sabato 22 agosto 2009

REPORTAGE MUSICALE - Primavera Sound Festival, Barcellona (Spain)

PUBBLICATA SU INDIE-ROCK.IT

28-5-2009
Primavera Sound Festival @ Barcellona (Spagna) - Giorno 1

Barcellona è la città dove ogni ragazzo si vorrebbe trasferire. Sole, mare, gente positiva e molto aperta, birre a basso costo, divertimento ovunque e sempre. Una città viva che può permettersi, durante l'estate, un numero elevato di festival con generose line-up. E per questo si inizia già a maggio con il Primavera Sound Festival. Il Primavera è collocato sulle spiagge mediterranee, è formato da 5 palchi (con sfondo marino) e dura tre giorni. La birra costa tra i 2 e i 4 euro, il perimetro è immenso e c'è sempre il sole (almeno quest'anno), anche se la temperatura non diventa mai ossessiva.

La prima band che riusciamo ad ascoltare sono i Women (voto:6), di cui, da qualche tempo, si vocifera parecchio. Le trame dei loro brani sono rarefatte e spesso è lo shoegaze a padroneggiare sul palco Pitchfork. Vi è un certo distacco tra la band e il pubblico, causata soprattutto da una mancanza di personalità da parte del cantante, spesso troppo distante dal microfono per dar sfogo alla sua timbrica. Il suono dei Women è comunque di ottimo livello, supportati prevalentemente dalle grandi doti del loro batterista. Lontanamente, qualche sonorità potrebbe ricordare i Jesus And The Mary Chain o il loro limitrofo periodo storico.

Ci spostiamo per l'enorme territorio a disposizione del Primavera e ci imbattiamo nei Magik Markers (voto: 4), band che giace sotto l'ala protettrice di Thurston Moore. Dal vivo non capiamo, però, il perché di tale scelta da parte di Moore. Elisa Ambrogio (voce-chitarra) cerca a tutti i costi l'attitudine da menefreghista in una jam session ubriaca e la band si perde nei propri stessi limiti dettati dalla totale anarchia che regna on stage. "E' psicosomatico, è tutto nella tua testa", è ciò che rimbomba dall'amplificazione.

Il Primavera concede anche due piccole zone dove poter schierare alcune band in versione acustica (Ray-Ban Unplugged Stage) o in versione garage (MySpace Stage). La prima performance acustica a cui riusciamo a partecipare è quella dei Veracruz (voto: 7) che, in verità, ci lascia perplessi in quanto, sul programma principale, erano segnalati i Phoenix. Rammaricandoci per la scoperta che il programma era stato cambiato (senza avvertimenti di nessun genere per il pubblico), ci possiamo godere due brani in versione unplugged dei Veracruz, nei quali scaturisce tutto lo spirito gitano del gruppo. Il minuscolo tendone che li ospita è per la maggior parte occupato dai vari membri che regalano un suono nomade e popolare ai molti radunatosi li intorno.

Finalmente si arriva alla prima serata. E finalmente entrano in gioco i mostri sacri che, quest'anno, saranno il leit-motiv dell'edizione del festival. Sul palco principale (Estrella Damm) si presentano gli Yo La Tengo (voto: 7). Il loro tour è in supporto alla loro ultima fatica, 'Popular Songs', che uscirà tra qualche settimana. L'enorme discografia della band rende inutile l'elencare i brani in modo razionale. Gli Yo La Tengo concedono un'ora abbondante di pop songs mescolate a lunghe suite psicalediche che incantano e rapiscono la platea. Nervosismi musicali si alternano a melodie efficaci e dirette.

Ma c'è qualcosa che sembra tenere unito il filone logico del primo giorno di festival: la distruzione di una predefinita forma canzone. A dimostrazione di tale tesi, salgono sul palco (e il che è fondamentalmente una novità) i Lightning Bolt (voto: 9). Basta qualche minuto per capire di essere venuti a contatto con una delle realtà contemporanee più pazze, psicopatiche e geniali. Basso e batteria in un totale degenero sonoro difficilmente descrivibile. Brian Chippendale (batteria, urla e maschera) è un musicista incredibile. Basterebbe vedere le sue braccia che, senza tregua, colpiscono ogni tamburo possibile per capire il suo potenziale dietro alla gran cassa, ma ascoltando le sue frenetiche progressioni si percepisce di essere di fronte ad uno dei maggiori talenti moderni. Non da meno è il bassista Brian Gibson che tra effettistica e accordatura (da studiare la composizione delle corde del suo basso) dimostra di completare un duo dal potenziale sonoro unico. Forse una delle migliori performance dell'intero festival.

Altrettanto geniale, ma di genere musicale opposto è Andrew Bird (voto: 10), cantautore e polistrumentista americano. Andrew sul palco è solo. Porta con sé il suo violino, un glockenspiel, una chitarra, due microfoni e poco altro. L'oggetto più importante della sua strumentazione è però una loop station. Andrew suona tutto looppando in presa diretta. Lo si vede armeggiare con il violino in posizione classica per poi suonarlo come una chitarra, poi al microfono a registrare battiti di mani e fischiettii per poi aprire il suono con la chitarra e la sua straordinaria potenza canora. I brani trovano un'armonia incredibile e lasciano sospesa nell'aria l'anima di fronte a tale gioia sonora. Uno spettacolo magnifico. Sia visivo che uditivo. Anche qui la forma canzone viene meno, a favore di un ripetersi meccanico dei loops che, qua, trovano un'incredibile valenza umana. La musica dà vita alle macchine e ai meccanismi. Tutto diventa natura.

Non c'è tempo di riprendersi dal panteismo sonoro di Andrew Bird che già bisogna correre per le rive del mediterraneo per giungere al cospetto dei Phoenix, oramai in via di conclusione. Dopo il loro ultimo lavoro erano certamente una gruppo da vedere. Ma essendo presenti un po' ovunque st'estate, gli abbiamo preferito un poeta come Bird. Riusciamo però a goderci le ultime due canzoni 'If I Ever Feel Better' e 'Rome'. Il concerto sembra essere stato di grande impatto poiché, al nostro arrivo, troviamo Thomas Mars abbracciato dalla prima fila del pubblico che intona con lui le strofe delle canzoni della band di Versailles.

Questa toccata e fuga ci dà la scossa giusto per entrare in contatto con i veri mostri sacri della giornata, i My Bloody Valentine (voto: 8). C'è nuovo materiale da offrire in pasto agli ascoltatori e quindi ecco spiegato il perchè del nuovo tuor dei MBV (che segue quello della scorsa estate). La potenza e la completezza sonora della band sono ormai famose e assicurate. L'unica pecca è la scarsa valorizzazione causata dall'amplificazione del palco centrale che non risulta all'altezza (che condizionerà la maggior parte dei 'big'). Ma i My Bloody Valentine superano l'imprevisto, creando trame di rara (a)simmetria sonora, tra chitarre e synth, immerse in gigantesche suite shoegaze che formano un impenetrabile ed invalicabile muro del suono.

Percorriamo per tutta la sua lunghezza lo spazio del festival e arriviamo al live degli Horrors (voto: 7). Il nuovo disco ha segnato un'impronta fondamentale per il garage-punk di questi inglesi. Appena giungiamo sotto il palco, troviamo il cantante Faris Badwan che, più che pensare a cantare, è intento a litigare platealmente con il malcapitato fonico che, a parere del cantante, non riesce a modellare bene il suono della sua voce. Per attirare costantemente la sua attenzione, Badwan rivolge più volte il microfono alle casse spie, distruggendo con dei fischi clamorosi le orecchie dello sfortunato fonico con il quale il cantante viene quasi alle mani, prima di un'infinità di gesti di stizza da parte di entrambi. Superata la questione, che occupa la mente di Badwan per metà concerto, gli Horrors procedono con molti spunti interessanti ed un ottima presa sul pubblico. L'apice lo si tocca con 'Sheena Is A Parasite', manifesto di una loro certa visione di vita. Riuscissero, anche dal vivo, a superare i propri cliches, raggiungerebbero un'importante zona di rilievo nella scena musicale.

Prima e dopo gli Horrors, riusciamo però a gustarci anche un po' del dj set di Aphex Twin (voto: 7). La sua elettronica è come sempre marchiata da suoni inconfondibili. Si miscela la deep con l'electro e la d'n'b, con spunti di musica classica qua e là. Il set, per un festival, risulta forse troppo pesante, troppo torbido in alcune situazioni, anche se, tecnicamente, Aphex è impeccabile.

Arriviamo quindi, con le orecchie invase da suoni di ogni sorta, agli show conclusivi del primo giorno. Allo stage Ray-Ban (quello ufficiale) si esibiscono le scatenate Ebony Bones (voto: 6) che, già dal loro abbigliamento, mostrano una totale attitudine funny al loro show. Una sorta di CSS più dance. Ci sono balletti studiati appositamente per far muovere la folla, ritmi tribali e funky. A rovinare lo show una inspiegabile 'Seven Nation Army' eseguita in chiave tribale come bis conclusivo.

La notte di Barcellona è più fredda di quanto uno si aspetti. Bisogna indossare felpe o giacche leggere per rimanere in temperatura. O aumentare i dosaggi alcolici. Preferiamo la prima scelta (almeno questa volta), sperando di essere scaldati dal live di Squarepusher (voto: 4) (al Rockdelux). Ma bastano pochi momenti per farci rimpiangere tale scelta. Thomas Jenkison (accompagnato in questo caso da un batterista) porta on stage un set difficilissimo. Drum'n'bass acidissima, suoni scarsamente assimilabili e ritmi forsennati. Il pubblico fatica a trovare e a reggere un ritmo di tale portata e il risultato ne è una completa delusione, sospesa tra un'elettronica che nel suo tentativo di divenire nuova, finisce per rimanere sola.

Rimane qualche dj set di dubbio valore, il sole sembra voler iniziare a sorgere ed è quindi il momento di dire stop, almeno per il primo approccio al festival.


29-5-2009
Primavera Sound Festival @ Barcellona (Spagna) - Giorno 2

Le sbornie post vittoria calcistica nella Champions League (che avevano esaltato Barcellona la notte prima dell'inizio del festival) pian piano scemano. Anche gli spagnoli iniziano ad avere le forze per partecipare all'evento e il pubblico del secondo giorno del Primavera Sound aumenta vertiginosamente.

I live interessanti quest'oggi iniziano presto. Sono le sette e in alto c'è ancora un bel sole quando Natasha Khan e la sua band iniziano il loro live sul palco centrale. Bat For Lashes (voto: 8) è forse il nome che più si sta facendo spazio nei nuovi talenti emergenti e l'attesa per la sua performance è davvero alta. Natasha dimostra subito che ogni buon giudizio conferitole è più che meritato. Lo show è importante, la band riesce a ricreare le atmosfere fiabesche ed elettroniche dei due dischi. La voce di Natasha cattura la folla e la ammalia come poche altre ugole. Il concerto è emozionante e probabilmente sarebbe stato magnifico in orari successivi, in piena notte. Manca solo la luna alla performance dei Bat for Lashes.

Ci spostiamo di palco per raggiungere gli Spiritualized (voto: 7). La band di Jason Pierce si propone visivamente in un semicerchio dove ogni strumento (compreso le coriste) può trovare un ruolo da protagonista senza subire ombre. L'apice di 'Soul On Fire' innalza il livello di un live positivo e piacevole, che i più preferiscono ascoltare seduti, lasciandosi trasportare dalle melodie della band.

Ancora main stage e cambio vorticoso di registro. Arrivano gli Art Brut (voto: 8). Smagliante forma per la band londinese che crea subito una forte presa sulla gente. La voce di Eddie Argos (oggi più tranquillo e logorroico del solito) è, sfortunatamente, mal equalizzata e spesso, nei momenti di maggior tiro dei brani, viene sovrastata dai riff taglienti ed ammiccanti delle due chitarre. Divertente la spiegazione di 'Modern Art', con Eddie che simula la sua faticosa scalata nel museo di arte moderna di Amsterdam e l'introduzione del nuovo singolo della band 'Alcoholics Unanimous', nella quale Argos spiega di aver smesso di bere, naturalmente sorseggiando vino rosso. Da citare ancora gli eterni siparietti tra i chitarristi Jasper Future e Ian Catskilkin che spesso riescono, addirittura, a rubare la scena a Eddie. Gli Art Brut dimostrano, per chi ancora avesse dubbi, di essere puri animali da palco. E' un piacere vederli ciclicamente sui quelli d'Europa.

Sfortuna vuole che di Sunn O))) (s.v.) riusciamo a sentire solo i minuti finali, minuti nei quali un muro di droni riempiono l'aria. Incappucciati e immersi nel fumo, ci conducono ad una realtà apparentemente malvagia e macabra.

Da citare anche i Crystal Antlers (s.v.) che, da lontano, (tempo che arriviamo al loro palco, il concerto si conclude) appaiono un gruppo da tenere in forte considerazione.

Ci si sposta al palco centrale per assistere al live del paladino del pop inglese, mister Jarvis Cocker (voto: 8). Il fascino di Jarvis è conosciuto e risaputo. La presa sul pubblico è figlia di una carriera importante. Il nuovo disco di Cocker suona davvero bene e i brani scelti hanno un ottimo riscontro. Jarvis, a tratti indemoniato, si esibisce in balli di ogni sorta, scatenandosi su e giù per il palco. Nuovi e vecchi brani si mischiano e a tratti ci si emoziona in ballate pop tipicamente inglesi o in schitarrate da pop-rock anglosassone. Si conclude con 'You're In My Eyes' che, come inserito a parentesi a seguito del titolo, è una 'discosong'.

I Saint Etienne (voto: 6) propongono la loro lunga carriera dance pop (oramai ventennale) con un live allegro, ma, per i non amanti, davvero difficile da reggere nel complesso.

Pareri discordanti invece sugli Shellac (voto: 5). C'è chi li osanna e chi, al contrario, ne rimane di idea opposta. Noi ci appostiamo sulla seconda. Gli Shellac sembrano una band piena di idee con difficoltà nell'applicarle. Più o meno lo stesso problema che ha una giovane band nella propria sala prove (sebbene gli Shellac siano tutt'altro che alle prime armi).

Conclusione della serata sul palco principale è affidata ai Bloc Party (voto: 7). Kele si presenta con shorts di jeans, camicia folk H&M e cappello trucker. A differenza della maggior parte delle esibizioni dei quattro inglesi, Kele e compagni mostrano un attitudine più funny e umana sul palco. Non sono più la statica band meccanica di inizio carriera, ma, anzi, questa volta, sono circondati da un mood molto tranquillo e divertito. Da qui deriva anche qualche errore (Kele non usa perfettamente la loop station in 'Mercury' perdendo il tiro del brano). Si capisce, ascoltando l'intero concerto, che i brani dell'ultimo disco non riescono ad avere, nella versione live, il tiro dance che dovrebbero. Anche il pubblico pare di questo parere, e naturalmente le maggiori ovazioni le si ritrovano nei brani di inizio carriera.

Provati da un correre continuo tra i cinque palchi, decidiamo di rientrare per risparmiare le energie per l'ultimo lunghissimo giorno di festival.


30-5-2009
Primavera Sound Festival @ Barcellona (Spagna) - Giorno 3

Terzo e ultimo giorno del Primavera Sound. Il sole è ancora caldo e la stanchezza inizia ad accumularsi. E' sabato pomeriggio e la notte è ancora lontana dall'essere vissuta. Ci presentiamo al parco del forum intorno alle 20, giusto il tempo di vedere la conclusione di un mine live dei Black Lips (s.v.) al palco gestito da MySpace. Un paio di riff decisi, un buon ritmo ed è già tempo di dirigersi al live dei Plants & Animals (s.v.), anch'essi in dirittura d'arrivo.

Il primo show segnato sui nostri taccuini è quello degli Herman Dune (voto: 8). La band francese, oramai forte di una sicura e valida discografia, concede il proprio sound dando le spalle al magnifico panorama visivo del mare di Barcellona. Il folk dei due fratelli Ivar diverte e compiace il pubblico presente. Il clima è sereno e sembra disegnato appositamente per il loro live.

Si rimane sulla scia del folk, tornando proprio alle radici di tale genere, con uno dei suoi massimi esponenti, Neil Young (voto: 8). La cornice di pubblico è magnifica. Tutti i presenti al festival sono radunati sotto il palco principale (non ci sono altri concerti in concomitanza), chi in piedi e chi, invece, seduto sul cemento o sul prato adiacente. Migliaia di volti e vestiti vengono trapassati dalle parole del cantautore canadese. Si passa dai brani più country a quelli più rock con disinvoltura, Neil è pieno di energie quest'oggi. Si muove molto sul palco, indemoniato come un ragazzino di fronte alla sua prima folla immensa. Un'ovazione di pubblico gigantesca per uno dei re della scena musicale mondiale.

Dopo questo immenso bagno di folla, decidiamo di andare a rifocillarci dall'altra parte del forum, incontrando, piacevolmente, gli Oneida (voto: 7). Tra un morso e l'altro possiamo goderci il sound della band newyorkese, il quale spesso ricorda quello dei loro concittadini Battles, limitando la parte elettronica in compenso di una maggiore propensione al rock.

Veloce spostamento di palco ed eccoci al cospetto dei Liars (voto: 8). La band americana ci introduce attraverso le proprie melodie articolate e dissonanti, idee sonore intelligenti e spesso imprevedibili. Con il cielo che si fa buio e le atmosfere sempre più rarefatte, i Liars colpiscono il pubblico che spesso esplode in vere e proprie ovazioni di stima. Ritmi forsennati, ossessività.

Ma la portata principale di questa ultima giornata di festa è però altro. Palco centrale, mezzanotte passata, Sonic Youth (voto: 8). La tournée è di supporto al loro ultimo lavoro, il tanto chiacchierato ritorno all'indipendenza discografica, dopo l'abbandono della major. E siamo di nuovo di fronte ad un monumento. Ad un mito. A qualcosa più grande di noi che difficilmente si può spiegare a parole. I Sonic Youth sono parte integrante della storia della musica. Sono il modello di riferimento di un numero spropositato di band che sono nate e cresciute negli ultimi vent'anni. Sono il noise, il punk-rock, le musicassette. Sono il significato della parola indie, ora più che mai. E a noi non ci resta che rimanere a farsi travolgere dalla storia.

La notte inizia a farsi spazio con più prepotenza, le band vengono quasi tutte congedate a favore dei dj set. Si inizia con i Simian Mobile Disco (voto: 7) che miscelano un'elettronica di buon gusto alle loro produzioni, oramai conosciute ovunque. Risuona l'oramai classico 'It's The Beat', ad esempio.

L'ultima band che riusciamo a seguire sono i Black Lips (voto: 7), i quali si esibiscono alle 3 sul palco Rayban. Avevamo già avuto il piacere di vedere la loro grinta e la loro attitudine sul palco al FIB dell'anno scorso. Questa è l'ennesima dimostrazione di valore dei cattivi ragazzi americani. Un concerto tirato che riesce a smuovere le ultime forze del pubblico oramai stremato da stanchezza e alcool.

La conclusione del festival e affidato ai dj set di A-Trak e DJ Mehdi, che dalle 4 del mattino fino all'alba propongono il loro misto di french touch e ghetto house, consumando definitivamente le Converse della maggior parte dei presenti.

L'alba fa capolino al di sopra del mare, gli occhiali dalle borse ritornano sopra il naso e la security ci invita ad uscire. Si capisce che è la fine. Con in sol sopra ad allungare le nostre ombre.

Mattia Barro

REPORTAGE MUSICALE - FIB, Benicassim (Spain)

PUBBLICATA SU INDIE-ROCK.IT

16-7-2009
Festival Internacional @ Benicassim (Spagna) - Giorno 1

Quarto anno consecutivo a Benicassim per noi di 'Indie-Rock.it'. Inutile dilungarsi in presentazioni per uno dei festival più belli d'Europa (in caso leggete le recensioni degli anni scorsi). La XV edizione del FIB Heineken presenta una line-up di tutto rispetto e si prepara a battere il record di presenze: ben 200.000 persone in quattro giorni intensi (50.000 in più dell'anno scorso), alla faccia di altre manifestazioni che hanno visto un brusco calo di pubblico o addirittura sono state cancellate.

L'area concerti 2009 è stata ingrandita assieme all'area camping e gli spazi al suo interno sono stati drasticamente rivisti e adattati per poter meglio ospitare i 'FIBers', composti per un buon 40% di inglesi. Il tendone Vodafone (il 3° palco in ordine di importanza) è stato ingrandito, il Fiberfib (il 2° palco) non è più coperto da una tenda dove ci si scioglie dal caldo, ma un'area all'aperto molto più ampia.

Arriviamo al recinto del festival mentre i Bishops (voto: 5) hanno iniziato da poco a suonare. Da lontano appaiono inconsistenti e indecisi, forse sono intimoriti dal pubblico già numeroso nonostante il sole cocente e i quasi 40°.

Ascoltiamo i View (voto: 6) che piacciono, sono carichi di energia ma non adatti ad un palco così grande. Sicuramente rendono di più in un piccolo club buio in atmosfere più intime.

Sono i Mistery Jets (voto: 7) a stupirci per il loro live espressivo e divertente. Appaiono freschi nonostante l'afa e il sole ancora alto in cielo. Sorseggiando birra ghiacciata canticchiamo 'Young Love' e la spendida 'Half In Love With Elizabeth'.

Gli headliner della giornata sono gli Oasis (voto: 7). Live sanno dire la loro ed è impossibile non cantare canzoni storiche come 'Roll With It', 'Supersonic', 'Wonderwall' solo per citarne alcune. E proprio durante 'Wonderwall' Liam si arrabbia e se ne va. Noel lascia continuare il pubblico, poi intona le prime note di 'Live Forever', si ferma e la folla canta il resto. Liam torna e ricomincia daccapo 'Wonderwall' (successivamente, durante un'intervista, giudicherà “una perdita di tempo” il concerto dati i numerosi problemi tecnici, e confesserà che solo grazie al calore del pubblico gli Oasis hanno proseguito l'esibizione.

Dopo poco salta la corrente sul palco... A questo punto lasciamo i fratelli Gallagher e compagni a favore dei Gang Of Four (voto: 8). Meravigliosi. Una band con le palle. Nonostante i volumi un po' bassi ci ha stupito la consistenza della loro performance. 'Natural's Not In It' impossibile da non ballare.

Pochi minuti di Telepathe (voto: 4) lasciano un retrogusto amaro, come ascoltare un'unica intro da cui ci si aspetta molto ma che non fa decollare mai il pezzo. Meglio ascoltarsi il disco.

Lasciamo il festival con le note in lontananza dei We Are Standard (voto: 6), una sorta di Subsonica in versione spagnola, ma molto più indie / punk-funk.


17/18-7-2009
Festival Internacional @ Benicassim, Spagna - Giorni 2 & 3

Giorno 2: venerdì. Dalle prime ore del pomeriggio si alza il vento. le nuvole velano il cielo. Arriviamo nell'Escenario Verde (il main stage) e Paul Weller (voto: 5) inizia a suonare. L'attenzione però è per l'incendio che si è sviluppato alle nostre spalle appena fuori dal recinto: un intero campo di sterpaglie viene mangiato da fiamme alte che aiutate dal forte vento minacciano i palazzi sul lungo mare. Tutto torna alla normalità dopo un paio d'ore, ma il vento ora è talmente forte che Weller deve fermarsi a metà concerto. La copertura del palco salta per metà, Il tendone dell'area press oscilla e viene chiuso assieme agli altri palchi. La gente non sa che fare.

Dopo due ore di silenzio l'organizzazione decide di far suonare sul palco grande i Tom Tom Club (voto: 5). Al termine del live il pubblico viene fatto defluire all'esterno del recinto, e coperti di polvere rossa ce ne torniamo a casa tristi di aver perso le (personalmente) tanto attese performance di Kings of Leon, Maximo Park, Horrors, Boys Noize e Yuksek.

Giorno 3: sabato. Il live dei Television Personalities (voto: 0) è quanto di più brutto abbiamo avuto l'occasione di vedere in tutta la nostra vita. Si è poi parlato di una qualche loro protesta durante lo 'show' (la parodia di 'All The Things That I’ve Done' dei Killers?) ma, oltre ad uno strafatto Dan Stacey che a metà decide di non suonare più la chitarra, c’è poco da dire. Il batterista a volte si ritrova a suonare da solo per lunghi minuti dato che sul palco tutti parlano e si raccontano i fatti loro. Non vengono lapidati dal pubblico grazie al loro importante nome, ma la performance, o finta tale, risulta una presa in giro, una totale mancanza di rispetto verso chi si è posto di fronte a loro per ascoltare musica.

I 2Manydjs (voto: 9) li abbiamo visti in ogni modo in Italia. Al nord sono quasi dei resident. Ma questa volta sorprendono. I fratelli Dewaele fanno sempre dj set, OK, ma in questa occasione il loro percorso nella storia della musica è impressionante. Si toccano tutte le decadi dagli anni '60 in poi. I due, che paradossalmente suonano con una consolle extralusso (due dvj con controllo video e due cdj, mixer con kaoss pad e altro), si dividono l’unica cuffia a disposizione. Il maxi schermo del palco principale mostra una telecamera fissa sulla consolle, ed è impressionante quante volte le loro mani si muovono sui comandi gestendo ogni singolo movimento del loro set. La folla risponde come di fronte ad una delle più acclamate rockband. Sempre una spanna avanti a tutti.

Gli Elbow (voto: 9), sfortunatamente, li sentiamo solo da tre quarti concerto. Giusto il tempo di capire di aver perso uno spettacolo incredibile, dalle atmosfere dense e profonde. In particolar modo è la voce di Guy Garvey ad ammaliare. A farsi e a fare amare.

I Maximo Park (voto: 8) sono una band da concerto live. O meglio, Paul Smith è un animale da palco. Nonostante l'ultima loro fatica discografica non sia di gran livello la band di Newcastle si conferma per l'ennesima volta una delle poche ad essere sopravvissute dall'ondata indie di metà decennio. Dunque assolutamente da vedere dal vivo. E speriamo che il quarto disco, se e quando uscirà, sarà dello stesso livello dell'inparagonabile 'A Certain Trigger' del 2005.

Qualche aggiustatina, ma solo ai capelli, per questo live dei Franz Ferdinand (voto: 8). La scaletta e la performance sono identiche a quelle del tour dei palazzetti. Cambia poco (sparisce 'This Fire' dalla chiusura, lasciata al delirio elettronico di 'Lucid Dreams') e il risultato è sempre lo stesso: un’incredibile carica adrenalinica. I Franz hanno oramai una miriade di singoli per far saltare tutti gli indie guys d’Europa. Dai brani taglienti degli esordi, ai nuovi droni elettronici. Oramai una sicurezza, una delle poche band degli anni zero che ci ricorderemo.

Peaches (voto: 10) è la rivelazione del festival. Seguita dalla sua band, The Sweet Machine, il suono che viene a crearsi è un’elettronica mischiata con il rock, la dance, il pop. Electroclash dai mille spunti che ha come valore aggiunto una scelta di suoni davvero valida ed accurata, che anche i Justice e compagnia bella potrebbero invidiare. Peaches è la star. Viene innalzata dal pubblico durante il suo stage diving e, sorretta dalla folla, continua a cantare anche quando viene fatta rimbalzare tra centinaia di mani. La platea pende dalle sue labbra e, all’ordine di togliersi le t-shirts, migliaia di magliette vengono fatte sventolare in suo onore. Peaches ha una carica incredibile e si diverte a giocare sul sesso urlato e non mascherato. Lo show è un suo lungo spogliarello fino al conclusivo body color carne con la zona genitale, la sua 'peach', illuminata.


19-7-2009
Festival Internacional @ Benicassim, Spagna - Giorno 4

L’organizzazione del FIB, messa KO dalle intemperie del venerdì sera, fatica a trovare un giusto ordine delle cose. Finisce così che arrivando in orario per i Calexico, ci si trovi a sentire la loro ultima canzone, scoprendo che tutti gli orari del FiberFib e dell’Escenario Verde sono stati cambiati. Bisogna quindi correre a capirci qualcosa e ricomporre le varie timetable.

Buona sorpresa i White Lies (voto: 7) dei quali si vociferava molto male riguardo ai loro live. Invece, la band di Londra si dimostra capace di ricreare quanto fatto su disco, anche se il giovanissimo leader Harry McVeigh non spicca per personalità. Spesso pare quasi intimorito dalla grande folla che intona i vari singoli estratti dal loro sorprendente album d’esordio. Un concerto che invece riesce a mantenere la propria carica emotiva, aiutato dai colori e dalle luci del tramonto.

In contemporanea (a causa degli spostamenti d’orario), troviamo i TV On The Radio (voto: 6) che questa volta non riescono proprio a far brillare la loro stella. La stratificazione dei brani su disco dal vivo non riesce a ricrearsi e spesso i suoni si sovrappongono e non riescono ad essere chiari nel proprio rumore. L’equalizzazione del palco, oltretutto, non aiuta la band di New York nella sua impresa, intrappolandola in un suono non all’altezza (troppi bassi della cassa e frequenze medie tagliate). Dispiace quindi che le conclusive 'DLZ' e 'Staring At The Sun' non trovino quell’incredibile luce di cui solitamente splendono.

Lykke Li (voto: 10) è la miglior performance a cui si possa partecipare a questa edizione del FIB. L’appena ventiquattrenne svedese, con all’attivo un solo album, mostra sul palco una maturità incredibile e fuori da ogni norma. I generi toccati sono molti, dall’indie-rock, all’electro, alla musica d’autore, al rap. Timotej Zachrisson (all’anagrafe) è una performer in grado di adattarsi a tutto ciò. Ma il suo non è un adattarsi, è essere di un’anima multiforme. Timotej è tutto ciò. E’ selvaggia e animalesca nei movimenti, ma anche delicata e jazz nella conclusiva 'Tonight', che si conclude con il pubblico che intona l’ultimo verso del ritornello e Lykke Li che applaude ed esce. Forse siamo davanti ad una nuova regina, in grado di rendere gigantesco il minimalismo di 'Dance, Dance, Dance' e di rendere educato e sofisticato il saltare di 'Breaking It Up' (il brano meglio riuscito dell’intero blocco). C’è anche spazio per la cover di 'Knocked Up' dei Kings Of Leon, un omaggio a noi che non abbiamo avuto il piacere di sentirli. Siamo probabilmente davanti a qualcosa di davvero nuovo e magnifico.

Gli headliner di quest’ultimo giorno sono i Killers (voto: 6), affermati oramai anche nel mondo mainstream. Sintetizzando il concerto si potrebbe definire come un live per fans. I Killers non sono dei grandi musicisti e Brandon Flowers subisce la sua stessa scrittura: le sue parti vocali dal vivo sono troppo difficili anche per lui. Proprio a causa di ciò, coloro che non amano i Killers nemmeno su disco finiscono per annoiarsi ed allontanarsi. I veri affezionati, o quelli che apprezzano esclusivamente i loro singoli, riescono a divertirsi e a trovare spunti di piacere. Effettivamente Brandon è un ottimo frontman e visivamente riesce a catturare la folla (principalmente femminile). I singoli funzionano (peccato una 'Mrs. Brightside' debole) e alla maggior parte della platea basta ciò. Da lavorarci. Ma ne avran tempo e voglia adesso?

Sempre martoriati da problemi tecnici questi Friendly Fires (voto: 7)! Questa volta è il turno delle tastiere del cantante Ed Macfarlane. Risolto questo problema, i Friendly Fires dimostrano già di avere numerosi singoli da battaglia e il trittico 'Skeleton Boy', 'Lovesick', 'Jump In The Pool' ne sono la dimostrazione. Il pubblico inglese li ha già resi idoli e loro riescono a trovare una buona attitudine on stage capace di intrattenere e far ballare con sezioni ritmiche sempre molto lavorare e originali.

Chiudono la serie di concerti del FIB 2009 i Rinoçerose (voto: 6), dal groove bello potente. Il loro impatto è deciso e molto dance, cassa dritta e basso corposo; vestono di bianco e nero e sono molto scenici anche se un po' troppo fermi sul palco. Bella la comparsa di Bnann Watts degli Infadels in 'Cubicle'. Nonostante ciò dopo un po' la nostra soglia di attenzione cala perché tutto sommato la band francese non ha molto da dire.

Anche questa quindicesima edizione è giunta al termine. Chiudiamo gli occhi e balliamo i set di DiskJokke e DJ Hell. E mentre il sole sta sorgendo rammaricati abbandoniamo il festival con la consapevolezza che l'anno prossimo saremo ancora lì, pronti a cantare e ballare.


Mattia Barro & Andrea Alibardi

REPORTAGE MUSICALE - Eurockéennes Festival, Belfort (France)

PUBBLICATA SU INDIE-ROCK.IT

3-7-09
Eurockéennes Festival @ Belfort (Francia) - Giorno 1


Francia dell'est. Quella al confine con la Germania, appena sopra la Svizzera. La famosa regione dell'Alsazia, celebre più che altro per i suoi continui passaggi postbellici tra Germania e Francia. E' inizio luglio e si sta bene. Il caldo non è torrido e le nuvole fanno addirittura immaginare futuri acquazzoni. L'Eurockeennes è collocato in un piccolo lembo di terra che si immerge nelle acque del lago di Belfort. Si dilunga per tre giorni. Propone, per ogni serata, headliners di diverso genere: Prodigy, Kanye West e Slipknot. In mezzo qualche perla, circondata da tanti tanti tanti artisti francesi.

Menzione particolare va subito fatta sull'ambiente, sull'atmosfera. Il clima generale è da sagra del paese. Fa subito strano notare come siano praticamente assenti gli stand di etichette discografiche (o di qualsiasi cosa si avvicini alla musica). Gli stand sono prevalentemente dedicati al cibo, ai vestiti di dubbio gusto e ai venditori di orecchini, cartine, bongs. Fa strano, in particolar modo, vedere la totale assenza di una qualche popolazione indie. In quantità centellinata si avvistano Wayfarer, Converse e skinny jeans. La gente è composta prevalentemente da persone normali, prive di una anche minima estrosità estetica. Fa paura, invece, la forte presenza di tamarri di ogni genere, giustificata dal basso costo del festival (85 euro l'abbonamento ai tre giorni) e alla presenza, nella prima giornata, dei Prodigy.

In maniera molto semplice riusciamo a raggiungere in macchina Belfort e il suo festival, grazie ad un'ottima segnaletica stradale. Sfortunatamente, parcheggio e camping sono a distanza chilometrica dall'area concerti e quindi bisogna utilizzare le apposite navette per raggiungerla. Bastano poi due passi all'interno di tale area per capire che sarà molto difficile la comunicazione. Gli addetti al rilascio di biglietti e accrediti non spiccicano una parola di inglese e bisogna comunicare con loro in modo primitivo. Ciò rimarrà un problema anche per i giorni a seguire, in quanto nessun partecipante o addetto ai lavori pare conoscere una lingua diversa dal francese (quando si chiede "One Beer", si viene scrutati come marziani). La zona dedicata ai concerti è formata da quattro palchi, di cui uno coperto. Il numero elevato dei partecipanti crea a volte difficoltà negli spostamenti tra i vari palchi, ma, saltato questo ostacolo, la logistica non risulta un problema.

Il primo show che abbiamo segnato in agenda è quello di Emiliana Torrini (voto: 8). La cantautrice islandese ci allieta, anche questa volta, con la sua voce e il suo particolarissimo accento, creando, anche in pieno giorni, emozioni vive. La scaletta è composta dai principali brani dei tre suoi ultimi dischi, raccogliendo a sé i percorsi della carriera musicale di Emiliana. Manca forse una certa intimità al tutto. Vi è della dispersione di troppo, sia per il molto pubblico non troppo attento, sia per il sole ancora alto e caldo.

La programmazione è molto delineata e non c'è molta competizione tra i palchi. A volte, ci si ritrova con un solo palco a disposizione e tutti i presenti vi si affollano costretti. E' questo il motivo principale del pienone riscosso dai Las Wampas (voto: 4), patetico gruppo formato da vecchietti al limite del ridicolo tra jeans attilati rosa, magliettine e petti nudi. La musica è una sorta di rock 'n' roll in chiave dance gay che annoia. Potremo compararli ai Rolling Stones, ma solo per via dell'età.

Fuggiti da questa performance abbiamo la fortuna di ripararci con Oxmo Puccino (voto: 8), rapper francese, seguito dalla sua band. Il rap di Oxmo è molto passionale, molto vicino al pubblico. Non cade nei tipici cliché dell'hip-hop d'oltreoceano. I francesi (difficile scovare altre nazionalità) lo amano e ne cantano ogni strofa, spesso prive di difficile metriche, ma a favore di messaggi concisi e diretti.

C'è tempo di girare un po' nel negozio Fnac (con ottime promozioni) e nell'unico stand di un'etichetta (Les Boutiques Sonores) prima dell'inizio dello show degli Yeah Yeah Yeahs (voto: 9). La band newyorkese dà il massimo. Il pubblico è fuori di testa. Karen O si agita più che mai e a volte gli scappa un sorriso emozionato nel vedere la gente così coinvolta. Addirittura fin troppo. Anche nei brani più lenti si vedono ragazzi catapultati sopra le nostre teste e tentativi di pogo. La scaletta per un'ora di fuoco è studiata con dovizia, miscelando quanto ti meglio è stato prodotto dalla band nei proprio tre album. Un live tirato, diretto.

Aggirandoci ancora per la location del festival, ci imbattiamo nel live dei We Were Evergreen (voto: 8) nello stand della Sfr. Il trio francese, che canta in inglese, propone un educato folk che trova la sua forza nelle trovate più giocose e nell'alternarsi della voce maschile con quella femminile. Da trovare, scovare ed ascoltare.

Sul palco principale è tempo dei Cypress Hill (voto: 7), band confermata in extremis. E' forte la comunità hip-hop all'interno del festival che trova vari suoi rappresentati nei tre giorni. Ma i Cypress Hill subiscono la mancanza di una minima conoscenza dell'inglese e spesso gli inviti di B-Real si perdono nella collinetta di fronte a lui. Il coinvolgimento dal palco è alto e quando si riesce a trovare un compromesso con la folla, il risultato è esplosivo. A causa di questo decifit di comunicazione, lo show rimane complessato e sottotono.

Dall'altra parte della piccola penisola, sul palco posto sulla spiaggia si esibisce Alela Diane (voto: 7). Il folk della giovane californiana è conciso e nella forma chitarra-voce, Alela riesce ad emozionare profondamente. Non riusciamo a seguire completamente il live, penalizzato forse solo da una certa staticità stilistica.

Un ascolto rapido è quello che concediamo ai Kills (voto: 6) che, confermando quanto visto al FIB di Benicassim dell'anno scorso, dal vivo rendono veramente poco. Il minimo sindacale per una band di cui si parla sempre molto.

Toccata e fuga anche per i Naive New Beaters (voto: 8), che con il loro electro rock mescolato al rap, compongono ottime strutture rendendosi ballabili ed apprezzabili. Buone vibrazioni.

L'attenzione è tutto per il main event della serata: i Prodigy (voto: 10). Un live dei Prodigy è come ognuno di noi lo immagina. Potente, devastante. Un acido sonoro lungo un'ora e mezza. Maxim, durante l'esecuzione di 'Smack My Bitch Up' riesce a far sedere tutti i presenti (40mila?) per fare esplodere il loro urlo nel momento dell'attacco del "ritornello". E' un'esperienza mistica. Una sorta di Trainspotting emotivo. La lista di trip elettronici è infinita. La drum 'n' bass si mischia alla techno, al rap, all'electro e la band (perchè i Prodigy aumentano a livello numerico nella sfera live) riesce a creare un flusso sonoro penetrante. Impagabile.

Riprendersi da un concerto come quello dei Prodigy non è facile. Tutto, dopo, può sembrare debole. A sfatare subito quanto detto, invece, ci sono le due band di chiusura. Da una parte i Ting Tings (voto: 8), più in forma che mai. Il duo inglese oramai gira i palchi da qualche anno. Katie White è una catalizzatrice d'attenzione affermata. Ogni suo movimento è guardato ed amato dalla platea. Non da meno è De Martino, che si permette pure una sorta di mash-up tra varie canzoni (compresa la sigla di 'Ghostbusters') giocando con una tastiera con loop station. Ottima anche l'impressione sui nuovi brani, rodati sull'esaltato pubblico francese. Inutile confermare che i vari singoli sul dancefloor hanno un effetto potentissimo.

L'ultima performance (è vero, ci sarebbero anche Diplo e i Crookers in contemporanea) è affidata ai casalinghi Kap Bambino (voto: 8). Conosciuti da noi per aver attraversato più volte la penisola italiana, il duo francese si esibisce in uno show durissimo. Electro-punk misto hardcore da far tremare le orecchie. Caroline Martial è un animale da palco. Poco dopo l'inizio si aggira scalza per il palco completamente svuotato da ogni strumento. Sale sulla schiena degli uomini della sicurezza e si fa scorrazzare vicino alle transenne fino al suo tanto acclamato stage diving in cui cade in pasto ad un pubblico esaltato e feroce. Un live che ha la fortuna di trovare nel suo orario (le 3 di notte) un'atmosfera incredibile.

Usciamo dal festival rintronati ancora da Caroline e da 'Day 'n' Nite', proposta dai Crookers, ultimi rimasti ad esibirsi. La coda per le navette è infinita e la notte è oramai nel suo pieno splendore.


4-7-2009
Eurockéennes Festival @ Belfort (Francia) - Giorno 2


Decidere di passare la notte (ma poi praticamente la mattina) in macchina, in una delle tante pianure dell’est Francia, esposti al sole e con migliaia di altri sventurati compagni di avventura, porta come risultato una stanchezza impareggiabile. Il festival, per il suo secondo giorno, ha in serbo qualche bella perla.

Iniziamo con il folk rock di Sophie Hunger (voto: 7), cantautrice svizzera. Il suo repertorio è molto classico, a volte un po’ troppo rigido. Quando, invece, si lascia andare, i brani trovano uno sviluppo molto nervoso che riesce a strappare una personalità di Sophie tenuta per la maggior parte del tempo all’oscuro.

Per gli Answer (voto: 4) non spendiamo troppo tempo. E’ rock. Ma quello di più di trent’anni fa. Fatto come quello di più di trent’anni fa. Anzi, fatto peggio. Non c’è originalità e non ci sono tentativi di rendere fresco un genere che suona da decenni. Si passa dai tre accordi, a dell’hard rock scontato. Una band inutile in questi anni.

Sorpresa piacevole è, invece, il trio svedese Peter, Bjorn & John (voto: 8), interpreti di un pop rock dalle varie chiavi sperimentali. Conosciuti ed esplosi con il singolo 'Young Folks', alle spalle hanno però una carriera decennale. E lo si nota particolarmente dal modo in cui Peter si agita sul palco e davanti alla platea, catturata dalle sue buffe movenze colorate dall’azzurro acceso del suo vestito. Una prova decisamente valida, con alcuni brani capaci di stupire soprattutto nella sezione ritmica di John e che, a volte, intraprendono paradossalmente strade al limite del country-rock.

Snobbiamo il sempre noiosissimo Tricky (voto: 5), che non scende dal palco neanche dopo l’ora e mezza attribuitogli, per tentare di scoprire il valore di La Roux (voto: 6). Ammettiamo che una certa confusione si crea nel capire che La Roux non è lei, Elly, la rossa cantante, ma un duo, anche se sul palco si presentano in quattro. E ammettiamo una certa confusione del pubblico nel capire che il duo non è francese, ma totalmente british. A parte ciò, il concerto dei La Roux non è niente di che. Ma davvero niente di che. Elly Jackson non ha personalità e l’electropop made in '80s della band si perde in un’ora di cover di un tempo passato. Elly passa metà dello show dando le spalle al pubblico e lei, come la band, sembrano usciti per direttissima da una qualche copertina di 'Dazed & Confused'. Il live è però pulitissimo, nessuna sbavatura. Quasi una innaturale ri-rappresentazione del disco. Musica senz’anima.

Mezz’ora prima del concerto di Doherty, decidiamo di sdraiarci vicino al palco a riprendere le forze. Tempo di sedersi e sul palco spunta proprio Peter, che inizia a lanciare birre al pubblico. Svuotata un’intera cassa frigo, scompare nuovamente dietro le quinte. Poco dopo è tempo del vero show di Peter Doherty (voto: 8), che si presenta solo con la propria chitarra (come a Milano tempo fa), il solito cappello e si mette a suonare. Suona tanto e di tutto. Si passa dai brani dei Libertines ('Time For Heroes', 'Can’t Stand Me Now' e molte altre), a quelli dei Babyshambles ('Delivery', 'Albion', ma non 'Fuck Forever'), alle cover ('Waterfalls' degli Stone Roses e 'Billie Jean' di Micheal Jackson), ai nuovi brani del suo disco solista. Ma Doherty risulta tutt’altro che il fiacco leader strafatto degli anni passati. Sa come suonare, sa cosa cantare, sa fare ciò che deve fare. Il suo forte carisma da idolo adolescenziale riesce a funzionare e mostra Peter in una veste che sembra calzargli a pennello, un cantautore moderno capace di creare inni giovanili. Il live si conclude con un duetto con Tricky facilmente evitabile: basta dire che Tricky non sa le parole della canzone e che, quindi, non canta praticamente mai.

Per continuare sulla strada di un festival altamente hip-hop, l’headliner di questa sera è Kanye West (voto: 9). E Kanye si dimostra un vero headliner. Un leader. Metà delle produzioni sono suonate, metà computerizzate. Kanye canta e rappa aiutato da vari coristi, agitandosi sull’enorme palco a sua disposizione. Interessante la decisione di strutturare la scaletta con un inizio composto da un medley dei suoi primi singoli di successo 'Through The Wire', 'All Falls Down', 'Homecoming', per poi lasciare gran spazio ai nuovi brani più elettronici come 'Love Lockdown' e gli altri singoli del suo ultimo lavoro. Intermezzi dalla forte carica come 'Jesus Walks' registrano una profonda tensione emozionale. Kanye sul palco padroneggia, fino ad un quasi delirio di onnipotenza quando, on stage, salgono cinque ballerine seminude e dorate che si dispongono immobili come un altare in suo onore. Una performance che conferma Kanye West come artista a tutto tondo. Uno dei pochi casi in cui un rapper riesce a scardinare la gabbia che si è auto-imposto e riesce a girare liberamente nel mondo della musica. La conclusione ne è manifesto: 'Stronger'.

Da un finale elettronico ad un set elettronico. Ecco il nuovo pupillo del french touch: Yuksek (voto: 8). Attorno a lui sono disposti computer, sintetizzatori, vocoder, mixer. Il set si compone a metà tra suonato e registrato. Il live è una forza elettronica che fa saltare tutti i presenti, fino ai più stanchi, come noi. Non c’è molta novità, anzi, molto si è già sentito in dieci anni di scuola francese, ma fa piacere l’alta qualità delle produzioni e la capacità di far ballare.

Ultimi ad interessarci sono i Friendly Fires (voto: 8). In Italia sono usciti con una hit da dancefloor come 'Skeleton Boy', in Inghilterra si son già fatti strada e in Francia sono famosi per la loro 'Paris' con le Au Revoir Simone. Il live è divertente, allegro, ritmato. Le sezione di batteria e percussioni aggiunte contemplano sia il mondo della classe dritta, sia quello dei ritmi tribali. La chitarra è tagliente e fa capolino con sferzate nervose e inusuali. La massima espressione della band, però, si registra nell’esplosione dei ritornelli in cui si viene a creare un’atmosfera unica, onirica. Sfortuna vuole che la chitarra negli ultimi due brani smetta di vivere. Ciò costringe il chitarrista a munirsi di maracas e di gettarsi sul pubblico in delirio. E il nostro Eurockeennes finisce qui.

Il terzo giorno vede in cartellone Mos Def, Slipknot, Phoenix e poco altro, ma oramai noi abbiamo deciso di rientrare in Italia e lasciarci dietro queste pianure francesi costellate da case minuscole.

In conclusione, un festival che per noi, non-francesi, è difficile da percepire come uno vero e proprio: quest’aria da sagra di paese permane per tutti i giorni. Ma, non facendo caso a ciò e all’eccessiva vitalità del pubblico, è un festival che può regalare ottimi live, soprattutto grazie a orari molto ben delineati e ad un’alta qualità della line-up generale.


Mattia Barro

venerdì 21 agosto 2009

"La sabbia nelle mura e nelle mutande" - STRALCIO

Le co-gestioni e le congestioni del nostro equo rapportarsi. I discorsi (in)finiti, infine.
La sabbia nelle mura e nelle mutande. Nei nostri sentimenti mutanti.
Girovagando per l'Europa ho trovato tutto eccetto te. E' certo.
E c'eravamo spogliati dai pomeriggi accaldati e dall'aria statica.
Statistiche a parte, non ci calcoliamo più.
I limiti sul nostro corpo e i lividi del nostro rapporto. Il mondo è solo una palla. Non giocando più il nostro è stato solo un puro sporcarsi di fango ancora.
La polvere sui dischi, sui libri, su noi, sui mobili Ikea composti e decomposti.
Gli inverni caldi.
Gli inversi saldi.
La nostra palla in saldo, ora.

Mattia Barro

venerdì 7 agosto 2009

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Ricegirl sleeps.

"Le rotaie con le biciclette incastrate dentro e i tram che deragliano" - STRALCIO

E quando si sono rotte le acque siamo affogati.
I taxi e i tassi d'interesse alti, l'alta tensione e l'alta velocità; e noi siamo bloccati nel traffico fitto di Milano. Partorirai tra lo smog e l'afa e la facilità di dire "Benvenuto a Milano, amore mio".
Tutto sembra sudare. Tutto sembra salutare. "Fai ciao con la manina".
La precarietà del lavoro mio e dell'equilibrio mentale tuo. Il dolore e il dollaro che perde sull'euro e le crisi da neuro che hai ora seduta sul sedile posteriore col posteriore appiccicato al sintetico.
Le rotaie con le biciclette incastrate dentro e i tram che deragliano.
Tu che urli e il 112 e il 113 e il 118 di via Nonriescoaleggerefinoalaggiù. Ma sempre Milano è. Ma sempre Milano c'è.
Impiccheremo dio nel suo stesso cordone ombelicale un giorno. Te lo prometto mentre piangi e bestemmi.
Vedo gli stemmi di chi ti salverà. Catarifrangenze e auto blu che ci sorpassano.
Non si pareggia nemmeno stavolta.

-Stralci Di Vita Quotidiana-
Mattia Barro