo.


E quando mi hai detto che ci tenevi a me, guardavi nel vuoto come le hostess. E gli aerei ci avevano scompigliato i capelli. E i fusi orari.
Sdraiati sul letto siamo in due case diverse come i tramonti visti in volo con in volto i colori opposti a noi.


poi come un treno è arrivata Parigi e il diretto per Bologna.
La cecità.
Il vino è diventato aceto mentre eravamo fuori a far rivoluzioni, a farci di rivoluzioni altrui. Rifarsi una vita?
Perdiamo peso lasciando per strada i nostri terrorismi psicologici.


A Barcellona ci amiamo in faccia alla faccia di chi ci dice "abbiamo venduto i sentimenti".


Che hai svegliato tutti quando alle 5 del mattino gemevi rumorosamente. Avran pensato che facessimo sesso ma facevamo senso. Fatti com'eravamo dei nostri fitti problemi di comprensione reciproca.


E se piango mi chiedi se lo faccio per te. E io vorrei farmi per te.
E io vorrei farmi prete.
Affermi che ti dico ti amo solo per guardarti sotto la gonna. Correggo il tuo "guardare" con "entrare". Ma non mi sento ancora appagato dal vocabolario.


Vederti è stato quasi, tipo, importante. Almeno ora so che esisti. E sei viva. Vado via e ti lascio, che non mi rimane che questo. Che la fortuna me la sono giocata ieri sera. Sarà. Sera. Sempre. Perdo. Perdo gli occhiali da sole e per una volta ti vedo per davvero.
Parlando di sinapsi.
Parlando di ulcera.
I tuoi attacchi di panico contro i miei attacchi di panismo.
Che poi diventeremo riserve, finiremo le risorse e saremo prima in riserva e poi a piedi. Mi dici che ti senti a tuo disagio.


Fossi in te sarei rimasto a letto, mi hai detto. Aggiungendo che sai come sto, dove sto, ____ sto. Sotto di noi le metropolitane con la luna storta e i binari pure.
Dove ci porterà questa parte di noi?
Le barche a vela di Fuksas e i nostri cambiamenti d'umore. Furore. Colore.
Ho sfogliato la rivista della nostra vita nella sala d'aspetto del medico.
Rumors.
Qualcuno dice che c'è un after al Duomo stanotte.
Ma tu sei stanca.
A volte di me.


Le orgie dei nostri battibecchi. Mi dici "Becchiamoci" e poi te ne sbatti.
Tanto lo so.
Tanto non so.
Hai una pancia enorme dopo tutto l'alcool che hai bevuto.


Che poi tu mi continui a parlare di chenesoio e ci rimango malissimo, ma non lo noti che hai il sole contro e non porti gli occhiali da sole.
Da solo.
Vado a lezione per imparare a non amarti, a non fare il martire. Martini nei nostri cuori.
La fine de mo(n)do di vederci. Fatico a vedere ciò che mi stai raccontando e raccimolando ferite aperte potrei costruirci un fegato nuovo. Che non hai mai avuto il fegato di dirmi addio, ti sei voltata e basta.
Basta.


La mononucleosi delle nostre litigate sotto i brani nostalgici del 1984. Il post-punk.
Le interruzioni per tirare su col naso, col cuore, col cazzo.
Che quando ti ho detto che stavo per arrivare pensavi che stessi per venire.
E l'hai trovato fuori luogo.


Con la mia faccia da epatite C.


I nostri ego ci hanno preso tutti i nostri G8, Ligabue e Raffaello. Dai tagli sulle tue mani escono talismani tali a tutte quelle manie che chiami "progetti a lungo termine". Che termineranno.
Al Terminal 2 aspetto che tu atterri e sono a terra. Le crisi di volo e di vuoto e di voto. Andremo fuori dalla caserme a farci giustizia da soli. Andremo fuori dalle caserme a farci da soli.
L'autoerotismo dei nostri rapporti sessuali e sensuali.
L'anoressia della nostra comunicazione che abbiamo finito le batterie dei nostri walkie-talkie.
Non senti che ti chiamo?"



Mattia Barro

domenica 20 settembre 2009

"Con il retrogusto della lemon nel cuore" - STRALCIO

E sbronzi abbiamo perso il tuo piercing. E in due lo cercavamo con le dita e gli occhi e gli specchi riflessi dell'adolescenza sul tuo viso liscio senza trovare nulla. Niente perforazioni, niente performance. Solo le deformazioni visive del gin.
E sbronzi abbiamo perso la via di casa. E in due la cercavamo con le dita e gli occhi e gli specchietti della macchina sul ciglio stradale senza trovare nulla. Niente indicazioni, niente informazioni. Solo le deformazioni visive della vodka.
E stronzi abbiamo preso l'alcool di tutti. E in due cercavamo con le dita e gli occhi e le borse di nasconderlo dai visi accigliati di coloro che nn trovavano più nulla. Niente bottiglioni, niente emancipazioni. Solo le nostre deformazioni visive.

L'unica cosa che ricordo ora è il retrogusto della lemon nel cuore.


Mattia Barro

mercoledì 16 settembre 2009

"V per Volevamo uscire ma c'era il sole" - STRALCIO

Venti minuti e siamo a Ventimiglia. L'autogrill più brutto d'Italia; ventagli in vendita. Inveisco. Tagliamo il confine e se i venti son dalla nostra saremo li alle venti e trenta, dici. Mentre ti vanti non inventi nulla di nuovo. Volantini, volontari, volatili. Andiamo avanti. Poi verso inverno ritorneremo qui, avvalorando la tesi di testimoni in viaggio. Le vendemmie dal basso ventre mentre vendichiamo il nostro invalido matrimonio ventennale. Che a vent'anni la fine del mondo non è valida.

Mattia Barro

sabato 5 settembre 2009

"Parlami della tua gioventù, non c'è più" - STRALCIO

Le montature dei Wayfarer che si scontrano: è amore. Calesse comrpeso.
I giorni ai parchi e tu che mi hai stretto per fermare il parkinson. Poi qualche birra dai pakistani. Tremitalia.
Parlarmi della tua gioventù, non c'è più.
Hai gli occhi dello stesso calore e colore. Bright Eyes si fa chiamare con il suo vero nome da quando ci sei tu.


Mattia Barro

sabato 22 agosto 2009

REPORTAGE MUSICALE - Primavera Sound Festival, Barcellona (Spain)

PUBBLICATA SU INDIE-ROCK.IT

28-5-2009
Primavera Sound Festival @ Barcellona (Spagna) - Giorno 1

Barcellona è la città dove ogni ragazzo si vorrebbe trasferire. Sole, mare, gente positiva e molto aperta, birre a basso costo, divertimento ovunque e sempre. Una città viva che può permettersi, durante l'estate, un numero elevato di festival con generose line-up. E per questo si inizia già a maggio con il Primavera Sound Festival. Il Primavera è collocato sulle spiagge mediterranee, è formato da 5 palchi (con sfondo marino) e dura tre giorni. La birra costa tra i 2 e i 4 euro, il perimetro è immenso e c'è sempre il sole (almeno quest'anno), anche se la temperatura non diventa mai ossessiva.

La prima band che riusciamo ad ascoltare sono i Women (voto:6), di cui, da qualche tempo, si vocifera parecchio. Le trame dei loro brani sono rarefatte e spesso è lo shoegaze a padroneggiare sul palco Pitchfork. Vi è un certo distacco tra la band e il pubblico, causata soprattutto da una mancanza di personalità da parte del cantante, spesso troppo distante dal microfono per dar sfogo alla sua timbrica. Il suono dei Women è comunque di ottimo livello, supportati prevalentemente dalle grandi doti del loro batterista. Lontanamente, qualche sonorità potrebbe ricordare i Jesus And The Mary Chain o il loro limitrofo periodo storico.

Ci spostiamo per l'enorme territorio a disposizione del Primavera e ci imbattiamo nei Magik Markers (voto: 4), band che giace sotto l'ala protettrice di Thurston Moore. Dal vivo non capiamo, però, il perché di tale scelta da parte di Moore. Elisa Ambrogio (voce-chitarra) cerca a tutti i costi l'attitudine da menefreghista in una jam session ubriaca e la band si perde nei propri stessi limiti dettati dalla totale anarchia che regna on stage. "E' psicosomatico, è tutto nella tua testa", è ciò che rimbomba dall'amplificazione.

Il Primavera concede anche due piccole zone dove poter schierare alcune band in versione acustica (Ray-Ban Unplugged Stage) o in versione garage (MySpace Stage). La prima performance acustica a cui riusciamo a partecipare è quella dei Veracruz (voto: 7) che, in verità, ci lascia perplessi in quanto, sul programma principale, erano segnalati i Phoenix. Rammaricandoci per la scoperta che il programma era stato cambiato (senza avvertimenti di nessun genere per il pubblico), ci possiamo godere due brani in versione unplugged dei Veracruz, nei quali scaturisce tutto lo spirito gitano del gruppo. Il minuscolo tendone che li ospita è per la maggior parte occupato dai vari membri che regalano un suono nomade e popolare ai molti radunatosi li intorno.

Finalmente si arriva alla prima serata. E finalmente entrano in gioco i mostri sacri che, quest'anno, saranno il leit-motiv dell'edizione del festival. Sul palco principale (Estrella Damm) si presentano gli Yo La Tengo (voto: 7). Il loro tour è in supporto alla loro ultima fatica, 'Popular Songs', che uscirà tra qualche settimana. L'enorme discografia della band rende inutile l'elencare i brani in modo razionale. Gli Yo La Tengo concedono un'ora abbondante di pop songs mescolate a lunghe suite psicalediche che incantano e rapiscono la platea. Nervosismi musicali si alternano a melodie efficaci e dirette.

Ma c'è qualcosa che sembra tenere unito il filone logico del primo giorno di festival: la distruzione di una predefinita forma canzone. A dimostrazione di tale tesi, salgono sul palco (e il che è fondamentalmente una novità) i Lightning Bolt (voto: 9). Basta qualche minuto per capire di essere venuti a contatto con una delle realtà contemporanee più pazze, psicopatiche e geniali. Basso e batteria in un totale degenero sonoro difficilmente descrivibile. Brian Chippendale (batteria, urla e maschera) è un musicista incredibile. Basterebbe vedere le sue braccia che, senza tregua, colpiscono ogni tamburo possibile per capire il suo potenziale dietro alla gran cassa, ma ascoltando le sue frenetiche progressioni si percepisce di essere di fronte ad uno dei maggiori talenti moderni. Non da meno è il bassista Brian Gibson che tra effettistica e accordatura (da studiare la composizione delle corde del suo basso) dimostra di completare un duo dal potenziale sonoro unico. Forse una delle migliori performance dell'intero festival.

Altrettanto geniale, ma di genere musicale opposto è Andrew Bird (voto: 10), cantautore e polistrumentista americano. Andrew sul palco è solo. Porta con sé il suo violino, un glockenspiel, una chitarra, due microfoni e poco altro. L'oggetto più importante della sua strumentazione è però una loop station. Andrew suona tutto looppando in presa diretta. Lo si vede armeggiare con il violino in posizione classica per poi suonarlo come una chitarra, poi al microfono a registrare battiti di mani e fischiettii per poi aprire il suono con la chitarra e la sua straordinaria potenza canora. I brani trovano un'armonia incredibile e lasciano sospesa nell'aria l'anima di fronte a tale gioia sonora. Uno spettacolo magnifico. Sia visivo che uditivo. Anche qui la forma canzone viene meno, a favore di un ripetersi meccanico dei loops che, qua, trovano un'incredibile valenza umana. La musica dà vita alle macchine e ai meccanismi. Tutto diventa natura.

Non c'è tempo di riprendersi dal panteismo sonoro di Andrew Bird che già bisogna correre per le rive del mediterraneo per giungere al cospetto dei Phoenix, oramai in via di conclusione. Dopo il loro ultimo lavoro erano certamente una gruppo da vedere. Ma essendo presenti un po' ovunque st'estate, gli abbiamo preferito un poeta come Bird. Riusciamo però a goderci le ultime due canzoni 'If I Ever Feel Better' e 'Rome'. Il concerto sembra essere stato di grande impatto poiché, al nostro arrivo, troviamo Thomas Mars abbracciato dalla prima fila del pubblico che intona con lui le strofe delle canzoni della band di Versailles.

Questa toccata e fuga ci dà la scossa giusto per entrare in contatto con i veri mostri sacri della giornata, i My Bloody Valentine (voto: 8). C'è nuovo materiale da offrire in pasto agli ascoltatori e quindi ecco spiegato il perchè del nuovo tuor dei MBV (che segue quello della scorsa estate). La potenza e la completezza sonora della band sono ormai famose e assicurate. L'unica pecca è la scarsa valorizzazione causata dall'amplificazione del palco centrale che non risulta all'altezza (che condizionerà la maggior parte dei 'big'). Ma i My Bloody Valentine superano l'imprevisto, creando trame di rara (a)simmetria sonora, tra chitarre e synth, immerse in gigantesche suite shoegaze che formano un impenetrabile ed invalicabile muro del suono.

Percorriamo per tutta la sua lunghezza lo spazio del festival e arriviamo al live degli Horrors (voto: 7). Il nuovo disco ha segnato un'impronta fondamentale per il garage-punk di questi inglesi. Appena giungiamo sotto il palco, troviamo il cantante Faris Badwan che, più che pensare a cantare, è intento a litigare platealmente con il malcapitato fonico che, a parere del cantante, non riesce a modellare bene il suono della sua voce. Per attirare costantemente la sua attenzione, Badwan rivolge più volte il microfono alle casse spie, distruggendo con dei fischi clamorosi le orecchie dello sfortunato fonico con il quale il cantante viene quasi alle mani, prima di un'infinità di gesti di stizza da parte di entrambi. Superata la questione, che occupa la mente di Badwan per metà concerto, gli Horrors procedono con molti spunti interessanti ed un ottima presa sul pubblico. L'apice lo si tocca con 'Sheena Is A Parasite', manifesto di una loro certa visione di vita. Riuscissero, anche dal vivo, a superare i propri cliches, raggiungerebbero un'importante zona di rilievo nella scena musicale.

Prima e dopo gli Horrors, riusciamo però a gustarci anche un po' del dj set di Aphex Twin (voto: 7). La sua elettronica è come sempre marchiata da suoni inconfondibili. Si miscela la deep con l'electro e la d'n'b, con spunti di musica classica qua e là. Il set, per un festival, risulta forse troppo pesante, troppo torbido in alcune situazioni, anche se, tecnicamente, Aphex è impeccabile.

Arriviamo quindi, con le orecchie invase da suoni di ogni sorta, agli show conclusivi del primo giorno. Allo stage Ray-Ban (quello ufficiale) si esibiscono le scatenate Ebony Bones (voto: 6) che, già dal loro abbigliamento, mostrano una totale attitudine funny al loro show. Una sorta di CSS più dance. Ci sono balletti studiati appositamente per far muovere la folla, ritmi tribali e funky. A rovinare lo show una inspiegabile 'Seven Nation Army' eseguita in chiave tribale come bis conclusivo.

La notte di Barcellona è più fredda di quanto uno si aspetti. Bisogna indossare felpe o giacche leggere per rimanere in temperatura. O aumentare i dosaggi alcolici. Preferiamo la prima scelta (almeno questa volta), sperando di essere scaldati dal live di Squarepusher (voto: 4) (al Rockdelux). Ma bastano pochi momenti per farci rimpiangere tale scelta. Thomas Jenkison (accompagnato in questo caso da un batterista) porta on stage un set difficilissimo. Drum'n'bass acidissima, suoni scarsamente assimilabili e ritmi forsennati. Il pubblico fatica a trovare e a reggere un ritmo di tale portata e il risultato ne è una completa delusione, sospesa tra un'elettronica che nel suo tentativo di divenire nuova, finisce per rimanere sola.

Rimane qualche dj set di dubbio valore, il sole sembra voler iniziare a sorgere ed è quindi il momento di dire stop, almeno per il primo approccio al festival.


29-5-2009
Primavera Sound Festival @ Barcellona (Spagna) - Giorno 2

Le sbornie post vittoria calcistica nella Champions League (che avevano esaltato Barcellona la notte prima dell'inizio del festival) pian piano scemano. Anche gli spagnoli iniziano ad avere le forze per partecipare all'evento e il pubblico del secondo giorno del Primavera Sound aumenta vertiginosamente.

I live interessanti quest'oggi iniziano presto. Sono le sette e in alto c'è ancora un bel sole quando Natasha Khan e la sua band iniziano il loro live sul palco centrale. Bat For Lashes (voto: 8) è forse il nome che più si sta facendo spazio nei nuovi talenti emergenti e l'attesa per la sua performance è davvero alta. Natasha dimostra subito che ogni buon giudizio conferitole è più che meritato. Lo show è importante, la band riesce a ricreare le atmosfere fiabesche ed elettroniche dei due dischi. La voce di Natasha cattura la folla e la ammalia come poche altre ugole. Il concerto è emozionante e probabilmente sarebbe stato magnifico in orari successivi, in piena notte. Manca solo la luna alla performance dei Bat for Lashes.

Ci spostiamo di palco per raggiungere gli Spiritualized (voto: 7). La band di Jason Pierce si propone visivamente in un semicerchio dove ogni strumento (compreso le coriste) può trovare un ruolo da protagonista senza subire ombre. L'apice di 'Soul On Fire' innalza il livello di un live positivo e piacevole, che i più preferiscono ascoltare seduti, lasciandosi trasportare dalle melodie della band.

Ancora main stage e cambio vorticoso di registro. Arrivano gli Art Brut (voto: 8). Smagliante forma per la band londinese che crea subito una forte presa sulla gente. La voce di Eddie Argos (oggi più tranquillo e logorroico del solito) è, sfortunatamente, mal equalizzata e spesso, nei momenti di maggior tiro dei brani, viene sovrastata dai riff taglienti ed ammiccanti delle due chitarre. Divertente la spiegazione di 'Modern Art', con Eddie che simula la sua faticosa scalata nel museo di arte moderna di Amsterdam e l'introduzione del nuovo singolo della band 'Alcoholics Unanimous', nella quale Argos spiega di aver smesso di bere, naturalmente sorseggiando vino rosso. Da citare ancora gli eterni siparietti tra i chitarristi Jasper Future e Ian Catskilkin che spesso riescono, addirittura, a rubare la scena a Eddie. Gli Art Brut dimostrano, per chi ancora avesse dubbi, di essere puri animali da palco. E' un piacere vederli ciclicamente sui quelli d'Europa.

Sfortuna vuole che di Sunn O))) (s.v.) riusciamo a sentire solo i minuti finali, minuti nei quali un muro di droni riempiono l'aria. Incappucciati e immersi nel fumo, ci conducono ad una realtà apparentemente malvagia e macabra.

Da citare anche i Crystal Antlers (s.v.) che, da lontano, (tempo che arriviamo al loro palco, il concerto si conclude) appaiono un gruppo da tenere in forte considerazione.

Ci si sposta al palco centrale per assistere al live del paladino del pop inglese, mister Jarvis Cocker (voto: 8). Il fascino di Jarvis è conosciuto e risaputo. La presa sul pubblico è figlia di una carriera importante. Il nuovo disco di Cocker suona davvero bene e i brani scelti hanno un ottimo riscontro. Jarvis, a tratti indemoniato, si esibisce in balli di ogni sorta, scatenandosi su e giù per il palco. Nuovi e vecchi brani si mischiano e a tratti ci si emoziona in ballate pop tipicamente inglesi o in schitarrate da pop-rock anglosassone. Si conclude con 'You're In My Eyes' che, come inserito a parentesi a seguito del titolo, è una 'discosong'.

I Saint Etienne (voto: 6) propongono la loro lunga carriera dance pop (oramai ventennale) con un live allegro, ma, per i non amanti, davvero difficile da reggere nel complesso.

Pareri discordanti invece sugli Shellac (voto: 5). C'è chi li osanna e chi, al contrario, ne rimane di idea opposta. Noi ci appostiamo sulla seconda. Gli Shellac sembrano una band piena di idee con difficoltà nell'applicarle. Più o meno lo stesso problema che ha una giovane band nella propria sala prove (sebbene gli Shellac siano tutt'altro che alle prime armi).

Conclusione della serata sul palco principale è affidata ai Bloc Party (voto: 7). Kele si presenta con shorts di jeans, camicia folk H&M e cappello trucker. A differenza della maggior parte delle esibizioni dei quattro inglesi, Kele e compagni mostrano un attitudine più funny e umana sul palco. Non sono più la statica band meccanica di inizio carriera, ma, anzi, questa volta, sono circondati da un mood molto tranquillo e divertito. Da qui deriva anche qualche errore (Kele non usa perfettamente la loop station in 'Mercury' perdendo il tiro del brano). Si capisce, ascoltando l'intero concerto, che i brani dell'ultimo disco non riescono ad avere, nella versione live, il tiro dance che dovrebbero. Anche il pubblico pare di questo parere, e naturalmente le maggiori ovazioni le si ritrovano nei brani di inizio carriera.

Provati da un correre continuo tra i cinque palchi, decidiamo di rientrare per risparmiare le energie per l'ultimo lunghissimo giorno di festival.


30-5-2009
Primavera Sound Festival @ Barcellona (Spagna) - Giorno 3

Terzo e ultimo giorno del Primavera Sound. Il sole è ancora caldo e la stanchezza inizia ad accumularsi. E' sabato pomeriggio e la notte è ancora lontana dall'essere vissuta. Ci presentiamo al parco del forum intorno alle 20, giusto il tempo di vedere la conclusione di un mine live dei Black Lips (s.v.) al palco gestito da MySpace. Un paio di riff decisi, un buon ritmo ed è già tempo di dirigersi al live dei Plants & Animals (s.v.), anch'essi in dirittura d'arrivo.

Il primo show segnato sui nostri taccuini è quello degli Herman Dune (voto: 8). La band francese, oramai forte di una sicura e valida discografia, concede il proprio sound dando le spalle al magnifico panorama visivo del mare di Barcellona. Il folk dei due fratelli Ivar diverte e compiace il pubblico presente. Il clima è sereno e sembra disegnato appositamente per il loro live.

Si rimane sulla scia del folk, tornando proprio alle radici di tale genere, con uno dei suoi massimi esponenti, Neil Young (voto: 8). La cornice di pubblico è magnifica. Tutti i presenti al festival sono radunati sotto il palco principale (non ci sono altri concerti in concomitanza), chi in piedi e chi, invece, seduto sul cemento o sul prato adiacente. Migliaia di volti e vestiti vengono trapassati dalle parole del cantautore canadese. Si passa dai brani più country a quelli più rock con disinvoltura, Neil è pieno di energie quest'oggi. Si muove molto sul palco, indemoniato come un ragazzino di fronte alla sua prima folla immensa. Un'ovazione di pubblico gigantesca per uno dei re della scena musicale mondiale.

Dopo questo immenso bagno di folla, decidiamo di andare a rifocillarci dall'altra parte del forum, incontrando, piacevolmente, gli Oneida (voto: 7). Tra un morso e l'altro possiamo goderci il sound della band newyorkese, il quale spesso ricorda quello dei loro concittadini Battles, limitando la parte elettronica in compenso di una maggiore propensione al rock.

Veloce spostamento di palco ed eccoci al cospetto dei Liars (voto: 8). La band americana ci introduce attraverso le proprie melodie articolate e dissonanti, idee sonore intelligenti e spesso imprevedibili. Con il cielo che si fa buio e le atmosfere sempre più rarefatte, i Liars colpiscono il pubblico che spesso esplode in vere e proprie ovazioni di stima. Ritmi forsennati, ossessività.

Ma la portata principale di questa ultima giornata di festa è però altro. Palco centrale, mezzanotte passata, Sonic Youth (voto: 8). La tournée è di supporto al loro ultimo lavoro, il tanto chiacchierato ritorno all'indipendenza discografica, dopo l'abbandono della major. E siamo di nuovo di fronte ad un monumento. Ad un mito. A qualcosa più grande di noi che difficilmente si può spiegare a parole. I Sonic Youth sono parte integrante della storia della musica. Sono il modello di riferimento di un numero spropositato di band che sono nate e cresciute negli ultimi vent'anni. Sono il noise, il punk-rock, le musicassette. Sono il significato della parola indie, ora più che mai. E a noi non ci resta che rimanere a farsi travolgere dalla storia.

La notte inizia a farsi spazio con più prepotenza, le band vengono quasi tutte congedate a favore dei dj set. Si inizia con i Simian Mobile Disco (voto: 7) che miscelano un'elettronica di buon gusto alle loro produzioni, oramai conosciute ovunque. Risuona l'oramai classico 'It's The Beat', ad esempio.

L'ultima band che riusciamo a seguire sono i Black Lips (voto: 7), i quali si esibiscono alle 3 sul palco Rayban. Avevamo già avuto il piacere di vedere la loro grinta e la loro attitudine sul palco al FIB dell'anno scorso. Questa è l'ennesima dimostrazione di valore dei cattivi ragazzi americani. Un concerto tirato che riesce a smuovere le ultime forze del pubblico oramai stremato da stanchezza e alcool.

La conclusione del festival e affidato ai dj set di A-Trak e DJ Mehdi, che dalle 4 del mattino fino all'alba propongono il loro misto di french touch e ghetto house, consumando definitivamente le Converse della maggior parte dei presenti.

L'alba fa capolino al di sopra del mare, gli occhiali dalle borse ritornano sopra il naso e la security ci invita ad uscire. Si capisce che è la fine. Con in sol sopra ad allungare le nostre ombre.

Mattia Barro

REPORTAGE MUSICALE - FIB, Benicassim (Spain)

PUBBLICATA SU INDIE-ROCK.IT

16-7-2009
Festival Internacional @ Benicassim (Spagna) - Giorno 1

Quarto anno consecutivo a Benicassim per noi di 'Indie-Rock.it'. Inutile dilungarsi in presentazioni per uno dei festival più belli d'Europa (in caso leggete le recensioni degli anni scorsi). La XV edizione del FIB Heineken presenta una line-up di tutto rispetto e si prepara a battere il record di presenze: ben 200.000 persone in quattro giorni intensi (50.000 in più dell'anno scorso), alla faccia di altre manifestazioni che hanno visto un brusco calo di pubblico o addirittura sono state cancellate.

L'area concerti 2009 è stata ingrandita assieme all'area camping e gli spazi al suo interno sono stati drasticamente rivisti e adattati per poter meglio ospitare i 'FIBers', composti per un buon 40% di inglesi. Il tendone Vodafone (il 3° palco in ordine di importanza) è stato ingrandito, il Fiberfib (il 2° palco) non è più coperto da una tenda dove ci si scioglie dal caldo, ma un'area all'aperto molto più ampia.

Arriviamo al recinto del festival mentre i Bishops (voto: 5) hanno iniziato da poco a suonare. Da lontano appaiono inconsistenti e indecisi, forse sono intimoriti dal pubblico già numeroso nonostante il sole cocente e i quasi 40°.

Ascoltiamo i View (voto: 6) che piacciono, sono carichi di energia ma non adatti ad un palco così grande. Sicuramente rendono di più in un piccolo club buio in atmosfere più intime.

Sono i Mistery Jets (voto: 7) a stupirci per il loro live espressivo e divertente. Appaiono freschi nonostante l'afa e il sole ancora alto in cielo. Sorseggiando birra ghiacciata canticchiamo 'Young Love' e la spendida 'Half In Love With Elizabeth'.

Gli headliner della giornata sono gli Oasis (voto: 7). Live sanno dire la loro ed è impossibile non cantare canzoni storiche come 'Roll With It', 'Supersonic', 'Wonderwall' solo per citarne alcune. E proprio durante 'Wonderwall' Liam si arrabbia e se ne va. Noel lascia continuare il pubblico, poi intona le prime note di 'Live Forever', si ferma e la folla canta il resto. Liam torna e ricomincia daccapo 'Wonderwall' (successivamente, durante un'intervista, giudicherà “una perdita di tempo” il concerto dati i numerosi problemi tecnici, e confesserà che solo grazie al calore del pubblico gli Oasis hanno proseguito l'esibizione.

Dopo poco salta la corrente sul palco... A questo punto lasciamo i fratelli Gallagher e compagni a favore dei Gang Of Four (voto: 8). Meravigliosi. Una band con le palle. Nonostante i volumi un po' bassi ci ha stupito la consistenza della loro performance. 'Natural's Not In It' impossibile da non ballare.

Pochi minuti di Telepathe (voto: 4) lasciano un retrogusto amaro, come ascoltare un'unica intro da cui ci si aspetta molto ma che non fa decollare mai il pezzo. Meglio ascoltarsi il disco.

Lasciamo il festival con le note in lontananza dei We Are Standard (voto: 6), una sorta di Subsonica in versione spagnola, ma molto più indie / punk-funk.


17/18-7-2009
Festival Internacional @ Benicassim, Spagna - Giorni 2 & 3

Giorno 2: venerdì. Dalle prime ore del pomeriggio si alza il vento. le nuvole velano il cielo. Arriviamo nell'Escenario Verde (il main stage) e Paul Weller (voto: 5) inizia a suonare. L'attenzione però è per l'incendio che si è sviluppato alle nostre spalle appena fuori dal recinto: un intero campo di sterpaglie viene mangiato da fiamme alte che aiutate dal forte vento minacciano i palazzi sul lungo mare. Tutto torna alla normalità dopo un paio d'ore, ma il vento ora è talmente forte che Weller deve fermarsi a metà concerto. La copertura del palco salta per metà, Il tendone dell'area press oscilla e viene chiuso assieme agli altri palchi. La gente non sa che fare.

Dopo due ore di silenzio l'organizzazione decide di far suonare sul palco grande i Tom Tom Club (voto: 5). Al termine del live il pubblico viene fatto defluire all'esterno del recinto, e coperti di polvere rossa ce ne torniamo a casa tristi di aver perso le (personalmente) tanto attese performance di Kings of Leon, Maximo Park, Horrors, Boys Noize e Yuksek.

Giorno 3: sabato. Il live dei Television Personalities (voto: 0) è quanto di più brutto abbiamo avuto l'occasione di vedere in tutta la nostra vita. Si è poi parlato di una qualche loro protesta durante lo 'show' (la parodia di 'All The Things That I’ve Done' dei Killers?) ma, oltre ad uno strafatto Dan Stacey che a metà decide di non suonare più la chitarra, c’è poco da dire. Il batterista a volte si ritrova a suonare da solo per lunghi minuti dato che sul palco tutti parlano e si raccontano i fatti loro. Non vengono lapidati dal pubblico grazie al loro importante nome, ma la performance, o finta tale, risulta una presa in giro, una totale mancanza di rispetto verso chi si è posto di fronte a loro per ascoltare musica.

I 2Manydjs (voto: 9) li abbiamo visti in ogni modo in Italia. Al nord sono quasi dei resident. Ma questa volta sorprendono. I fratelli Dewaele fanno sempre dj set, OK, ma in questa occasione il loro percorso nella storia della musica è impressionante. Si toccano tutte le decadi dagli anni '60 in poi. I due, che paradossalmente suonano con una consolle extralusso (due dvj con controllo video e due cdj, mixer con kaoss pad e altro), si dividono l’unica cuffia a disposizione. Il maxi schermo del palco principale mostra una telecamera fissa sulla consolle, ed è impressionante quante volte le loro mani si muovono sui comandi gestendo ogni singolo movimento del loro set. La folla risponde come di fronte ad una delle più acclamate rockband. Sempre una spanna avanti a tutti.

Gli Elbow (voto: 9), sfortunatamente, li sentiamo solo da tre quarti concerto. Giusto il tempo di capire di aver perso uno spettacolo incredibile, dalle atmosfere dense e profonde. In particolar modo è la voce di Guy Garvey ad ammaliare. A farsi e a fare amare.

I Maximo Park (voto: 8) sono una band da concerto live. O meglio, Paul Smith è un animale da palco. Nonostante l'ultima loro fatica discografica non sia di gran livello la band di Newcastle si conferma per l'ennesima volta una delle poche ad essere sopravvissute dall'ondata indie di metà decennio. Dunque assolutamente da vedere dal vivo. E speriamo che il quarto disco, se e quando uscirà, sarà dello stesso livello dell'inparagonabile 'A Certain Trigger' del 2005.

Qualche aggiustatina, ma solo ai capelli, per questo live dei Franz Ferdinand (voto: 8). La scaletta e la performance sono identiche a quelle del tour dei palazzetti. Cambia poco (sparisce 'This Fire' dalla chiusura, lasciata al delirio elettronico di 'Lucid Dreams') e il risultato è sempre lo stesso: un’incredibile carica adrenalinica. I Franz hanno oramai una miriade di singoli per far saltare tutti gli indie guys d’Europa. Dai brani taglienti degli esordi, ai nuovi droni elettronici. Oramai una sicurezza, una delle poche band degli anni zero che ci ricorderemo.

Peaches (voto: 10) è la rivelazione del festival. Seguita dalla sua band, The Sweet Machine, il suono che viene a crearsi è un’elettronica mischiata con il rock, la dance, il pop. Electroclash dai mille spunti che ha come valore aggiunto una scelta di suoni davvero valida ed accurata, che anche i Justice e compagnia bella potrebbero invidiare. Peaches è la star. Viene innalzata dal pubblico durante il suo stage diving e, sorretta dalla folla, continua a cantare anche quando viene fatta rimbalzare tra centinaia di mani. La platea pende dalle sue labbra e, all’ordine di togliersi le t-shirts, migliaia di magliette vengono fatte sventolare in suo onore. Peaches ha una carica incredibile e si diverte a giocare sul sesso urlato e non mascherato. Lo show è un suo lungo spogliarello fino al conclusivo body color carne con la zona genitale, la sua 'peach', illuminata.


19-7-2009
Festival Internacional @ Benicassim, Spagna - Giorno 4

L’organizzazione del FIB, messa KO dalle intemperie del venerdì sera, fatica a trovare un giusto ordine delle cose. Finisce così che arrivando in orario per i Calexico, ci si trovi a sentire la loro ultima canzone, scoprendo che tutti gli orari del FiberFib e dell’Escenario Verde sono stati cambiati. Bisogna quindi correre a capirci qualcosa e ricomporre le varie timetable.

Buona sorpresa i White Lies (voto: 7) dei quali si vociferava molto male riguardo ai loro live. Invece, la band di Londra si dimostra capace di ricreare quanto fatto su disco, anche se il giovanissimo leader Harry McVeigh non spicca per personalità. Spesso pare quasi intimorito dalla grande folla che intona i vari singoli estratti dal loro sorprendente album d’esordio. Un concerto che invece riesce a mantenere la propria carica emotiva, aiutato dai colori e dalle luci del tramonto.

In contemporanea (a causa degli spostamenti d’orario), troviamo i TV On The Radio (voto: 6) che questa volta non riescono proprio a far brillare la loro stella. La stratificazione dei brani su disco dal vivo non riesce a ricrearsi e spesso i suoni si sovrappongono e non riescono ad essere chiari nel proprio rumore. L’equalizzazione del palco, oltretutto, non aiuta la band di New York nella sua impresa, intrappolandola in un suono non all’altezza (troppi bassi della cassa e frequenze medie tagliate). Dispiace quindi che le conclusive 'DLZ' e 'Staring At The Sun' non trovino quell’incredibile luce di cui solitamente splendono.

Lykke Li (voto: 10) è la miglior performance a cui si possa partecipare a questa edizione del FIB. L’appena ventiquattrenne svedese, con all’attivo un solo album, mostra sul palco una maturità incredibile e fuori da ogni norma. I generi toccati sono molti, dall’indie-rock, all’electro, alla musica d’autore, al rap. Timotej Zachrisson (all’anagrafe) è una performer in grado di adattarsi a tutto ciò. Ma il suo non è un adattarsi, è essere di un’anima multiforme. Timotej è tutto ciò. E’ selvaggia e animalesca nei movimenti, ma anche delicata e jazz nella conclusiva 'Tonight', che si conclude con il pubblico che intona l’ultimo verso del ritornello e Lykke Li che applaude ed esce. Forse siamo davanti ad una nuova regina, in grado di rendere gigantesco il minimalismo di 'Dance, Dance, Dance' e di rendere educato e sofisticato il saltare di 'Breaking It Up' (il brano meglio riuscito dell’intero blocco). C’è anche spazio per la cover di 'Knocked Up' dei Kings Of Leon, un omaggio a noi che non abbiamo avuto il piacere di sentirli. Siamo probabilmente davanti a qualcosa di davvero nuovo e magnifico.

Gli headliner di quest’ultimo giorno sono i Killers (voto: 6), affermati oramai anche nel mondo mainstream. Sintetizzando il concerto si potrebbe definire come un live per fans. I Killers non sono dei grandi musicisti e Brandon Flowers subisce la sua stessa scrittura: le sue parti vocali dal vivo sono troppo difficili anche per lui. Proprio a causa di ciò, coloro che non amano i Killers nemmeno su disco finiscono per annoiarsi ed allontanarsi. I veri affezionati, o quelli che apprezzano esclusivamente i loro singoli, riescono a divertirsi e a trovare spunti di piacere. Effettivamente Brandon è un ottimo frontman e visivamente riesce a catturare la folla (principalmente femminile). I singoli funzionano (peccato una 'Mrs. Brightside' debole) e alla maggior parte della platea basta ciò. Da lavorarci. Ma ne avran tempo e voglia adesso?

Sempre martoriati da problemi tecnici questi Friendly Fires (voto: 7)! Questa volta è il turno delle tastiere del cantante Ed Macfarlane. Risolto questo problema, i Friendly Fires dimostrano già di avere numerosi singoli da battaglia e il trittico 'Skeleton Boy', 'Lovesick', 'Jump In The Pool' ne sono la dimostrazione. Il pubblico inglese li ha già resi idoli e loro riescono a trovare una buona attitudine on stage capace di intrattenere e far ballare con sezioni ritmiche sempre molto lavorare e originali.

Chiudono la serie di concerti del FIB 2009 i Rinoçerose (voto: 6), dal groove bello potente. Il loro impatto è deciso e molto dance, cassa dritta e basso corposo; vestono di bianco e nero e sono molto scenici anche se un po' troppo fermi sul palco. Bella la comparsa di Bnann Watts degli Infadels in 'Cubicle'. Nonostante ciò dopo un po' la nostra soglia di attenzione cala perché tutto sommato la band francese non ha molto da dire.

Anche questa quindicesima edizione è giunta al termine. Chiudiamo gli occhi e balliamo i set di DiskJokke e DJ Hell. E mentre il sole sta sorgendo rammaricati abbandoniamo il festival con la consapevolezza che l'anno prossimo saremo ancora lì, pronti a cantare e ballare.


Mattia Barro & Andrea Alibardi

REPORTAGE MUSICALE - Eurockéennes Festival, Belfort (France)

PUBBLICATA SU INDIE-ROCK.IT

3-7-09
Eurockéennes Festival @ Belfort (Francia) - Giorno 1


Francia dell'est. Quella al confine con la Germania, appena sopra la Svizzera. La famosa regione dell'Alsazia, celebre più che altro per i suoi continui passaggi postbellici tra Germania e Francia. E' inizio luglio e si sta bene. Il caldo non è torrido e le nuvole fanno addirittura immaginare futuri acquazzoni. L'Eurockeennes è collocato in un piccolo lembo di terra che si immerge nelle acque del lago di Belfort. Si dilunga per tre giorni. Propone, per ogni serata, headliners di diverso genere: Prodigy, Kanye West e Slipknot. In mezzo qualche perla, circondata da tanti tanti tanti artisti francesi.

Menzione particolare va subito fatta sull'ambiente, sull'atmosfera. Il clima generale è da sagra del paese. Fa subito strano notare come siano praticamente assenti gli stand di etichette discografiche (o di qualsiasi cosa si avvicini alla musica). Gli stand sono prevalentemente dedicati al cibo, ai vestiti di dubbio gusto e ai venditori di orecchini, cartine, bongs. Fa strano, in particolar modo, vedere la totale assenza di una qualche popolazione indie. In quantità centellinata si avvistano Wayfarer, Converse e skinny jeans. La gente è composta prevalentemente da persone normali, prive di una anche minima estrosità estetica. Fa paura, invece, la forte presenza di tamarri di ogni genere, giustificata dal basso costo del festival (85 euro l'abbonamento ai tre giorni) e alla presenza, nella prima giornata, dei Prodigy.

In maniera molto semplice riusciamo a raggiungere in macchina Belfort e il suo festival, grazie ad un'ottima segnaletica stradale. Sfortunatamente, parcheggio e camping sono a distanza chilometrica dall'area concerti e quindi bisogna utilizzare le apposite navette per raggiungerla. Bastano poi due passi all'interno di tale area per capire che sarà molto difficile la comunicazione. Gli addetti al rilascio di biglietti e accrediti non spiccicano una parola di inglese e bisogna comunicare con loro in modo primitivo. Ciò rimarrà un problema anche per i giorni a seguire, in quanto nessun partecipante o addetto ai lavori pare conoscere una lingua diversa dal francese (quando si chiede "One Beer", si viene scrutati come marziani). La zona dedicata ai concerti è formata da quattro palchi, di cui uno coperto. Il numero elevato dei partecipanti crea a volte difficoltà negli spostamenti tra i vari palchi, ma, saltato questo ostacolo, la logistica non risulta un problema.

Il primo show che abbiamo segnato in agenda è quello di Emiliana Torrini (voto: 8). La cantautrice islandese ci allieta, anche questa volta, con la sua voce e il suo particolarissimo accento, creando, anche in pieno giorni, emozioni vive. La scaletta è composta dai principali brani dei tre suoi ultimi dischi, raccogliendo a sé i percorsi della carriera musicale di Emiliana. Manca forse una certa intimità al tutto. Vi è della dispersione di troppo, sia per il molto pubblico non troppo attento, sia per il sole ancora alto e caldo.

La programmazione è molto delineata e non c'è molta competizione tra i palchi. A volte, ci si ritrova con un solo palco a disposizione e tutti i presenti vi si affollano costretti. E' questo il motivo principale del pienone riscosso dai Las Wampas (voto: 4), patetico gruppo formato da vecchietti al limite del ridicolo tra jeans attilati rosa, magliettine e petti nudi. La musica è una sorta di rock 'n' roll in chiave dance gay che annoia. Potremo compararli ai Rolling Stones, ma solo per via dell'età.

Fuggiti da questa performance abbiamo la fortuna di ripararci con Oxmo Puccino (voto: 8), rapper francese, seguito dalla sua band. Il rap di Oxmo è molto passionale, molto vicino al pubblico. Non cade nei tipici cliché dell'hip-hop d'oltreoceano. I francesi (difficile scovare altre nazionalità) lo amano e ne cantano ogni strofa, spesso prive di difficile metriche, ma a favore di messaggi concisi e diretti.

C'è tempo di girare un po' nel negozio Fnac (con ottime promozioni) e nell'unico stand di un'etichetta (Les Boutiques Sonores) prima dell'inizio dello show degli Yeah Yeah Yeahs (voto: 9). La band newyorkese dà il massimo. Il pubblico è fuori di testa. Karen O si agita più che mai e a volte gli scappa un sorriso emozionato nel vedere la gente così coinvolta. Addirittura fin troppo. Anche nei brani più lenti si vedono ragazzi catapultati sopra le nostre teste e tentativi di pogo. La scaletta per un'ora di fuoco è studiata con dovizia, miscelando quanto ti meglio è stato prodotto dalla band nei proprio tre album. Un live tirato, diretto.

Aggirandoci ancora per la location del festival, ci imbattiamo nel live dei We Were Evergreen (voto: 8) nello stand della Sfr. Il trio francese, che canta in inglese, propone un educato folk che trova la sua forza nelle trovate più giocose e nell'alternarsi della voce maschile con quella femminile. Da trovare, scovare ed ascoltare.

Sul palco principale è tempo dei Cypress Hill (voto: 7), band confermata in extremis. E' forte la comunità hip-hop all'interno del festival che trova vari suoi rappresentati nei tre giorni. Ma i Cypress Hill subiscono la mancanza di una minima conoscenza dell'inglese e spesso gli inviti di B-Real si perdono nella collinetta di fronte a lui. Il coinvolgimento dal palco è alto e quando si riesce a trovare un compromesso con la folla, il risultato è esplosivo. A causa di questo decifit di comunicazione, lo show rimane complessato e sottotono.

Dall'altra parte della piccola penisola, sul palco posto sulla spiaggia si esibisce Alela Diane (voto: 7). Il folk della giovane californiana è conciso e nella forma chitarra-voce, Alela riesce ad emozionare profondamente. Non riusciamo a seguire completamente il live, penalizzato forse solo da una certa staticità stilistica.

Un ascolto rapido è quello che concediamo ai Kills (voto: 6) che, confermando quanto visto al FIB di Benicassim dell'anno scorso, dal vivo rendono veramente poco. Il minimo sindacale per una band di cui si parla sempre molto.

Toccata e fuga anche per i Naive New Beaters (voto: 8), che con il loro electro rock mescolato al rap, compongono ottime strutture rendendosi ballabili ed apprezzabili. Buone vibrazioni.

L'attenzione è tutto per il main event della serata: i Prodigy (voto: 10). Un live dei Prodigy è come ognuno di noi lo immagina. Potente, devastante. Un acido sonoro lungo un'ora e mezza. Maxim, durante l'esecuzione di 'Smack My Bitch Up' riesce a far sedere tutti i presenti (40mila?) per fare esplodere il loro urlo nel momento dell'attacco del "ritornello". E' un'esperienza mistica. Una sorta di Trainspotting emotivo. La lista di trip elettronici è infinita. La drum 'n' bass si mischia alla techno, al rap, all'electro e la band (perchè i Prodigy aumentano a livello numerico nella sfera live) riesce a creare un flusso sonoro penetrante. Impagabile.

Riprendersi da un concerto come quello dei Prodigy non è facile. Tutto, dopo, può sembrare debole. A sfatare subito quanto detto, invece, ci sono le due band di chiusura. Da una parte i Ting Tings (voto: 8), più in forma che mai. Il duo inglese oramai gira i palchi da qualche anno. Katie White è una catalizzatrice d'attenzione affermata. Ogni suo movimento è guardato ed amato dalla platea. Non da meno è De Martino, che si permette pure una sorta di mash-up tra varie canzoni (compresa la sigla di 'Ghostbusters') giocando con una tastiera con loop station. Ottima anche l'impressione sui nuovi brani, rodati sull'esaltato pubblico francese. Inutile confermare che i vari singoli sul dancefloor hanno un effetto potentissimo.

L'ultima performance (è vero, ci sarebbero anche Diplo e i Crookers in contemporanea) è affidata ai casalinghi Kap Bambino (voto: 8). Conosciuti da noi per aver attraversato più volte la penisola italiana, il duo francese si esibisce in uno show durissimo. Electro-punk misto hardcore da far tremare le orecchie. Caroline Martial è un animale da palco. Poco dopo l'inizio si aggira scalza per il palco completamente svuotato da ogni strumento. Sale sulla schiena degli uomini della sicurezza e si fa scorrazzare vicino alle transenne fino al suo tanto acclamato stage diving in cui cade in pasto ad un pubblico esaltato e feroce. Un live che ha la fortuna di trovare nel suo orario (le 3 di notte) un'atmosfera incredibile.

Usciamo dal festival rintronati ancora da Caroline e da 'Day 'n' Nite', proposta dai Crookers, ultimi rimasti ad esibirsi. La coda per le navette è infinita e la notte è oramai nel suo pieno splendore.


4-7-2009
Eurockéennes Festival @ Belfort (Francia) - Giorno 2


Decidere di passare la notte (ma poi praticamente la mattina) in macchina, in una delle tante pianure dell’est Francia, esposti al sole e con migliaia di altri sventurati compagni di avventura, porta come risultato una stanchezza impareggiabile. Il festival, per il suo secondo giorno, ha in serbo qualche bella perla.

Iniziamo con il folk rock di Sophie Hunger (voto: 7), cantautrice svizzera. Il suo repertorio è molto classico, a volte un po’ troppo rigido. Quando, invece, si lascia andare, i brani trovano uno sviluppo molto nervoso che riesce a strappare una personalità di Sophie tenuta per la maggior parte del tempo all’oscuro.

Per gli Answer (voto: 4) non spendiamo troppo tempo. E’ rock. Ma quello di più di trent’anni fa. Fatto come quello di più di trent’anni fa. Anzi, fatto peggio. Non c’è originalità e non ci sono tentativi di rendere fresco un genere che suona da decenni. Si passa dai tre accordi, a dell’hard rock scontato. Una band inutile in questi anni.

Sorpresa piacevole è, invece, il trio svedese Peter, Bjorn & John (voto: 8), interpreti di un pop rock dalle varie chiavi sperimentali. Conosciuti ed esplosi con il singolo 'Young Folks', alle spalle hanno però una carriera decennale. E lo si nota particolarmente dal modo in cui Peter si agita sul palco e davanti alla platea, catturata dalle sue buffe movenze colorate dall’azzurro acceso del suo vestito. Una prova decisamente valida, con alcuni brani capaci di stupire soprattutto nella sezione ritmica di John e che, a volte, intraprendono paradossalmente strade al limite del country-rock.

Snobbiamo il sempre noiosissimo Tricky (voto: 5), che non scende dal palco neanche dopo l’ora e mezza attribuitogli, per tentare di scoprire il valore di La Roux (voto: 6). Ammettiamo che una certa confusione si crea nel capire che La Roux non è lei, Elly, la rossa cantante, ma un duo, anche se sul palco si presentano in quattro. E ammettiamo una certa confusione del pubblico nel capire che il duo non è francese, ma totalmente british. A parte ciò, il concerto dei La Roux non è niente di che. Ma davvero niente di che. Elly Jackson non ha personalità e l’electropop made in '80s della band si perde in un’ora di cover di un tempo passato. Elly passa metà dello show dando le spalle al pubblico e lei, come la band, sembrano usciti per direttissima da una qualche copertina di 'Dazed & Confused'. Il live è però pulitissimo, nessuna sbavatura. Quasi una innaturale ri-rappresentazione del disco. Musica senz’anima.

Mezz’ora prima del concerto di Doherty, decidiamo di sdraiarci vicino al palco a riprendere le forze. Tempo di sedersi e sul palco spunta proprio Peter, che inizia a lanciare birre al pubblico. Svuotata un’intera cassa frigo, scompare nuovamente dietro le quinte. Poco dopo è tempo del vero show di Peter Doherty (voto: 8), che si presenta solo con la propria chitarra (come a Milano tempo fa), il solito cappello e si mette a suonare. Suona tanto e di tutto. Si passa dai brani dei Libertines ('Time For Heroes', 'Can’t Stand Me Now' e molte altre), a quelli dei Babyshambles ('Delivery', 'Albion', ma non 'Fuck Forever'), alle cover ('Waterfalls' degli Stone Roses e 'Billie Jean' di Micheal Jackson), ai nuovi brani del suo disco solista. Ma Doherty risulta tutt’altro che il fiacco leader strafatto degli anni passati. Sa come suonare, sa cosa cantare, sa fare ciò che deve fare. Il suo forte carisma da idolo adolescenziale riesce a funzionare e mostra Peter in una veste che sembra calzargli a pennello, un cantautore moderno capace di creare inni giovanili. Il live si conclude con un duetto con Tricky facilmente evitabile: basta dire che Tricky non sa le parole della canzone e che, quindi, non canta praticamente mai.

Per continuare sulla strada di un festival altamente hip-hop, l’headliner di questa sera è Kanye West (voto: 9). E Kanye si dimostra un vero headliner. Un leader. Metà delle produzioni sono suonate, metà computerizzate. Kanye canta e rappa aiutato da vari coristi, agitandosi sull’enorme palco a sua disposizione. Interessante la decisione di strutturare la scaletta con un inizio composto da un medley dei suoi primi singoli di successo 'Through The Wire', 'All Falls Down', 'Homecoming', per poi lasciare gran spazio ai nuovi brani più elettronici come 'Love Lockdown' e gli altri singoli del suo ultimo lavoro. Intermezzi dalla forte carica come 'Jesus Walks' registrano una profonda tensione emozionale. Kanye sul palco padroneggia, fino ad un quasi delirio di onnipotenza quando, on stage, salgono cinque ballerine seminude e dorate che si dispongono immobili come un altare in suo onore. Una performance che conferma Kanye West come artista a tutto tondo. Uno dei pochi casi in cui un rapper riesce a scardinare la gabbia che si è auto-imposto e riesce a girare liberamente nel mondo della musica. La conclusione ne è manifesto: 'Stronger'.

Da un finale elettronico ad un set elettronico. Ecco il nuovo pupillo del french touch: Yuksek (voto: 8). Attorno a lui sono disposti computer, sintetizzatori, vocoder, mixer. Il set si compone a metà tra suonato e registrato. Il live è una forza elettronica che fa saltare tutti i presenti, fino ai più stanchi, come noi. Non c’è molta novità, anzi, molto si è già sentito in dieci anni di scuola francese, ma fa piacere l’alta qualità delle produzioni e la capacità di far ballare.

Ultimi ad interessarci sono i Friendly Fires (voto: 8). In Italia sono usciti con una hit da dancefloor come 'Skeleton Boy', in Inghilterra si son già fatti strada e in Francia sono famosi per la loro 'Paris' con le Au Revoir Simone. Il live è divertente, allegro, ritmato. Le sezione di batteria e percussioni aggiunte contemplano sia il mondo della classe dritta, sia quello dei ritmi tribali. La chitarra è tagliente e fa capolino con sferzate nervose e inusuali. La massima espressione della band, però, si registra nell’esplosione dei ritornelli in cui si viene a creare un’atmosfera unica, onirica. Sfortuna vuole che la chitarra negli ultimi due brani smetta di vivere. Ciò costringe il chitarrista a munirsi di maracas e di gettarsi sul pubblico in delirio. E il nostro Eurockeennes finisce qui.

Il terzo giorno vede in cartellone Mos Def, Slipknot, Phoenix e poco altro, ma oramai noi abbiamo deciso di rientrare in Italia e lasciarci dietro queste pianure francesi costellate da case minuscole.

In conclusione, un festival che per noi, non-francesi, è difficile da percepire come uno vero e proprio: quest’aria da sagra di paese permane per tutti i giorni. Ma, non facendo caso a ciò e all’eccessiva vitalità del pubblico, è un festival che può regalare ottimi live, soprattutto grazie a orari molto ben delineati e ad un’alta qualità della line-up generale.


Mattia Barro

venerdì 21 agosto 2009

"La sabbia nelle mura e nelle mutande" - STRALCIO

Le co-gestioni e le congestioni del nostro equo rapportarsi. I discorsi (in)finiti, infine.
La sabbia nelle mura e nelle mutande. Nei nostri sentimenti mutanti.
Girovagando per l'Europa ho trovato tutto eccetto te. E' certo.
E c'eravamo spogliati dai pomeriggi accaldati e dall'aria statica.
Statistiche a parte, non ci calcoliamo più.
I limiti sul nostro corpo e i lividi del nostro rapporto. Il mondo è solo una palla. Non giocando più il nostro è stato solo un puro sporcarsi di fango ancora.
La polvere sui dischi, sui libri, su noi, sui mobili Ikea composti e decomposti.
Gli inverni caldi.
Gli inversi saldi.
La nostra palla in saldo, ora.

Mattia Barro

venerdì 7 agosto 2009

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Ricegirl sleeps.

"Le rotaie con le biciclette incastrate dentro e i tram che deragliano" - STRALCIO

E quando si sono rotte le acque siamo affogati.
I taxi e i tassi d'interesse alti, l'alta tensione e l'alta velocità; e noi siamo bloccati nel traffico fitto di Milano. Partorirai tra lo smog e l'afa e la facilità di dire "Benvenuto a Milano, amore mio".
Tutto sembra sudare. Tutto sembra salutare. "Fai ciao con la manina".
La precarietà del lavoro mio e dell'equilibrio mentale tuo. Il dolore e il dollaro che perde sull'euro e le crisi da neuro che hai ora seduta sul sedile posteriore col posteriore appiccicato al sintetico.
Le rotaie con le biciclette incastrate dentro e i tram che deragliano.
Tu che urli e il 112 e il 113 e il 118 di via Nonriescoaleggerefinoalaggiù. Ma sempre Milano è. Ma sempre Milano c'è.
Impiccheremo dio nel suo stesso cordone ombelicale un giorno. Te lo prometto mentre piangi e bestemmi.
Vedo gli stemmi di chi ti salverà. Catarifrangenze e auto blu che ci sorpassano.
Non si pareggia nemmeno stavolta.

-Stralci Di Vita Quotidiana-
Mattia Barro

mercoledì 17 giugno 2009

"A bordo di un aereo sul tetto del mondo ho bevuto vino rosso" - SDVQ

A bordo di un aereo sul tetto del mondo, bevo vino rosso in bottigliette mignon come le nostre ambizioni relazionali. Il nostro "amore" è una turbolenza ed ogni volta che ne vieni a contatto, vomiti nel sacchetto di fronte a te.
Io ti tengo su la fronte.
Stiamo sorvolando l'oceano di stronzate che abbiamo fatto insieme, ma ne proviamo noia. Avvisteremo tutta la terra che abbiamo calpestato per decenni, prima, poi atterreremo schiantandoci contro la realtà.
Come quando a testa in giù mi hai detto che mi amavi e ho capito tutto, ma al contrario. Le gigantesche campagne militari della nostra adolescenza e le mine antiuomo che abbiamo lasciato come ricordo nei nostri parco giochi.
O come quando mi hai somministrato ogni droga possibile mentre giocavamo al dottore del SerT e io ti ho sorriso con uno sguardo perso, paragonandoti a dio. Addio rispondevi.
La hostess ci chiede se abbiamo bisogno di qualcosa da bere avere amare e tu scuoti il capo di Vivienne Westwood che indossi sulle ossa. Al nostro primo avversario hai detto che sono out e tuo. In ogni senso, fino a perderli e svenire.
Il nostro relazionarsi soffre di disturbi alimentari e le turbe elementari che non regoliamo più ci stanno mangiando vivi. E vegetali.
Mesi prima di questa partenza, recitavi ancora. Eri recidiva. Allora ti sei disintossicata da ogni parte e io da ogni arte. Per solidarietà e solidità. E soldi.
Il palco ti stava piccolo come quell'abito nero di chissà quale stilista. Non hai più mangiato da allora. In quel periodo eravamo diabetici e ridotti all'abc. Agli acidi. Agli AC-DC.
Ho sostituito la verità dei tuoi occhi con i tuoi status su facebook e forse ora ti capisco meglio. E ora che stiamo svanendo come la scia di questo aeroplano nel cielo, la borsa dei ricordi non ce l'ho.
Abbiamo anche provato a spegnere il cervello e i motori cercando di provare a sentire ancora qualcosa tra noi.
Abbiamo anche provato a chiedere al comandante di farci pilotare il nostro rapporto oltre altri meridiani e paralleli. Che siamo due orgogliose linee rette.
Ti indico un'isoletta a migliaia di piedi sotto di noi.
Ti dico che sarebbe bello aver casa in un posto così.
Con la testa tra le nuvole rispondi,
sì, forse.

-Stralci Di Vita Quotidiana-
Mattia Barro

martedì 2 giugno 2009

"Altre Brutte Citazioni" - SDVQ

A

Piove da quando mi hai detto ci vediamo e non ci siamo visti. I navigli esondano dai tuoi occhi sulle mie scarpe di tela e te la vorrei tanto dare la motivazione per chiudere i rubinetti della nostra indifferenza. Quando mi hai detto che sarebbe stato bello, o quantomeno normale, ho sorriso e mi son rotto la mandibola.
Mandami altre nostre bugie che ho fame.
Siamo finiti a santificarci ancora prima di parlarci e stratificarci, che ora siamo uno strato superficiale di laicità emozionale. Quantecazzatechedico.
Con i decibel delle tue poesie, per un po', mi ero tappato le orecchie dal mondo. Ma poi avevi altro da fare e il ritorno alla realtà è stato come frantumarsi. O dirti che mi

B

Vorrei che mi tirassi dietro tutti i libri che hai letto. A letto dici che questa è la prassi. Passi che sono giorni che eviti di amarmi, ma almeno rispondi al telefono che è urgente. Suono. Al tuo campanello.
Indosso una maglietta stretta sui polmoni che prima delle tue dichiarazioni non riesco a respirare e forse son svenuto proprio quando hai detto qualcosa riguardo alla fine di qualcosa e l'inizio di null'altro.
Ho finito gli sos. Aspetto la mezzanotte.

C

L'impossibilità di uscirne vivi in qualsiasi mo(n)do. I calli della nostra sopravvivenza tentata e tentennante che usiamo come scudo di protezione. Le nostre frasi preservativo. Perderti fa schifo.
Ho gli occhi gonfi come le tue caviglie. E il mal di testa del nostro sesso.
Ci siamo rotti le ditta stringendoci la mano in promesse (man)tenute all'oscuro.


-Stralci Di Vita Quotidiana-
Mattia Barro

sabato 23 maggio 2009

Diagnosi

ho perso i sentimenti.

sabato 9 maggio 2009

"abbiamo cucinato sulle nostre ferite aperte e abbiamo abbondato con il sale" - SDVQ

Che ci mettiamo in testa due cannucce piegate e ridiamo su di noi e sulle nostre aureole senza pensare ad altro ad alta musica brutta in filodiffusione ad un litro di alcool che abbiamo dimenticato nei frigoriferi di tutte le serate passate.
Per presentarmi faccio un segno con la mano sul tuo cellulare e per preservarmi decido che questo è l'ultimo cocktail. ma non mi credi nemmeno tu che sai tuttonientetuttoniente di me e quando rido roteo gli occhi e tu le labbra.
Piacere Mattia.
Piacere Scusanonhocapitoiltuonomepuoiripetermelo?
Dici che i giorni sono come i film porno, e che non abbiamo una trama. E me lo scrivi sullo specchio del bagno tracciando linee sul vapore. Dici "rimarrà per sempre. C-R-E-D-O."
Ti chiedo se vuoi rimanere per cena e tu rimani per pena di lasciarmi li ad affettare cuori arti cipolle. E quando piango tu ridi e viceversa; dipende da chi cucina.
Che il Wonka fa schifo e ci siamo conosciuti li e ci abbiamo riso su e tu l'hai cucinato andandotene via e lasciandomi li. Ti ho scritto se me ne lasciavi un po' e tu me ne hai lasc
Le rughe dei nostri quarant'anni suonati in due.
Le righe dei nostri quaderni piegati in due.
Pago per due ed entri solo te.
E ti saluto con la mano e tu non mi offri da bere e dico cristosanto ma non mi si moltiplicano i free drinks.
non C-R-E-D-O.

Settimana prossima andiamo a scontrarci ed incontrarci da qualche parte da qualche party.
Che mi hanno ridato la patente per vivere e i punti di sutura.


-Stralci Di Vita Quotidiana-
Mattia Barro

lunedì 27 aprile 2009

"Tutti i tetti del mondo danno sui nostri limiti?" - SDVQ

e poi ci finiremo a chiedere se tutti i tetti del mondo danno sui nostri limiti. che l'orizzonte si manifesta nel cortile interno delle palazzine dei nostri decifit. i nostri debiti d'amore e d'ossigeno che un giorno dovremo saldare. Saldiamo i nostri legami che tra poco cadiamo a pe
z
z i.
cristosanto.
ci siamo terrorizzati nel vederci riflessi nelle birre vuote e nelle notti vuote dove cerchiamo di riempirci di qualcosa. solido o liquido.
son rimasto chiuso fuori da te, potresti aprirmi in due e portarmi via il cuore e lo stomaco?
i nostri fegati appesi ad un filo e io che non ho il fegato per dataoraluogo in cui dirti che è finito un altro venerdi sera. Sarà che ci siamo rotti le scarpe a camminare su noi stessi. Sarà che abbiamo perso i calendari con i giorni del mestruo, i santi e i giorni in cui avremo vinto.
i giorni in cui ne sarei uscito vinto.

che tutto sa di niente,
apocalisse compresa.

trascorri qualcosa come una notte positiva un giorno positivo una settimana media.
che si è fatto tardi per arrampicarsi sul tetto di noi stessi.


-Stralci Di Vita Quotidiana-
Mattia Barro

sabato 18 aprile 2009

"quando parlavamo tra parentesi mi sembravi geometrica" - SDVQ

Parliamoci tra parentesi che i nostri discorsi così potrebbero sembrare più bisbigliati ed onesti. Ho sfondato la tua aurea entrandoci con la macchina ai 130 all'ora e mi hai chiesto se conoscevo una ditta sicura per ritirare su le tue protezioni. I preventivi e i preservativi che ti ha regalato tua madre anni fa. Senza accento.
I nostri discorsi che sono pavimenti e moquette e parquet e piastrelle. E tu ci cammini sopra coi tacchi alti per tutto venerdì sera e ti dico "no, non dovevo dirti nulla. Davvero.". Di nuovo. Di nuovo non c'è nulla. Parlo a te con un fare da artistoide intellettualoide asteroide. Parole a caso che così capisci meglio che non dico nulla di vera-mente logico.
Death Cab For Cutie.
Nome-di-architetto.
David Bowie.
Nomi-di-architetto-più-anziano.
Le questure di cuore. Abbigliati con la nostra falsa modestia. Nudi come non siamo stati mai, neanche quando mi ha chiesto se sarebbe stato bello farlo sopra i nostri romanzi incompiuti.
Ti ho detto che cerco l'equilibrio del mondo e tu mi hai spintonato giù dal letto che non avevi abbastanza spazio in quel momento. E nell'architettura contemporanea.
Che quando mi hai chiesto di suonare la nostra canzone al pianoforte ho suonato un miliardo di volte solo il Do. Ti do più opzioni di toccata-e-fuga che così stai tranquilla. Che in questo secolo non c'è più novecento.
Intanto poi finiamo a dialogare senza labbra. Che per quello che ci diciamo vivendo altrove, mi pare già abbastanza. E in Triennale ho riso e mi hai zittito. Abbassa la voce e le aspettative, mi hai detto piano. E non me lo aspettavo.
Quando parliamo tra parentesi mi sembri geometrica.
Per non dire altro.
Per non dire tanto.
perdio.


Avevi dei pantaloni blu e gli occhi blu, credo.
Ma ti mascheravi da bianco comunque.
Neanche fossimo chissà quali pittori stravaganti e vaganti.
Ti ho detto che sarebbe stato bello se solo fossimo...
finiamola lasciandoci in sospeso.


-Stralci Di Vita Quotidiana-
Mattia Barro

giovedì 9 aprile 2009

"le tue unghie stanno piangendo di nuovo" - SDVQ

Che poi ti dico che ti amo e finiamo a riderci su e giù che ti viene la nausea e vomiti e mi dici che sei incinta dei nostri difetti, e sei di fretta. E sei fredda.
Abbiamo preso così tanto freddo che l'abbiamo tenuto in borsa. E poi lo abbiamo giocato perdendo tutte le quotazioni e le equazioni. E le convinzioni.
E poi gli insonni e i sonni e in sonno sogno te che poi sono io e goodbye mr. Ego.
Qualcuno cade innamorato e qualcuno inciampa e si rompe i denti e sembriamo identici a quegli enti governativi che ci inondano di petrolio quando ci stringiamo le mani e le tue unghie piangono.
Che avevamo un credo, credo, ma lo abbiamo rimpiazzato con delle riviste di moda di musica di design, tanto per darci un tono. Tanto per darci dentro abbiamo ancora tutta la nostra maturità e la nostra vecchiaia. La nostra era glaciale.
Ed il nostro amore,
ahahahahahahah.


-Stralci Di Vita Quotidiana-
Mattia Barro

lunedì 30 marzo 2009

RECENSIONE DISCO - The Music Lovers - Masculine Feminine

PUBBLICATA SU INDIE-ROCK.IT

Music Lovers:
Masculine Feminine

ANNO: 2008
ETICHETTA: Sleeping Star

"Se si decidesse di usarlo come sottofondo per una cena romantica con l'amore della propria vita, sarebbe l'ideale"

VOTO: 7

GENERE: elegant-pop, since 2003 (come recita il loro sito web).

PROTAGONISTI: questi 'Amanti della Musica' sono una band di sei elementi provenienti da San Francisco. I componenti: Matthew Edwards (voce), Jon Brooder (basso), Bryan Cain (chitarra), Kate Weeks (tastiere e viola), Ping Chu (batteria), Isaac Bonnell (piano).

SEGNI PARTICOLARI: terzo album su Le Grand Magistery (in Italia esce per Sleeping Star) dopo 'The Words We Say Before You Sleep' e 'The Music Lovers Guide For Young People'.

INGREDIENTI: un pop al di fuori della comune denominazione. La band di San Francisco non ripropone la solita formula, ma cerca di articolarsi in un percorso più ricercato, più alto. A dar man forte alla splendida voce di Edwards, ci pensano arrangiamenti jazz, swing, soul, i quali impreziosiscono il suono in svariate occasioni.

DENSITA' DI QUALITA': non c'è che dire, dentro questo album c'è una ventata di 'intelligenza' enorme. Che però risulta essere sia il punto forte che il punto debole del lavoro in questione. 'Masculine Feminine' non è un disco d'impatto, da primo ascolto. Per esemplificare, se si decidesse di usarlo come sottofondo per una cena romantica con l'amore della propria vita, sarebbe l'ideale. Ma se lo si volesse utilizzare come sottofondo per una cena romantica durante la prima uscita con una ragazza, si potrebbe passare per noiosi e intellettualoidi. L'iniziale 'Blackout' è un ottimo esempio di Music Lovers: pop ricercato arricchito da echi di jazz e swing. Subentra a sprazzi un'anima più sbarazzina, come in 'Saturday' o 'A Word From Your Faschion Editor', a contrapporsi ad episodi di gran liricismo come 'Autumn Royal' (la sezione d'archi è grandiosa) e al puro sentimento di 'The Wherewithal'. Ad arricchire tutte le composizioni è la voce di Matthew Edwards, profonda ed aristocratica. Un barocchismo indispensabile per mantenere tensione durante l'intero svolgimento del disco. Per chi ama la musica. E vuole sentirla e scoprirla ascolto dopo ascolto.

VELOCITA': camminare in un riservato salotto altolocato.

IL SITO: 'Myspace.com/themusiclovers'; 'Themusiclovers.net'.

Mattia Barro

RECENSIONE - Metronomy (La Casa 139, 1-3-09)

PUBBLICATA SU INDIE-ROCK.IT

1-3-2009
Metronomy @ La Casa 139, Milano
Chi conosce i Metronomy sa più o meno di cosa si parla quando li si definisce 'Geniali'. Trovate intelligenti e divertenti nei videoclip quanto nei live. Pose plastiche, coreografie, giochi di luce (oltre alle ormai consuete luci rotonde sul petto, si aggiungono quelle inserite nelle chitarre e tenute al polso).

I brani proposti in scaletta sono tutti ballabili e presentano sempre qualche buono spunto. I singoli estratti ci sono tutti e stupisce come, qualsiasi canzone, pare essere un papabile singolo futuro. La formula sulla carta è semplice: tre tastiere accompagnate a tratti da basso, chitarra e sassofono sopra le ritmiche in uscita dal Mac. Trame elettroniche con riff di tastiera appiccicosissimi, canto spesso in falsetto aiutato da cori e controcori ('Holyday', in apertura, ne è la sintesi).

Ogni componente della band, sul palco, diviene solista nel gruppo. Si viene quindi rapiti dai saltelli sia fisici che musicali di Oscar Cash (vero leader visivo), dall'autocelebrazione di Gabriel Stabbing e dal simpatico atteggiamento del cantante Joseph Mount ("The friendliest man in pop" per l'NME).

Un concerto davvero piacevole. I Metronomy garantiscono divertimento e interessante musica da ballare. Per chi era arrivato in Italia di spalla ai Bloc Party qualche anno fa, l'affermazione è finalmente giunta: signori e signore, ecco a voi i Metronomy.

Mattia Barro

RECENSIONE - Dente (Magnolia, 3-3-09)

PUBBLICATA SU INDIE-ROCK.IT

3-3-2009
Dente @ Magnolia, Segrate (MI)
Sarà che è martedì sera, sarà che pioviggina, sarà che non c'è il mare a Milano. Probabili ragioni per spiegare la freddezza iniziale del pubblico milanese che subito si scontra con lo spiccato umorismo e la vivacità attitudinale di Dente. Accompagnato da tastiera, basso e batteria, il cantautore italiano, finalmente alla sua consacrazione su larga scala, presenta il suo nuovo disco con un lungo live diviso in tre parti.

Si inizia con un trittico tratto dall'ultimo lavoro, con 'A Me Piace Lei', 'Incubo' e 'Buon Appetito', ma Dente non si dimentica dei precedenti lavori, anzi, ne ripesca i suoi massimi esponenti come 'Canzone Di Non Amore', 'Baby Building', '28 Agosto' e molte altre.

C'è sempre grande intensità nei brani proposti e il pubblico, pian piano, si lascia rapire dal cantautorato dolce e raffinato del nostro Giuseppe Peveri. Sono tutte esecuzioni di alto livello, intramezzate da simpatici siparietti (auto)ironici di Dente che riesce pienamente a conquistarsi una folla che pareva, addirittura, scettica nei suoi confronti. Spesso è lo stesso cantautore, però, a dover rimbrottare i disattenti (a dir poco) fonici, persi "a farsi le canne" invece di aggiustare la voce del tastierista che sparisce a tratti e che non pare venga notata dagli addetti ai lavori a fondo sala.

Dopo una lunga scaletta (che si conclude con la cover di 'Verde' dei Diaframma), congedandosi con la frase "Vado. Vado a fare pipì", il cantautore di Milano ritorna sul palco poco dopo in solitario (e con aureola in testa) per una ricca proposta di canzoni voce-chitarra. I brani storici sembrano quelli più amati ed aspettati dal pubblico che, quando può, si lascia andare ad un canto leggero di supporto.

Recuperata la band, c'è ancora un ultimo spazio dedicato ad altre canzoni di non amore prima della definitiva conclusione che, però, viene ancora rimandata da Dente, affamato di palco, che torna per i "bisses". Si riparte con 'Parlando Di Lei A Te', in cui c'è un intenso duetto tra pianoforti, per concludersi, stavolta definitivamente, con 'Beato Me' (tratto dalla fresca compilation 'Il Paese è Reale').

Seguendo le buone impressioni ottenute con The Niro e Vasco Brondi, Dente mantiene alto il percorso cantautorale intrapreso dai giovani talenti italiani in quest'ultimo periodo. Portando sul palco ironia (è straordinario l'atteggiamento che mantiene con il pubblico) e una lunga (quasi un'ora e mezza) e alta e straordinaria qualità musicale, un concerto di Dente si rivela la semplice formula della felicità.

Mattia Barro

INTERVISTA - Handsome Furs

PUBBLICATA SU INDIE-ROCK.IT

Interview: Handsome Furs
Arriviamo alla Casa 139 e Dan e Alexei, marito e moglie uniti musicalmente nel nome di Handsome Furs, sono alle prese con un set fotografico. I due canadesi sembrano cool rockstar da cui sarà difficile estrapolare qualcosa. Ma dopo alcuni scatti svelano la loro anima divertente e socievole. Cambiando completamente l'idea che ci eravamo fatti ad un approccio puramente visivo, ci sediamo con loro per una deliziosa chiaccherata.

Indie-Rock.it - Siete un duo e siete marito e moglie. Quando vi siete conosciuti e avete iniziato a vivere ed a lavorare insieme?

Dan - Ci siamo conosciuti circa 5 anni fa.

Alexei - Lavoravamo in uno stesso call center a Montreal.

Dan - Entrambi avevamo una relazione in corso e una forte attrazione reciproca. Continuare a vederci ogni giorno ci faceva impazzire. Così abbiamo lasciato quel lavoro e, praticamente, per due anni non ci siamo più visti. Ci siamo poi incontrati nuovamente 3 anni dopo a Vancouver, dopo un concerto coi Wolf Parade. Avevamo chiuso con le nostre passate relazioni e allora abbiamo iniziato a vederci. Siamo andati a vivere insieme in un appartamento minuscolo, abbiamo formato gli Handsome Furs e siamo andati in tour, principalmente nel nord Europa.

Alexei - Il nostro primo live è stato ad Oslo.

Che differenza riscontrate tra la vostra relazione sentimentale e quella lavorativa?

Dan - Non so quale sia la differenza...

Alexei - Come facciamo sesso a letto, lo facciamo anche sul palco!

Dan - Di certo è molto differente dal suonare con una band. Non ci sono quel genere di tensioni. La musica è gran parte della nostra vita, del nostro rapporto. Di sicuro ci sono molte differenze, ma per come la viviamo ora, non saprei elencartele.

Potreste essere comparati ad un'altra famosa coppia di Montreal, il nucleo fondante degli Arcade Fire...

Alexei - Sì sì, oltretutto Dan ha suonato il basso negli Arcade Fire.

Dan - Sì, ero un loro membro agli esordi. Arlen (Wolf Parade) ha suonato la batteria in un loro brano ('Wake Up'), mentre io sono uscito dalla band prima delle registrazioni del disco. Proprio in quel periodo stavamo formando i Wolf Parade e, sia io che Arlan, abbiamo deciso di concentrarci solo su quello.

Rimaniamo ancora sui Wolf Parade. Dan, come cambia il tuo approccio nel suonare con la tua band invece che con Alexei?

Alexei - Non fa sesso sul palco!

Dan - E' completamento diverso, è proprio un altro mondo. Con la band, il nostro flusso creativo lo troviamo jammando in studio per un lungo periodo. Di solito ci troviamo io, Spencer e Arlan. E' un processo totalmente diverso rispetto a quello che accade negli Handsome. Convivendo con Alexei, quando un'idea nasce, la buttiamo sulla drum machine velocemente.

Alexei - Possiamo lavorarci poi su la notte, o la mattina. Fermarci per cena e riprendere rapidamente.

A tal proposito avevamo preparato una domanda, fate musica prevalentemente a casa o in studio?

Dan - Entrambi.

Alexei - Ora stiamo principalmente lavorando in studio dove cerchiamo di perfezionare ed arricchire la traccia o l'idea che è nata precedentemente a casa.

Dan - In studio, potendo lavorare in zone separate, riusciamo a chiarire meglio la direzione che sta prendendo il brano. Oltretutto è davvero vicino a casa, quindi ci andiamo spesso anche se dobbiamo farci una fottuta camminata.

Alexei, tu sei una scrittrice. Puoi parlarci di questa tua carriera?

Alexei - Scrivo storie brevi, dialoghi, cose così. Molti sono stati pubblicati per riviste o siti internet.

Chi scrive i testi delle vostre canzoni?

A: entrambi.

E quali sono le maggiori difficoltà che hai trovato nel passare da scrivere questo genere di cose a scrivere liriche per canzone?

Alexei - Scrivere le liriche è stata davvero una grande sfida per me. E lo è ancora. E' totalmente differente. Ciò che scrivo normalmente è più articolato, posso dilungarmi e perdermi di più su qualche questione o qualche particolare.

Dan - Personalmente, credo che la sfida più grande per Alexei sia rendere poetica la canzone. Il 90% delle canzoni rock ha questo problema. Ciò che scrivi su carta spesso sembra perfetto, ma la difficoltà sta nella capacità di trasportare quelle sensazioni all'interno della canzone e unirle al mood musicale. Non è solo il testo che ha importanza, ma soprattutto il modo in cui lo canti. E anche se a volte le liriche appaiono semplici, cambiando la maniera di interpretarle vocalmente, cambia il loro significato.

Alexei - L'obiettivo è scrivere qualcosa di pulito ed immediato che arrivi.

Qual'è la principale ragione che vi spinge a fare musica?

Dan - Non potrei fare nient'altro. Credo che questo valga anche per Alexei. Ho provato a fare lo chef andando in delle scuole professionali apposite. Ma quando la musica arriva, ti distrugge tutte le carriere intelligenti che avresti potuto percorrere. Avevo una carriera da chef, ma l'ho buttata via per andare in tour.

La musica è strutturata su più livelli. Una parte ritmica, una melodica e così dicendo. La loro somma forma il suono. Quale è la vostra relazione con il 'suono'?

Alexei - Per me dipende dalla singola canzone che stiamo producendo. A volte cerchi di creare una determinata atmosfera e ti concentri su quello, altre volte vuoi soltanto musicare il rumore.

Dan - Io prediligo la semplice melodia. Una buona struttura, con una melodia diretta e rumore nel background. Per questo apprezzo i Sonic Youth o altre robe del genere. E' il suono con cui sono cresciuto. Quella musica che spesso si avvicina al confine della non-musica.

Quali sentimenti avevate durante la lavorazione del primo disco e quali avete inserito in quest'ultimo?

Alexei - Il primo album è nato dal nulla, senza aver avuto esperienza live insieme. Questo, invece, cresce con alle spalle una lunga militanza sui palchi che l'ha portato ad adattarsi e a vestirsi di un'anima più rock, più veloce, più groovy.

Dan - Il primo è nato rapidamente. Mentre i brani di quest'ultimo li abbiamo provati in tournée. Erano molto più rumorosi in principio, poi ci hanno rubato la drum machine e abbiamo dovuto riprogrammare tutto su di un'altra. Durante questo procedimento abbiamo accelerato le tracce. Finito il tour avevamo abbastanza materiale per completare 'Face Control', il quale è un lavoro più focalizzato, al contrario di 'Plague Park' che è nato in una vena più istintiva. Amo quel disco ma ora non ci rappresenta più completamente, siamo cambiati. Abbiamo viaggiato molto.

Il vostro continuo viaggiare come influenza la vostra musica?

Alexei - Molto. Un album come 'Face Control' dipende gran parte dai nostri viaggi e dai nostri spostamenti. L'incontrarsi con popoli di culture storicamente diverse. E' cambiato il modo di scrivere e di approcciarsi alla musica. Le idee venivano a crearsi rapidamente viaggiando, in studio le abbiamo semplicemente sviluppate e concluse.

Dan - Abbiamo fatto foto dei vari posti che abbiamo visitato e in studio, riguardandole, cercavamo di recuperare quelle sensazioni...

Alexei - Ad esempio, suonare provando a sognare Mosca. Con ciò che ci aveva trasmesso.

I nomi dei vostri dischi derivano da episodi o posti reali. Potete raccontarci le storie che si celano dietro ad essi?

Dan - 'Face Control' è una sorta di dress-code, un'usanza russa. Club e ristoranti russi hanno sulla porta questi enormi uomini che ti guardano, ti squadrano e decidono se puoi entrare o no. Anche se hai già pagato soldi per prenotare un tavolo, all'entrata, questa persona può decidere di non farti entrare. Non è un vero e proprio controllo dell'abbigliamento, decidono in base al tuo volto. E' un controllo del volto.

Alexei - 'Plague Park' è una località in Finlandia, nella sua capitale, Helsinki. E' un parco dove sono sepolte centinaia di persone ed è strano vedere quanta vita c'è e quanto è magnifico l'ambiente li intorno. In primavera, addirittura, c'è un enorme festa su questi campi verdi e tutti bevono birra. E' strano percepire tanta vita sopra così tanta morte. A Helsinki è tutto così fantastico, così suggestivo.

Avete un forte legame con la Scandinavia, non avete mai pensato di trasferirvici?

Alexei - Ci andrei subito. Mollerei tutto per andare li, ora. E' Dan che non vuole trasferirsi. Soprattutto per via dei Wolf Parade.

Dan - A me piacerebbe spostarmi a Siracusa. L'Italia è stupenda. Siamo già stati qua qualche volta e l'amiamo. Siamo stati vicino a Siracusa, in vacanza, ed era fantastico come la gente si relazionava con noi. Credo sia un paese incredibile. A partire dalle persone. Sono affascinato da questo forte carattere che avete.

Avete un tour incredibile. Date in tutta l'Europa e per il resto dell'America e del mondo. Che diverse sensazioni ricevete dai vari paesi?

Dan - I ragazzini, soprattutto negli USA, sono entusiasti, ma rimangono a guardarti con il loro cellulare o il loro iPhone, ti filmano e ti riguardano poi su YouTube il giorno dopo. Ti applaudono ma non esprimono quelle emozioni che rivedranno online o scriveranno su qualche blog. Tutto ciò mi disorienta. E' un vivere la realtà senza parteciparci. In Italia, ad esempio ieri a Brescia, invece, parlano, ascoltano, danzano, restano li con il loro bicchiere di birra, fan casino, applaudo, partecipano. E la gente è di qualsiasi età. Non è settoriale.

Alexei - All'est, d'altro canto, ti guardano con profondo interesse. Porti una grossa novità. E per questo, la folla è decisamente più casinara e rapita dallo show.

Dan - In USA ci sono i ragazzi dal college, in Europa c'è una platea più matura.

Alexei - E in Europa si mangia meglio.

Dan - Tranne in Inghilterra. Lì il cibo fa schifo.

A proposito di questi ragazzini iper tecnologici, nel vostro MySpace, nella biografia, c'è una forte critica verso la YouTube generation. Qual'è la vostra opinione a riguardo?

Dan - In paesi come Canada e, specialmente, negli Stati Uniti, internet è diventato un mezzo prevalente nelle comunicazioni personali. Nel sito dei Wolf Parade, dove la gente ci chiede prevalentemente informazioni sui dischi o sul tour, abbiamo dovuto rimuovere parecchi commenti di gente che ci buttava dentro la sua merda personale. Trovo figo, invece, che vengano postati i video dei concerti.

Alexei - L'uso di internet dipende molto da dove ti trovi. In molte zone è usato al fine di scoprire qualcosa di diverso su cui dialogare.

Dan - In Nord America e nell'Europa occidentale è diventato il mezzo prioritario per informarsi e parlarsi. Ne sono critico perché penso sia difficile apprezzare qualcosa in quella marea di informazioni...

Alexei - Che spesso finiscono per essere approssimate e poco accurate.

Una domanda prettamente tecnica, qual'è la vostra strumentazione?

Alexei - Io uso un MicroKorg. E una drum machine di produzione scandinava.

Dan - Io invece una Fender Telecaster prodotta in Messico. Un chitarra di ottimo rapporto qualità/prezzo e che si sposa bene con dei pedali stranissimi che mi porto dietro.

Giusto qualche giorno avevamo una discussione sul valore del MicroKorg. Credete che verrà ricordato come il 'suono' di questi anni?

Dan - Credo sia uno strumento straordinario! Ha la capacità di creare dei suoni pazzeschi. Ha tutte le carte in regola per diventare un modello di riferimento di questo periodo.

Alexei - Ora davvero in molti ne fanno utilizzo. La vera sfida sta nell'usare il MicroKorg in un modo originale in cui nessuno è ancora riuscito.

Siete sotto contratto con la Sub Pop, come gli italiani Jennifer Gentle. Li conoscete?

Dan - Si, li abbiamo visti l'altra sera. Sono fantastici. Ne abbiamo parlato con dei ragazzi di Bologna di come è assurdo che in Italia siano così poco conosciuti ed apprezzati.

Alexei - Sono davvero bravi.

Dan - Sai, anche la Sub Pop non capisce perché non abbiano mercato qui da voi...


Mattia Barro con la collaborazione di Roberto Grosso Sategna

RECENSIONE DISCO - Fever Ray - Fever Ray

PUBBLICATA SU INDIE-ROCK.IT

Fever Ray:
Fever Ray

ANNO: 2009
ETICHETTA: Rabid

"Ansioso e luminoso, piovoso ed innevato"

VOTO: 8

GENERE: electro-pop nordico.

PROTAGONISTI: Karin Dreijer Andersson: conosciuta al di fuori dai confini svedesi per gli ottimi risultati internazionali ottenuti, con suo fratello, nei Knife e per aver collaborato con i norvegesi Royksopp ('What Else Is There?') e i belgi dEUS ('Slow').

SEGNI PARTICOLARI: opera prima, da solista, per la cristallina Karin. Fever Ray arriva dopo il successo di 'Silent Shout', terzo disco in studio per i Knife. Anche l'esordio della Andersson è prodotto da Christoffer Berg, già dietro i comandi nei suoi progetti precedenti.

INGREDIENTI: electro a tratti molto minimalista, con scorci di arcobaleni. Il sole tra le neve appena posatasi su una struttura ritmica cupa.

DENSITA' DI QUALITA': Karin è, nel nostro immaginario, la voce dei ghiacci e delle nevi nordiche. Ha quel timbro inconfondibile che potresti riconoscere ovunque. Anche sotto ogni effetto e distorsione applicatole, la sua glaciale purezza è un dono limpido. 'Fever Ray' è un disco ansioso e luminoso. Piovoso ed innevato. Ad aprire questo suo esordio troviamo il primo singolo estratto, 'If I Had A Heart'. Una cupa trama sonora. Se avessi un cuore potrei amarti. Un dialogo claustrofobico tra una voce profonda e lontana e il pulito canto di Karin. 'When I Grow Up', tra i brani più riusciti, esprime magnificamente il liricismo della cantante svedese che si appoggia come solo lei sa fare su un beat minimalista ed una chitarra ritmica. 'Dry And Dusty' gioca ancora con il dialogo tra voci mentre 'Seven' cerca una via più electro, con un basso a strutturare il brano ed aperture sonore che si diffondono tra le pianure innevate della Svezia. La successiva 'Triangle Walks' si riempie di barocchismi divenendo uno dei lavori musicalmente più 'vivaci' di quest'opera. Al contrario, 'Concrete Walls' è un'altra traccia al piombo, grigia e cadenzata. Le liriche traggono spunto dalla seconda maternità di Karin. La composizione diviene un'anti-ninnanna, proprio come 'If I Had A Heart' può essere considerata, commercialmente, un anti-singolo. 'Now's The Only Time I Know' trova le migliori linee melodiche del disco amalgamandosi con una struttura ricca e aperta. Probabilmente l'apice della produzione Fever Ray che riusciamo a scovare. 'I'm Not Done' è un'altra perla, costruita attorno ad un beat complesso ed armonioso. Ampia e coinvolgente. 'Keep Streets Empty For Me' è, invece, completamente in balia della voce della Andersson: un tappeto sonoro dove Karin si adagia e lascia libero sfogo alle sue ansie e ai suoi desideri. In coda, 'Coconut'; un lento concludersi.

VELOCITA': si viaggia su binari nordici ai 100 bpm con qualche rara accelerata e qualche conseguente rallentamento.

IL TESTO: "I live between concerte walls / In my arms she was so warm / Eyes are open and mouth cries / Haven't slept since since summer", tratto da 'Concrete Walls'.

LA DICHIARAZIONE: da una dichiarazione della stessa Karin: "La metà delle canzoni vertono sul subconscio, sono idee di cose che succedono. Molte di esse riguardano il sognare di giorno, quando si è svegli ma stanchi; e molte delle storie sono realmente accadute nel mondo."

IL SITO: 'Feverray.com'.

Mattia Barro

INTERVISTA - Emidio Clementi (Massimo Volume)

PUBBLICATA SU INDIE-ROCK.IT

Fnac, Milano. Tardo pomeriggio. Emidio Clementi (Massimo Volume) finisce il reading composto da estratti del suo nuovo romanzo 'Matilde E I Suoi Tre Padri' e si ferma a salutare e ringraziare la coda di fan ed amici che strepitano dal bisogno di comunicargli qualcosa. Dopo essersi concesso ad ognuno di loro, Mimì mi fa strada fino ad un ufficio dietro la sala del reading. Si gira una sigaretta (la prima di molte) e iniziamo una chiaccherata sulla scrittura e sulla musica.

Indie-Rock.it - La decisione di riformare i Massimo Volume è data dal fatto che credevate di aver qualcosa di nuovo da dire o perché ritenevate che quello che avevate detto era ancora valido e da propagandare?

Emidio Clementi - In realtà è stato veramente un caso. Siamo stati contattati dall'organizzazione del Traffic di Torino per una doppia serata, comporre musica inedita per il film 'La Chute De La Maison Usher' e suonare con Afterhours e Patty Smith. Non potevamo dire di no. Noi l'abbiamo vissuta come un rimpatriata per un occasione speciale. Dopo ognuno di nuovo al proprio lavoro. Poi però rimettersi a suonare e risentire il nostro suono che esce... C'è sembrato attuale e ci siamo chiesti: "Perché no? Perché non rimettersi a suonare e fare un disco nuovo?". Forse però l'idea non sarebbe venuta a nessuno se non ci fosse stata quella chiamata.

State lavorando al disco nuovo. Che tratti avrà questo lavoro, a 6 anni di distanza dal precedente?

A questa domanda non so davvero risponderti. Siamo ancora agli inizi, è prematuro parlarne. Io vorrei salvaguardare la poetica dei Massimo Volume perché è qualcosa che ci appartiene. Naturalmente vogliamo però fare un disco che parli al 2009, non so a quale tipo di pubblico, ma vogliamo che sia attuale. Non possiamo ripartire dal 2002. Ma ciò che sappiamo fare, non voglio perderlo nel tentativo di attualizzarci.

Il vostro modo di fare musica si è comunque propagato nella musica contemporanea. Citiamo Offlaga Disco Pax e, in parte, Vasco Brondi de Le Luci Della Centrale Elettrica su tutti. Avresti mai pensato di riuscire a fare scuola?

No, no, assolutamente. Ne parlavamo anche tra di noi e notavamo che ciò che ci sembrava un limite dei Massimo Volume era che fosse un progetto un po' fine a se stesso, nel senso che era difficile trovare, per noi, vie di fughe da quell'attitudine. Invece così non è stato e ci fa davvero molto piacere che si sia creata, mettendo le virgolette, una scuola. Noi non abbiamo inventato nulla, non siamo stati i primi. Io sono cresciuto, ad esempio, con gli Starfuckers. 'Brodo Di Cagne Strategico' è un disco che mi ha ispirato molto. C'erano molti punti di contatto con ciò che poi avremmo fatto noi. Cito anche i CCCP, anche se la loro poetica l'ho sempre considerata molto differente. Ho apprezzato molto che Max (Collini, Offlaga Disco Pax) e Vasco parlino di questa nostra influenza nella loro musica. Inoltre con loro ho un rapporto d'amicizia.

Come è stato tornare sul palco dopo tutto questa lunga pausa?

Bello, emozionante. La gente lo aspettava da tempo. C'è stata una bella prova di attaccamento da parte del nostro pubblico, di affettuosità, di presenza. E' anche vero che questa volta abbiamo raccolto ciò che non ci era stato dato, tranne che con l'ultima tournée forse. Oltre a coloro che ci seguivano all'epoca, si è formata una nuova generazione che ha scoperto i nostri dischi ed ha avuto l'occasione di vederci dal vivo. Questo oltre a farci piacere, ha allargato la fetta del nostro pubblico.

E a livello di sensazioni?

Più che sensazioni, ho avuto le stesse paure di sempre. Molto profane. Il bello di un concerto lo recuperi alla fine, ma li per li, in un occasione come quella di Torino, dopo sei anni che non suonavo dal vivo, hai poco tempo di pensare a ciò che c'è stato prima. Controlli se il basso è accordato, se ti ricordi gli stacchi, se senti abbastanza la batteria. Si rimane molto sul pratico. Nel frattempo io ho continuato a salire sul palco, ma ciò che mi mancava di più era la potenza del suono. Mi son continuato ad esibire in cose più fragili, più a bassa voce, mi mancava la spinta del suono.

Come vivi i differenti approcci al palco, da una parte il reading e dall'altra il live con i Massimo Volume? E' la mancanza di potenza la più grande differenza?

Sì, sicuramente. Mi piace muovermi per il reading, è più snello e più rapido. Non c'è soundcheck e attrezzatura da montare e smontare. Ma, probabilmente, c'è qualcosa di più sacrale che circonda un concerto vero e proprio. Io voglio continuare a vivere entrambe le situazioni.

Come vivi l'intimità del reading? Probabilmente leggendo qualcosa di più tuo, non difeso dalla potenza sonora, metti più a nudo la tua anima di fronte agli sguardi delle persone.

Ormai non mi spaventa più di tanto. Ne ho fatti davvero tanti. Poi, in particolare con quest'ultimo libro, che ha poco di autobiografico, riesco ad essere anche un po' più distaccato.

Quando hai iniziato a scrivere?

Al liceo.

Hai sempre prediletto questa forma racconto, o hai provato a sperimentare altre vie di scrittura?

All'inizio erano cose molto semplici, frammenti. Molto simili a ciò che poi è divenuta la poetica dei Massimo Volume. Tutto si risolveva in una pagina. Dopo il primo disco che abbiamo prodotto, ho sentito l'esigenza di allargare i miei confini. Mi stavano stretti i 3-4 minuti della canzone. Il passaggio complesso è arrivato con la scrittura da romanzo. In un romanzo è difficile tenere presente tutta la storia e avere la struttura ben chiara e visibile. Un racconto breve ha il vantaggio di essere facilmente rileggibile, mentre in un romanzo è più difficile vedere dove stai portando la tua storia. Son contento della mia carriera da scrittore nella quale son riuscito a crescere un passo alla volta, partendo da una piccola casa editrice, senza che nessuno mi assillasse.

Scrivere partendo dalle proprie ossessioni. Credi sia questo che il punto da cui parti per scrivere o hai altri motivi?

Credo che nella scrittura di ognuno, compresa la mia, c'è sempre qualcosa che ritorna in ogni libro. Io mi chiedo spesso perché scelgo di parlare di certe persone invece che di altre, di cui magari conosco meglio la biografia e le caratteristiche. Però spesso mi rendo conto che reputo affascinante da raccontare il momento in cui una persona si trova da sola ad affrontare il mondo. Persone che nella solitudine devono affrontare una situazione. Infatti, più o meno, ho sempre parlato di questo. Credo che sia vero che siamo spinti da ossessioni. Non so se siano proprio ossessioni, ma considerando che tornano con una certa frequenza, forse è questa la parola esatta.

Come definiresti di per sé, o rispetto agli altri, 'Matilde E I Suoi Tre Padri'?

Rispetto agli altri c'è un cambio di passo abbastanza evidente. Sicuramente è un libro borghese. Di una borghesia magari illuminata, ma pur sempre borghese. Ho cercato di lavorare soprattutto sullo stile dato che parlo di argomenti come il '77, come il movimento a Bologna e le case occupate che sono già stati descritti molte volte con un grande carico di pathos e nostalgia. Io invece volevo parlarne con distacco, come se ne prendessi le distanze.

A differenza dei tuoi precedenti lavori, questo romanzo non è autobiografico. Quindi mi sorge spontaneo chiederti, quanto c'è di autobiografico in un romanzo non autobiografico?

Sempre abbastanza. Quando descrivi le reazioni o i sentimenti di alcuni personaggi è normale che ti rifai alle tue reazioni, o sentimenti, in determinate circostanze. In una qualche maniera ha profondamente a che fare con me stesso. Credo che in questo libro, tante cose che appartengono a Laura, ad esempio, siano mie. Devi comunque diluirle. Forse è un percorso più affascinante dell'autobiografismo in senso stretto.

Come hai vissuto l'evoluzione come scrittore e come musicista?

In parte è stato un percorso parallelo con vari punti di contatto. Nella band c'è un lavoro più di equipe e i cambiamenti risultano più repentini quando tutti si muovono dalla stessa parte, anche se spesso diventano più complessi. Dal punto di vista letterario, c'è stato un distacco sempre più maggiore dal mio vissuto. Già da 'L'Ultimo Dio', che è un lavoro molto autobiografico, riuscivo già a maneggiare con maggior cura l'immaginazione. Prima mi risultava più difficile.

Ho letto, in qualche tua intervista, che ti turba l'aver perso "gli orizzonti sconfinanti dell'adolescenza"? Cosa rimane della tua adolescenza?

E' una domanda difficile. Il nucleo di me è rimasto comunque inalterato, anche quando ho preso coscienza di me. Le mie insicurezze e i miei entusiasmi credo che agiscano sempre stimolati dalle stesse cose. In quello non sono cambiato. Però è vero che col passare degli anni, l'orizzonte diventa sempre più limitato e cominci a farci i conti. Ma d'altro canto, è anche rassicurante. Prima avevo orizzonti molto più ampi e riuscivo a stemperare le tensioni in un futuro che sarebbe stato completamente diverso. Adesso ho capito che l'unica cosa che mi resta da fare è affinare quei pochi ambiti in cui ho capacità. In questo caso la scrittura e la musica. Si vive sempre su un filo facendo l'artista, ma questo equilibro precario mi protegge in un qualche modo.

Come ha influito la tua paternità in questo?

Parlando a livello pratico, ho iniziato a scrivere il libro prima che Nina nascesse. Dopo la sua nascita mi è stato più facile descrivere Matilde, perché ho potuto proprio vedere in presa diretta i suoi atteggiamenti. In generale, come succede ad ogni padre credo, oltre alla stanchezza, la paternità porta un maggior senso di responsabilità. E' anche vero che i figli riescono a spegnerti i pensieri. Quando sono agitato, passare mezz'ora con mia figlia mi rilassa molto.

Qual'è lo scritto o lo scrittore a cui ti senti più legato?

La scrittrice che prediligo è Katherine Mansfield, la sento molto vicina.

E su ciò che hai scritto te? Con quale hai un maggiore legame interiore?

Non per sviare la domanda, ma mi piacerebbe ricompattare tutto ciò che ho scritto in un unico libro e dire "questo". Quello che ha più limiti, è il mio primo romanzo 'Il Tempo Di Prima', ma anche li, ci sono delle pagine che, rileggendole, mi piacciono. Nello stesso modo trovo difetti in ogni mio romanzo. Mi piacerebbe dire l'ultimo, perché è l'ultimo, perché è l'ultimo di un percorso. Però, forse...dai, 'L'Ultimo Dio'.

Città come Bologna e Torino appaiono ricorrenti e fondamentali con la tua vita. Com'è il tuo rapporto con queste città? Quanto influisce?

Molto. Ad esempio, in quest'ultimo lavoro ci sono anche gli Stati Uniti con San Francisco e New York. Luoghi che, per ironia, ho visitato dopo aver scritto certe pagine. Allora sono andato a visitarle controllando se avessi scritto tutto giusto. Sai, ora con 'Google Maps' sei comunque aiutato, anche solo a vedere le disposizioni dei vari locali. Però ti muovi su un terreno più scivoloso. Quando conosci una città, e ne scrivi, riesci a muoverti decisamente meglio.

Conclusasi questa risposta, gli addetti ai lavori della Fnac ci invitano cordialmente ad uscire dal locale e a svuotare il piccolo palco dove Emidio aveva eseguito il reading accompagnato da un chitarrista. Ci congediamo con un abbraccio. E qualche augurio.


Mattia Barro