domenica 23 gennaio 2011

lunedì 3 gennaio 2011

"ti deluderò come un amore di facebook"

Che poi ti deluderò quanto un amore di facebook. e ti dedicherò status marmorei.
Se ancora tutto questo avesse senso o avesse sesso e sperma e sudore e tutta la crudezza di un omicidio consumato e delle suole consumate che gli si decompongono attorno.
Raccontami ancora del tuo nuovo amore che ho le orecchie aperte e il cuore no. Magari poi rispondi al telefono che sono in autostrada. Me l'avevi promesso e promosso. Prometeo e il fuoco che mi cade dagli occhi e mi brucia le t-shirt bianche come tutto ciò che non sei e non sai.
Dai fiato alle trombe mentre io non respiro più. Che dormo quindici ore al giorno e tutte di merda e mi viene facile dirti che è pur sempre un atto d'amore platonico. Comemai. Forse è il momento d'ingoiare le batterie dei nostri cellulari in segno di protesta per tutto ciò che hai promosso di testa tua alla testa mia.
Tu che ti sei mangiata i miei pronomi personali plurali. Da farmi chiudere la bottega e farmi essere l'animale che sono e che sonno durante i tuoi comizi sentimentali che basterebbe mi dicessi,
non ho più il tempo per accudirti, o dirti,
che son qui.

Vai in guerra e procrea.

mercoledì 1 dicembre 2010

"finisce come nei film inglesi"

Poi definiamo la parola amore che se no finisci a pensare che ti sto parlando di musica indipendente. Le chiavi nere del tuo cuore che non trovo più. E su Ebay vendono tutto tranne te, tutto tranne .
Hai poi mai ascoltato i ritornelli che ti ho mandato? Che ti ho mandato su tutte le furie quando ho riso alla frase "non ho più nulla" e non ho sentito il finale che, così, su due piedi, alla mattina, per me non significava nulla. Ma la mattina non la conosco, e non è mia amica di Facebook, e il caffè non era poi uscito benissimo, e il vento del mattino era in casa con me.
Devi ancora spiegarmi come ho fatto ad essere l'utilizzatore finale quando ti ho detto abbracciami e tu mi hai indicato i laser dell'ora solare.
Dopo che mi hai abbandonato son successe un po' di cose, tipo che ho una laurea e una barba, ma entrambe mi paiono inutili. Applicate ad ogni fine, alla fine. Mia madre ha rifatto il dehor e quelle erbacce non crescono più mentre tu lo stai facendo lontano dai miei cieli sporchi.
In verità poi non è che son ste grandi novità. Che non son nemmeno più uscito di casa e faccio ancora fatica ad articolare le parole e metto gli articoli prima dei nomi di persona, ma tu non ridi di ciò.
Quando ora ci sentiamo parliamo di cose diverse che ti ho già raccontato delle linee rette ma tu eri distratta e non mi davi retta e per farla breve, e a grandi linee, finisce come nei film inglesi.
Le istruzione per il disuso che ti comunico a targhe alterne, di certo non ti aiutano. Qualcuno poi impegnerà il cuore nelle serie televisive e ti dico volesse il cielo mentre tu guardi Sky e mi sento ateo d'amore che neanche dandoti tutto il diabete che avrò, capirai quanto tengo a te mentre cado in un buco nero.
Che poi sei tu,
eroica e onirica e anarchica
ed eretica.

mercoledì 24 novembre 2010

"Tu con la u che suona così"

Che le parole sono importanti e sono il tuo Moretti con il fegato spiaccicato sul marciapiede. E giuro che questo è amore vero come nelle canzoni pop da hit parade, che fa molto fine anni ottanta e tu sei così bella anche quando mi deridi.
Ho perso la macchina ma poi l'ho ritrovata e ho perso te ma non ti ho mai più rivisto ed in entrambi i casi ero ubriaco marcio che sto dando tempo al tempo e lui mi ripaga sbiadendo i contorni dei ricordi che non ne uscirò.
Poi mi trovo a far serata con Brondi e parliamo della parola acne che ci è tanto cara che è un perfetto sinonimo della tua adolescenza che acne non ne ha che tu hai la pelle bianca ma bianca come me e non smetterò mai di cantartela per casa. Ti dedico anche i concerti ai quali non partecipi e nei quali non mi tremano nemmeno le ginocchia che mi succede soltanto di fronte a certi dischi di certi jukebox oramai. Gioia.
Quando tornerai dall'estero è la più bella canzone che hai scritto e mi ricorda lei che è il mio tu quando scrivo.
Tu - con la u che suona così – mi ha riempito le dita d'inchiostro.
(dis)grazie.


negli hangover dove hai perso un orecchino e io ho portato a casa tutti i miei miti,
Mattia Barro

giovedì 18 novembre 2010

"Tu che poi giochi a shangai con le mie ossa"

A volte poi ti ricordi come si sorride e lo fai quasi nascondendoti da me, che è passato tanto, troppo tempo oramai, da quando ti ho vista ridere. e deridermi.
I giorni passano come i treni sopra i miei piedi che non ho nemmeno più le forze per bestemmiare e basterebbe iniziare a rassegnare le dimissioni di missione in missione. Missionaria di popoli sottosviluppati come il mio senso del pudore che quanto ti dico t'amo tu mi dici sono le otto e mi ostino a prenderla con ironia anche quando il destino è di prenderla in un'altra via in un'altra vita.
Quando poi sono diventato dottore ti ho prescritto una trasfusione del mio sangue per farti essere immune ma lo eri di già, e si son spiegate tante cose che ho preso appunti e ho preso a pugni il muro e in ospedale i punti che posso dire in giro di essere un duro mentre mi prendono in giro di sicuro.
Tu che poi giochi a shangai con le mie ossa e chiunque possa uscirne vivo dovrebbe insegnarmi come si fa.
Non c'è né la matitina, né le notifiche che spuntano come brufoli. Persa nell'etere e nell'entroterra italico che ci schiaccia le dita come le portiere delle auto in doppia fila sotto casa, che quando ti aspettavano davanti, siamo entrati da dietro. Comunque non ti trovo, e non sono un pugile io.
Sul calendario segno con delle x i giorni in cui non ci vediamo e novembre è un campo minato e son troppo goffo per uscirne vivo. Che non sono come te, ahimé.
E' che poi nel 2010 non sentirsi mai, con le grandi novità tecnologie di fine secolo, è una dichiarazione di intenti e il notaio firma per i miei tentativi a vuoto di farti capire che non era un calesse.
Quando poi la poesia è diventata sempre meno e non ce la facevo più a competere con i volti. Cari a te, cari a me ma con un diverso significato linguistico.
Che dall'ultima volta che ti ho visto, sogni ubriachi a parte, avevi le labbra secche,gli occhi assonnati e le ossa in vista. Ma sta svanendo tutto e non ho una Delorean e sei irraggiungibile come il mio telefono se sto in cucina in provincia. E non ho nemmeno una bicicletta per farmi tagliare il volto dal vento e vantarmi delle lacrime. Che avevo bucato i sentimenti.
E ora perdo solo.


Mattia Barro

lunedì 15 novembre 2010

"ti porterò nei paesi scandinavi a riderci un po' su"

le istruzioni per il disuso e per il disarmo che mi sono armato di buona volontà per superare il tuo campo minato sentimentale e farti firmare l'armistizio. tu che cercavi spazio e io che ti citavo in giudizio. 
quando poi parlare di nuovo con te e' stato come la prima volta di due teenagers. 
un giorno ti suonerò quel ritornello a casa tua, seduto con le gambe incrociate e le dita incrociate da sbagliare tutti gli accordi ed essere d'accordo con te. ho dato fuoco a tutti i capelli rossi in questa caccia alle streghe e c'è ancora chi crede che io scherzi, tipo te. 
ti porterò nei paesi scandinavi a riderci un po' su per scaldarci a vicende, vincendo ogni tua giovane resistenza. dimmi solo che è ora di prenotare che per Ryanair io e te abbiamo in comune il bracciolo dei sedili, ma da eroe dei due sedili lo lascio a te che probabilmente lascerai poi me solo a vagare nel freddo polare, e orso. che grazieaio mi hai ridato sociopatia e inchiostri.
con tutte le foto che mi hai inviato ho tappezzato la mia camera dei ricordi e dei sogni, ma comunque son sempre di più le birre vuote. 
Quando poi ci rivedremo nel 2012.
la sottile linea tra amore e bile. ma un giorno capirai la prima e dai tempo al tempo anche se oramai ne è pieno e non sa che farsene. o far da sè.
ricordi postatomici dei kleenex passati che a star così a cuore aperto era normale prendessi freddo. e i lividi su me e il mal di gola a te, chiamala separazione dei beni. 
abbiam rotto cornici e arti e parti di cuore sparsi che era una sparatoria con gli indici, che so che mi amerai, dato che mi indicavi sempre.
ma forse non funzionava così.

da un iphone,
mattia barro

sabato 6 novembre 2010

"appunti da un parcheggio torinese" - censurati.

Quando pensavo fosse a-ore ed invece era pura odontoiatria.
Mi sveglio in una macchina parcheggiata in una domenica mattina vuota e mi fermo a vomitare all'angolo che ti ho chiesto di far finta di a-armi mentre mi soffiavo il naso.
I nostri hangover hanno i brufoli.
Ci ha --------- la ----- e quella li è la ----- mi hai detto e sono finito a fare colazione --- --- nella sacralità della pioggia torinese che è come acido per i miei risvegli.
Canto in soggiorno brani che non sentirai e mi dirai che tutto ciò di cui ho bisogno è in frigo, che tu non hai null'altro da offrirmi. Ti soffermi su questo con una lucidità biblica mentre ti sbiascico addosso tutto l'a-ore che ho, tutto il --ore che non ho.
Più.

---.

Avrei voluto dirti ti a-o ma non avevo i sottotitoli con me.
I bugiardini che mi sbugiardano e tossisco che pare vomito ed in un'autostrada ci fermiamo di continuo. In questa vodka rivedo i tuoi pugni e i miei lividi.
Gli hi-five per la sociopatia lo-fi.
Quando poi per tutto un weekend ho aspettato un tuo messaggio manco fossi all'estero, manco fossimo estranei. All'esterno il grigio dell'ora solare e tu hai la pelle bianca come la mi- e mi sciolgo. Null'altro in comune.
Sindacalizzami anche questo m-n a-our.


Quando poi -- -- ----- e ti ho perso nello stesso istante.
Distante come se -- ----- -- fosse rotto a metà, come me. Come mai.
La post-apocalisse del giorno dopo e delle ore che cambiano nella notte - -- ----- che nemmeno c'è l'alba e sto abbastanza di merda tra la ------ tosse torrenziale che fuori piove e dentro grandina e -- che -- spingi --- --- -----.
Da quando poi ho imparato a bestemmiare.
Ho solo più scarpe sinistre e mi alzo con il piede sbagliato ecicredo.
Pensando che sulle scale in cui -- ho portat- -- ------ ora cado giù fratturandomi arti e le parti di noialtri che non si incastrano più come le mie dita tra le t-e costole; che io l'avrei chiamato sen---ento. Forgive me.
Che poi io dico a-ore e tu stalker è forse solo palindromia. O un reato federale di cui mi denunci mentre mi annunci gli orari per il cambio palco.

domenica 31 ottobre 2010

"Qualsiasi cosa voglia dire casa. Qualsiasi casa voglia dire casa."

Nei discount le casse chiuse con file chilometriche di gente che aveva qualcosa da dire fuori di casa e che ora è fuori di testa e canta fuori sincro. Fuori le nuvole d'ottobre e le otto di sera e cosa saran mai tutti i miei messaggi a cui non dai risposte. Rispolvero canzoni nascoste nei deserti dell'ipod e l'alcool costa troppo che coi soldi che ho spero di cenarci-pranzarci-dormirci.
Tu non sei a casa. Mia.
Qualsiasi cosa voglia dire casa.
Qualsiasi casa voglia dire casa.
Mia.
Non ho l'età per correre e non sfondarmi i polmoni con respiri spaziosi e finisce che sullo sterno mi ci ritrovo casa tua ma arredata male e naturalmente hai invitato tutti a ballarci dentro, tranne me tranne me tranne mentre ti chiamo e non rispondi. Quando fuori piove e mi sfondi i timpani sfoderando il consueto charme e lo scialle.
Che farsene poi dei sentimenti anafilattici che mi schockano?
Laurearsi poi, in cosa.
Al cinema proiettano Ritorno al Futuro e se solo fosse il 27 ottobre 1985 non saremo nemmeno idea di guarnizione che qua perdiamo ovunque. Plurale maiestatis e non siamo mai stati così male.
E trovi il fegato per dirmi che con tutte le mie scontrose paranoie mi si sfonderà il fegato. Io tu e io e i plurali a cazzo, ma giusto per grammaticare frasi errate.
Quando abbiamo preso quell'aereo che poi è esploso l'applauso degli italiani e noi abbiamo pianto ma perchè era finita la scorta di vino mignon che avevo comprato in doppia cifra. Messaggi cifrati di cui nemmeno chiedi spiegazioni.
E' stata una carneficina e ti ricorderò per sempre anche così.
Quando parlo di te parlo di me che d'altro non so scrivere, analfabeta come sono. I giorni che hai segnato sul calendario per il tuo mestuo sono i giorni in cui esco.
No Age.
No way.
Norway.



mattia barro

venerdì 8 ottobre 2010

"The Hard Times of Mattia Barro"

Ottobre è ancora settembre e non ne usciamo più dalle porte di casa chiuse a chiave con te che mi chiedi indicazioni per uscirtene di corsa dal palazzo in fiamme senza passare dal via, ma con la pancia piena.
I servizi igienici in sciopero mentre mi opero al cuore che a ore il rocket riapre e possiamo passare la serata seduti fuori, standoci dentro.
Le foglie non cadono nemmeno se le stacco e mi lascia di smacco vederti entrare di soppiatto dal soffitto. Ti ho affittato un rene: e ora di rimandarmelo indietro nel tempo.
The Hard Times of Mattia Barro.
Parliamo per ore di cose che non ho mai visto e visto che ci siamo parliamo anche di tutti gli amori che hai avuto. E voluto. Ma non valutato.
I marciapiedi di un settembre che si è trascinato come un cancro in bilancia. E di un ottobre che non sembra in grado di mantenere minimamente le promesse promesse maniacalmente. I resoconti di stagioni che non ci hanno lasciato a nostro agio, agitati come siamo rimasti a masticarci su gli eventi violenti che ci hanno spinto in guerra.
C'è astio ovunque.
Quando son cadute lacrime di cartone, mi son preparato latte e tea mentre tu dormivi si, ma dall'altra parte della città, se Milano vuoi e puoi ancora chiamarla così. A casa non hai lasciato nulla e non ho nessuna scusa nessun pretesto nessun bagarino per cercare di contattarti e dirti "non è poi la fine del mondo". Sai.
Che poi per me lo è.
Ad una certa ora rimaniamo solo io e la lampada Ikea e le intrusioni notturne che le mie tempie non amano e i tempi bui nei templi blu. Nè tu. Non rimane nulla da mangiare se non i chili d'ansia sullo sterno che mi fan passare la fame.
E' arrivata l'alba,
torniamo tutti in Piemonte.


Mattia Barro

venerdì 24 settembre 2010

"a piccoli passi capiremo dove l'alcool costa meno."

Scriviamoci da farci sgretolare i polpastrelli. Ci.
E' colpa mia,
se siamo diventati ritornelli di canzoni scritte coi pennarelli sugli A4.
Non sai quante volte percorrendo l'A4 ho sperato mi tamponassi tutto il sangue che fuoriesce che fuori stiamo irrigando le risaie circostanti con le nostre risa. Alla prossima rissa fermami prima.
Distruggi tutto.
Ti chiedo il numero di un buon terapista ma non sei convinta di darmelo e di darmela vinta. Vinto dagli sforzi di un altro giovedì sera ti chiedo se hai ancora voglia di bere. Se hai ancora voglia.
Firmato il contratto, hai firmato il tuo impegno. Come pegno del mio impeto mi hai dato un disegno di una casetta di legno costruita in cima ad un albero di plastica riciclata. Vienimi a trovare se vuoi. Che resto a casa anche oggi.
Il nero si è fatto più piccolo, ma intenso e teso come sono sento che non va poi tanto meglio quando mi paragoni a questo settembre insorto. Sorso dopo sorso un tea ha fatto già il suo corso e non ti obbligo a firmare la petizione per lo sgombero che intanto lo si fa in piena tranquillità e volontà.
I mercoledì passati sui tavolini a far strategie per rispondere a comportamenti corpo a corpo che facebook non ci regalerà. Anche con la realtà aumentata è aumentata la realtà palese del freddo polare che tu hai le maniche corte, le braccia corte sul tempo e una corte dove perdere e prendere tempo.
Chiamami se finisci prima che finisca di aspettare. Tu sai l'aspetto che ho, annaspi però.
Non è il caso di inzupparci che in questo secolo la paura di prendere un raffreddore è la stessa che combattere in una trincea di discussioni epiche.
E a piccoli passi capiremo dove l'alcool costa meno.
Meno di zero.
Gradi centigradi.

Mattia Barro - My Bear, My Beers and Me with my Beard.

sabato 18 settembre 2010

"Come quando piove in trincea, ad Ivrea"

Come quando piove in trincea, ad Ivrea.
La mia Africa europea e il deserto a Milano alle cinque del mattino.
I tram si sono scontrati come quando ti ho detto che saremo stati omogenei e omofobici. Aborigeni con le Converse slacciate.
In città tutti fotografi e per piacere post-producetemi un sorriso d'intesa che prelevo prima che la banca s'intasi. In sintesi, sintassi scorretta.
Sarà che poi il destino arriva, mi hai detto, ma poi si è chiusa la chat e il server è risultato temporaneamente assente; proprio ora che serve.
La musica anni '50 nei dj set trasforma il pubblico in dementi ondeggianti dico, e indico. I tuoi occhi indaco.
Indaga su quale faida sto partecipando e fai da testimone oculare. Occultati i sentimenti ho il culo di sentire ancora i tuoi tramite i messaggi di posta che non arrivano più.
Faccio la cazzata più grande che ci sia e ti scrivo di nuovo. Ti scrivo di nuovo.
Non citarmi in giudizio, anche se il tuo giudizio su di me si sta decomponendo. Le guerre infinite ci lasciano in fin di vita fino a che qualcuno non ci porti via.
Scrivimi un messaggio se c'è un posto in più in macchina che ho perso ogni altro passaggio e il Magnolia sta chiudendo.
grazie.


Mattia Barro

mercoledì 15 settembre 2010

"Nei cinema all'aperto c'è odore di chiuso"

Nei cinema all'aperto c'è odore di chiuso.
Sprofondiamo in silenzi infiniti con le risate attorno che sembrano registrate e non siamo altro che uno zoom out chilometrico. Parlo per ore con il tuo corpo scheletrico e qualcuno mi zittisce da fondo sala, ma infondo sei tu. A fondo son io. L'uomo del riso dorme ancora.
Se solo avessi una tenda potremo tentare di riavvicinarci alla terra e ravvivarci a vicenda. Radicati e radicali nelle nostre scelte alcoliche non ci siamo più parlati o paragonati ai film. La tua tivù non è la mia tivù: abitiamo così lontano dal telecomando.
Ti addormenti ancor prima che possa dirti addio e la casa rimane al buio come se il domani fosse ancora tutto da disegnare con le matite Ikea sparse per la stanza.
Puoi firmarmi la giustificazione per poter saltare la nostra prossima discussione?
Le disinfestazioni e i visi in festa nelle peggio locazioni che no, quindici euro per entrare in questo posto di merda non li metto.
Mi dici che dovremo uscire insieme per non pensare all'astio che c'è ma pare tu abbia invitato tutta Milano e gli open bar gratuiti costano comunque troppo e no, non me li posso proprio permettere e mettere su la camicia buona di h&m.
Rimango in città solo per non star solo e per noi ma, ah scusa, non c'è nessun noi. Ridammi indietro le parentesi e le paresi degli ultimi sorrisi.
Cosa mai ci sarà da fare in centro adesso.

martedì 7 settembre 2010

"Parlami di cosa non sei più"

mi son scontrato contro le tue ossa e ora si sono incastrate con le mie. Che pareva mangiassimo alcool e altro no. La tua maglietta invisibile con le maniche su.
Credevo avessi smesso di scrivere, non mi hai detto. Che detto così sembra ammirevole.
Ho cancellato ogni nastro inciso e deciso di mettere nastro adesivo attorno ai ricordi a buttarli giù nel fiume. per inciso, giù dal dirupo. Etichette senza nome e ticket scaduti.
Oggi sei così triste che ti si sta sciogliendo la faccia ma comunque ancora non rispondi. Quando ti chiedo.
Non andiamo più a comprare birre dai pakistani?
non andiamo più a comprare birre dai pakistani?
Parlami di cosa non sei più. Parlami di cosa non vuoi più per cena che ho fatto cinquanta euro di spesa. Parlami di come non sei più.
Costruiti bellissimi edifici mi passi l'accendino per la dinamite e le dita che mi stringono l'avambraccio sono acciaio nella mia carne e tu dici che mi senti vicino. Carino.
Il talento che avevo te l'ho regalato senza ritegno e assegno.
Così nel giorno in cui non andammo a segno.


Mattia Barro

sabato 31 luglio 2010

"le molle incastrate tra le scapole"

la rete del letto ha le molle che mi si incastrano tra le scapole e i sogni scappano come di fronte ad una retata. non c'è rete per cercarti nell'etere e a me e te non resta che tremare. Tu sei al mare e io pure ma in mondi diversi. Divisi dalla geografia e della geopolitica. Un giorno mi hai detto che ti sarebbe piaciuto fare la post-produzione del g8 di Genova.
Mi sveglio sull'asfalto in mezzo a migliaia di persone con la ghiaia che mi ha sfigurato e tu figurati se ti sei fatta viva o bionda. Le birre che colano giù e il deserto alla spalle. Senza metafore.
Arrivato il caldo sei andata in vacanza da me. Devi schiarirti le idee e i capelli che è la nuova tendenza. Il mio compleanno festeggiamolo in seme. Come non fossi nato.
Mi dici che forse mi raggiungi ma non ho gli addominali a tartaruga e ti annoi subito da lasciarmi correre per chilometri di Toscana con il vino tra i denti.
Pensavo arrivassi.
Pensavo ci arrivassi.

lunedì 12 luglio 2010

"che alle 4 tu sei a prendere il sole e io la luna storta"

Andiamo in vacanza insieme. Che intanto ci siamo traditi a vicenda e avvicinandoci alla spiaggia già lo sappiamo. Come la quattro verticale.
Alle quattro tu sei a prendere il sole fin quando starà su e io a prendere la luna fin quando starò su. Le estasi infinite e le estati finite male come fatte d'ecstasi nei primi duemila.
Tu con il tuo costume da bagno e il con il mio costume da me stesso che a fingere ci metto nulla.
Son fiero di te.
I divani delle pensioni e le propensioni a svenirci sopra a vicenda neanche fosse un coito colto al culmine. La tua pelle su di me sa di pomeriggio trafitto e lungo il tragitto verso il mare vorrei morire.
Gli ombrelloni sui miei sentimenti insabbiati che tra insolazioni e castelli di sabbia in aria ho dimenticato di inumidire. In quel secchiello facciamoci un long island che, intanto, tanto marittimo fa.
Ai falò io stono e tuona e poi piove. Ma non ho le prove che non sia colpa mia e tu pensi sia geloso del fatto che ami tutti tranne il sottoscritto e te lo sottoscrivo sotto il tuo biglietto da visita che magari cambi opinione e opinion leader.
Idem.

domenica 11 luglio 2010

"ad una generazione mancano le idee"

Dici che ad una generazione non dovrebbero mancare le idee e che nella gioventù dovrebbe risultarmi tutto più semplice.
Nemmeno fossi un genio o un senior o almeno un designer. Desidero indietro la mia giovinezza e l'adolescenza che si è arrampicata sui tralicci ad alta tensione per rimanere all'altezza. Le crisi di bassa età in stagione medio-alta.
Le foto delle serate a cui non ci presentiamo.
Le foto delle serate in cui ci presentiamo e sembra che ci stiamo conoscendo proprio quella sera che di me non sai nulla e non so se è solo normalità o una norma di galanteria che la tua lanterna mi mostrerà.
Cresciuti i nostri piccoli mostri altro da mettere in mostra non abbiamo, che abbiamo finito i talenti e i taralli e ho speso tutto per comprarti un'ideologia.
Prima o poi i parenti partiranno per venirci a trovare qui nel deserto del nord.
Che son tutti scarabei.
100 e 10 punti.

lunedì 5 luglio 2010

"l'estate è arrivata, poi cadranno tutti a pezzi."

E poi non dici nemmeno il mio nome. Che sembra ti sia stato bandito o che un bandito me l'abbia rubato e la mia band ancora non ha nome e non so se centri davvero qualcosa qui.
Che poi divento emo e temo per la tua incolumità ma tanto i polsi sono i miei e i soldi pure. Metti su la pasta e siamo apposto. Al posto tuo amerei me, ma pare egocentrico da dire e le dita sullo schermo del mac non si lavano più via.
Non capisco il via vai dal tuo cuore che anche se ripassi dal via non cambia mai la prassi. A passi così decisi cadrò giù dal bancone al prossimo open bar. Open air.
Mi dici che i film sono fatti per essere visti nelle notti di luglio e giugno con le pale che ci tranciano la testa a metà da farmi ricordare solo una parte della meta a cui ero diretto. Ero, di fatto, un eroe fatto d'eroina, ma l'eroina si è fatta un altro. Finisce con l'happy ending tutto tranne la mia insonnia. E tu ti auguri non sia contagiosa ma finiamo comunque a scriverci messaggi lunghi mesi che una notte non potrà mai bastarci per esprimerci e reprimerci.
Finisci la libertà che hai nel piatto che poi lavo tutto.
Andata via l'ispirazione cerco altre amantidi da alternare alle notti infinite e le note finite sotto il letto non le tiro più su.
Quando poi c'è stato il temporale abbiamo discusso delle precipitazioni e del nostro rapporto scosso sull'orlo di un precipizio. Per esercizio penso sempre che tutto cadrà giù come le lune storte e o le torri toscane.
Mi hai disegnato su un quaderno un mattino per farmi capire cosa mi perdo e mi son perso nell'approssimazione del tutto e nella cura dei dettagli malati.
Hai detto che sarebbe stato carino fare colazione come le persone normali. Così da chiarire la tua personale idea di me.
Mi hai tolto le chiavi per chiuderti dentro me e Milano è piccola per tutti noi messi assieme solo negli insiemi e in seme. Sedimentati come siamo rimasti. Se di mente siamo rimasti indietro.
Tu mi hai detto che odi i miei giochi di parole e io ti ho detto che amo i tuoi giochi col mio cuore.
Poi ci siamo detti basta; l'estate è arrivata, e poi cadranno tutti a pezzi.



Mattia Barro

sabato 26 giugno 2010

"Palloncini nel cuore"

Poi tutti piangiamo e lui ha un palloncino del cuore che pare una cosa dolce da dire ai bambini.
Guarda sullo schermo gente che gli perfora il corpo e lui non sente niente come quando ti ho detto che forse era ora di smetterla di giocare all'impiccato e tu hai dato un calcio alla sedia ma sei caduta giù poco dopo.
Quando lui ha preso a calci tutta la merda che aveva dentro tu ancora ti lamentavi del rossetto, o dei capelli, o dello smalto e forse sarebbe finita in ogni modo, che il nostro era cancro.
Le porte si chiudono come le cerniere dei dottori d'ufficio e si riaprono subito dopo con getti di sangue che siamo un film splatter quando ci amiamo. poi io dubito. diobò.
Ha un cuore così grande che gli hanno costruito dentro palazzine con contratti a tempo indeterminato e un grande campanile a tenere il tempo della bigband. Ho sentito dei ritmi che non riuscirò mai a ripetere mentre tu ripeti che è un altro venerdì sera speso a parlarci.
Tu ci hai infilato dentro il veleno e hai spinto forte.
con tutte le forze.

giovedì 17 giugno 2010

"Non è ancora uno status quo"

E poi ho smesso di scrivere altro e mi sono dedicato a canzoni con zone d'ombra.
Hai presente il presente?
L'ho perso e tu l'hai preso e la giostra girava ancora come la testa negli open bar con le serrande abbassate e la scritta 'chiuso'.
Mi hai detto che non sono una zanzara ma il risultato non è cambiato.
Hai cablato l'anima e mi hai chiesto del tempo. Va in click? Si sente in spia?
Tu, e io, che siamo una spy story con il protagonista coi baffi e la pistola nella cavigliera chenonsisamai. Hai cambiato status e non so se scriverti qua è ancora uno status quo.
Dici di no.
Sui taxi prendi malattie sessualmente trasmissibili come la lucidità di pensiero e la notte non è più notte e le note non son più sole e non noti nemmeno le occhiaie che hai. che ho. che hai? mi hai chiesto. Occhiaie.
Abbiamo svuotato le stanze con traslochi da atrio ad atrio da ventricolo a ventricolo. Non ci sono più i trilocali di una volta, con le finestre ad oblò.
Ohibò.
Giusto per.


Mattia Barro

domenica 2 maggio 2010

Sei caduta innamorata e mi hai trascinato giù come nel pogo - STRALCIO

Quando sei caduta innamorata mi hai trascinato giù come nel pogo. Nei bar affollati mi rovesci sempre la birra addosso e adesso che ho finito i ricambi hai deciso di cambiare locale. Nazionale. Globale.
Ci hanno rubato la bici da sotto casa e non abbiamo più scuse per tardare e tornare indietro. Potevano almeno lasciarci il sellino. O il campanello.
Con gli affitti che ci piovono in testa, gli ombrelli servono a ben poco e meno male che qualcuno ci dà dei lavori ora che ci stiamo prostituendo. Ora che ci stiamo promuovendo. Tutti i pro e contro-alt-canc.
A far la tesi ci è venuta la tisi e le tisanerie che ci fanno suonare gli ukulele ora non ci vogliono più. Meno male che maggio c'è.
Con tutto l'oro del mondo. Avercelo.
Ora che ho disimparato a scrivere e sembro diselsicso.
Come quanto ti moa.


Mattia Barro

domenica 4 aprile 2010

Le macchine vintage sono musica - MUSICA

C'è una band francese che amo, che fa dell'indie-pop squisito.
Si chiamano We Were Evergreen (http://www.myspace.com/evergreenfr).

Ho avuto la fortuna, e l'onore, di remixare un loro brano.
quindi
We Were Evergreen - Vintage Car (Mattia, No Superman feat. Maze)

che su soundcloud è qui
http://soundcloud.com/nosuperman/we-were-evergreen-vintage-car-mattia-no-superman-feat-maze-remix

che è sempre sul myspace
www.myspace.com/imnosupermanmusic

forse su last fm sotto Mattia, No Superman.

sul gruppo di facebook
Mattia, No Superman.

un po' ovunque come l'amore quando non c'è.

copiate, incollate, scaricate, bruciate.

Vi abbraccio,
m

lunedì 22 marzo 2010

"Domani nella battaglia"


Sui letti con le coperte nere di solito moriamo. Memento mori. Hai appena rifatto il letto che morirci su sarebbe un peccato.
Pacato mi muovo sopra il piumone per salvaguardarci il letto tombale. Le sigarette che non fumi più si stanno spegnendo e spargendo qua e la qua e la qua
e la qua
e
laquae la qua e
la.
Tiri su col naso il silenzio. Ti tiro su il morale e mi tiro su i pantaloni. La tua gonna nera, a vita alta, che vorrei abbassare ma non è tempo che piove fuori. Milano.
Non scrivi più, dici.
Non sono uno scrittore, dico.

La linea delle lenzuola e dei tuoi tratti somatici. Cromatici come nonsiamo. Le pareti bianche come il tuo viso. Il nero dei nostri anni 50 sentimentali.
Ho comprato della carta per la macchina da scrivere.



Con gli inchiostri dei tuoi sguardi la ricaricherò.
Shakespeare ci ha detto tanto e ora non ci restano che i silenzi. I fogli che si alzano leggermente quando si alza l'autunno. Il pre-inverno di noi stessi.
Con i romanzi che ho bruciato potevamo farci un rogo, per sfogo, per sfiga.
Amore mio che non ci sei più, gli anni passano.

Tu che mi guardi e Tu che mi guardi e Tu che mi guardi. Non so dirti più nulla ora che non so più scrivere.
Finiscono i giorni e i colori per i contorni e tutto ha un senso di sfumato che tutto pare essere le tue sigarette. Come quando da piccola salivi sul tetto di casa a vedere l'orizzonte dietro le fabbriche. Salutando papà che usciva.
Il tuo contorno bocca: ti sto ascoltando.
Quando abbiamo capito che tutto era davvero finito è venuto giù il sipario e un temporale maestoso che sei corsa a chiudere la finestra del nostro futuro. Sei stata, in un qualche modo, premurosa.
Noi siamo stati, in qualche modo, prematuri.














Ora la battaglia.
Dispero
e
.




Text: Mattia Barro
Pics: Chiara Esposito

martedì 9 marzo 2010

"Quando la casa esplose"

Quando la casa esplose tutto quanto attorno sembrava essersi fermato.

Pareva che l'aria fosse vuota, sospesa tra il niente e il nulla.
Impregnata come non mai della vacuità della provincia.





Erano le 14:32 e il mondo non esisteva se non oltre un fotogramma catturato e propagato nei minuti adiacenti.

L'esplosione fu epica.

Il paesaggio prendeva i colori delle fiamme e delle mura che si sbriciolavano innalzando polvere bianca come a sfumare i contorti. I riflessi dei vetri e i giochi di luce e ombre come se il sole inciampasse di tanto in tanto. Di tanto. In tanto.

Pareva fosse mezzogiorno.





Erano le 14:32 invece e il mondo era un magnifico fotogramma dai colori vivi.

L’esplosione fu epica.

L'epica delle urla e dei pianti e dei versi dei corpi bruciati; nient'altro che macerie sociali. Tutto era bianco come se una nevicata sporca avesse invaso l'agosto della provincia.


Pareva fosse gennaio.
gennaio.





Erano le 14:32.

L’espolsione fu epica.

Quando la casa esplose,
misi gli occhiali da sole e accesi una sigaretta,
perso nella grandiosità di tal dipinto vivente.



Text: Mattia Barro
Pic: Chiara Esposito

domenica 21 febbraio 2010

"What we talk (When we talk about love)."

Quella della seconda C.
quel magnifico esempio di prostituzione contemporanea soprannominata "MCS".
I film giovanilistici anni novanta
le polaroid dell'infanzia
le luci di scena nell'ultimo brano eseguito dai Sigur Ros a fine concerto nel tour 2008.
Wayfarer
Converse
il letto fatto
il sesso fatto
il letto disfatto.
le scorte di vino rosso
gli spritz a un euro con le pizzette gratis,
noi che ci beviamo le scorte
il thè bollente
le 5 del pomeriggio
le 5 del mattino.
megafoni
telefilm
quel verso che dice "voglio costruire edifici altissimi per te, ma i costi, mio dio, quei costi, non me li posso permettere".
I biglietti aerei
le piccole librerie antiche
quel magnifico esempio di letteratura contemporanea intitolato "Sei felice Charlie Brown?".
Quello della collana Bur.






text: Mattia Barro
Pic: Chiara Esposito

domenica 7 febbraio 2010

Poi alla fine c'è questa - MUSICA

la mia cover di Nantes di Beirut. Tratta da "The Flying Cup Club"
un modo o un altro per ringraziare e raggrinzirsi.

c'è sia qui:
SoundCloud
che qui sul myspace:
MySpace

come dire ti amo
ma al contrario.

Che poi alla fine è un grazie.
Dove c'è un dio, c'è poi sempre uno che prega.
la mia cover di "Nantes" di Beirut.
stuprabile.

hugs,
m

domenica 10 gennaio 2010

"Oslo è cara. L'Islanda pure." - STRALCIO

E a Natale cade la neve e cadono i capelli. Cade pure il Papa.
Tutte le cose belle divengono paciocco. Neve compresa. Password comprese.
Se mi avessi detto.
Per Natale un disco dei Mum masterizzato e scarichiamo tutto gratis. Relazioni comprese.
Vorresti sapere come ho conosciuto tua madre, lo so.
Vorresti sapere come ho misconosciuto la mia fede, lo so.
Sbattesimami. Batti le mani. Sbattesimami.
Le Converse nelle pozzanghere. Le amicizie nel cesso. Le torte cioccolato e pere.
Facciamoci un tea da bere con le tazze crepate.
Se mi avessi letto.
Cantiamo a squarciacuore canzoni che non sappiamo. Recensiamo le nostre chiamate telefoniche e l'ultima era da 5 e mezzo. L'ultima era alle 5 e mezza.
Con tutti sti a-capo, capiterà qualcosa.
No, in quel locale sei stata con un tuo ex.
No, quel locale era un ex penitenziario.
No, in quel locale sei stata con il pene di un tuo ex.
Si. Si. Si.
Sono uncool. Anche tu.
I biglietti per l'Islanda costano sempre troppo e pure Oslo è così cara che ci andrei sempre. Ci andrei sempre. Che se l'unico contro è il freddo, i nostri corpi contro lo son stati anche di più.
Con la punta della bic ho riavvolto le cassette dei nostri esordi. Primi appuntamenti compresi. Emettono suoni sordi.
Che con tutti i soldi del mondo ho comprato Húllabbalabbalúú.

Se mi avessi visto.


Mattia Barro

sabato 26 dicembre 2009

"Quando l'acqua scende dal cielo finisce sempre per diluirci i cocktails" - STRALCIO

Quando poi ha iniziato a piovere forte abbiamo rubato gli ombrelli fuori dai bar per ripararci i cuori. E così han fatto tutti quanti lasciando i ritardatari ad annegare i sentimenti nell'alcool. Nell'acqua delle pozzanghere ci siamo specchiati per pettinarci meglio. Meglio di niente. Le miglia fino all'auto.
Quando l'acqua cade dal cielo finisce sempre per diluire i nostri cocktails.
Per ubriacarci spendiamo i miliardi per andare via da qui.
Quando l'acqua cade dal cielo finisce sempre per diluire i nostri portafogli.

Mattia Barro

"Passaggio Incompleto" - STRALCIO

Tu leggi in francese libri di cui io, dall'altro lato del letto, fatico anche solo a tradurre il titolo. Mi cadono addosso le parole dei saggi che provo a (fra)intendere. Saggiamente mi dici di sedermi per non esserne soffocato.
Quando sono lontano tu esci di casa di soppiatto. E non capisco perchè. E non capisco perchè. Potresti fare tutto il rumore che vuoi. In questo multiproprietà.
Ci sono i doppi vetri i doppi sensi e i doppio giochisti. Angolo cottura e vertici aziendali. La vista dà sul lungomare e le sviste son vaste.
Certe cose non le finiremo mai di costruire.

Mattia Barro

mercoledì 2 dicembre 2009

"Poi preghi" - STRALCIO

Che è sempre tutto te(a)tro.
Dai kebabbari all'angolo malattie veneree e coca cola in omaggio.
A Milano quando non piove dicono che tutti che andrà bene. Che andrà a bere per pisciarci in testa più tardi.
A capodanno metteremo travi di legno sulle finestre.
A capodanno emetteremo vari segni vocali.
Morricone con l'orchestra e mia madre con il diabete.
Democratici a modo nostro.
Democratici nel mo(n)do vostro.
Le parentesi quadre e le equazioni per dividerci a metà i resti. Tu che non resti.
Facciamoci cassette mixate e casse di birra. E chissà che boria.
Con tutti i nostri impegni ci siamo presi a pugni.
Pregi.
Poi preghi.

Mattia Barro

sabato 21 novembre 2009

"Come siamo bulimici amici miei" - STRALCIO

Che con tutte ste bottiglie e battaglie non andremo poi così lontano. Che su queste distanze ci abbiamo apparecchiato sopra e servito gli anti-pasti dei nostri digiuni.
Come siamo bulimici amici miei.
Come siamo bulimici amici.
Ci hanno rigato i vinili e regalato vini per sopravviversi. Gli insegnamenti con le insegne grandi: rendiamo omaggio.
Rotte le dita e stretta la vita siamo amorfi. Siamo forti morti risorti. Zombie della sociologia moderna e della filosofia classica.
Siamo bellissimi, siamo condannati.


Mattia Barro

mercoledì 4 novembre 2009

M (epilogo) - STRALCIO

Hai rimesso a posto la stanza. Hai rimesso a posto le M.
Ora che tutto è in ordine, la A maiuscola seguirà la m minuscola.

Mattia Barro

martedì 13 ottobre 2009

"Da una vecchia Moleskine rossa come ottobre" - STRALCIO

una vecchia moleskine finita con tante altre cose nel nulla che poi è tutto il mio passato.

percorso a ritroso dal più recente al più ammuffito.
circa da luglio 2009 a gennaio 2009. o forse era dicembre 2008.


to my sweetheart, the melancholic

"I bambini scappano dai cani nei parchi e tu mi parcheggi nella doppia fila delle tue manovre sentimentali. Che oggi fa abbastanza caldo per ucciderci e tu non mi lasci il finestrino giù. Di che parliamo?
Si stanno riprendendo tutto, organi compresi, riprendendoci con telecamere giganti. Stars di Che Cazzo TV.
Guardandoti con due aspirine e mille euro in meno ti chiedo se puoi offrirmi una pizza. E uno strappo in macchina. Ma Miami è lontana.


No.
non ci siamo lavati via del tutto.
No.
non ancora del tutto.
No.
non ci siamo lavati via del tutto.


Mi hai dormito sul cuore lasciandoci la piega.
Spiegami ora che ci fai a 600km dalla fine con lo sguardo fuori fisso dal finestrino.


I mondi (in)finiti.
Tu che mi spettini,
io che ti pettino,
il vento forte.
La birra al litro,
la musica in filodiffusione.
Dimmi che non siamo solo questo.


E quando mi hai detto che ci tenevi a me, guardavi nel vuoto come le hostess. E gli aerei ci avevano scompigliato i capelli. E i fusi orari.
Sdraiati sul letto siamo in due case diverse come i tramonti visti in volo con in volto i colori opposti a noi.


poi come un treno è arrivata Parigi e il diretto per Bologna.
La cecità.
Il vino è diventato aceto mentre eravamo fuori a far rivoluzioni, a farci di rivoluzioni altrui. Rifarsi una vita?
Perdiamo peso lasciando per strada i nostri terrorismi psicologici.


A Barcellona ci amiamo in faccia alla faccia di chi ci dice "abbiamo venduto i sentimenti".


Che hai svegliato tutti quando alle 5 del mattino gemevi rumorosamente. Avran pensato che facessimo sesso ma facevamo senso. Fatti com'eravamo dei nostri fitti problemi di comprensione reciproca.


E se piango mi chiedi se lo faccio per te. E io vorrei farmi per te.
E io vorrei farmi prete.
Affermi che ti dico ti amo solo per guardarti sotto la gonna. Correggo il tuo "guardare" con "entrare". Ma non mi sento ancora appagato dal vocabolario.


Vederti è stato quasi, tipo, importante. Almeno ora so che esisti. E sei viva. Vado via e ti lascio, che non mi rimane che questo. Che la fortuna me la sono giocata ieri sera. Sarà. Sera. Sempre. Perdo. Perdo gli occhiali da sole e per una volta ti vedo per davvero.
Parlando di sinapsi.
Parlando di ulcera.
I tuoi attacchi di panico contro i miei attacchi di panismo.
Che poi diventeremo riserve, finiremo le risorse e saremo prima in riserva e poi a piedi. Mi dici che ti senti a tuo disagio.


Fossi in te sarei rimasto a letto, mi hai detto. Aggiungendo che sai come sto, dove sto, ____ sto. Sotto di noi le metropolitane con la luna storta e i binari pure.
Dove ci porterà questa parte di noi?
Le barche a vela di Fuksas e i nostri cambiamenti d'umore. Furore. Colore.
Ho sfogliato la rivista della nostra vita nella sala d'aspetto del medico.
Rumors.
Qualcuno dice che c'è un after al Duomo stanotte.
Ma tu sei stanca.
A volte di me.


Le orgie dei nostri battibecchi. Mi dici "Becchiamoci" e poi te ne sbatti.
Tanto lo so.
Tanto non so.
Hai una pancia enorme dopo tutto l'alcool che hai bevuto.


Che poi tu mi continui a parlare di chenesoio e ci rimango malissimo, ma non lo noti che hai il sole contro e non porti gli occhiali da sole.
Da solo.
Vado a lezione per imparare a non amarti, a non fare il martire. Martini nei nostri cuori.
La fine de mo(n)do di vederci. Fatico a vedere ciò che mi stai raccontando e raccimolando ferite aperte potrei costruirci un fegato nuovo. Che non hai mai avuto il fegato di dirmi addio, ti sei voltata e basta.
Basta.


La mononucleosi delle nostre litigate sotto i brani nostalgici del 1984. Il post-punk.
Le interruzioni per tirare su col naso, col cuore, col cazzo.
Che quando ti ho detto che stavo per arrivare pensavi che stessi per venire.
E l'hai trovato fuori luogo.


Con la mia faccia da epatite C.


I nostri ego ci hanno preso tutti i nostri G8, Ligabue e Raffaello. Dai tagli sulle tue mani escono talismani tali a tutte quelle manie che chiami "progetti a lungo termine". Che termineranno.
Al Terminal 2 aspetto che tu atterri e sono a terra. Le crisi di volo e di vuoto e di voto. Andremo fuori dalla caserme a farci giustizia da soli. Andremo fuori dalle caserme a farci da soli.
L'autoerotismo dei nostri rapporti sessuali e sensuali.
L'anoressia della nostra comunicazione che abbiamo finito le batterie dei nostri walkie-talkie.
Non senti che ti chiamo?"



Mattia Barro

domenica 20 settembre 2009

"Con il retrogusto della lemon nel cuore" - STRALCIO

E sbronzi abbiamo perso il tuo piercing. E in due lo cercavamo con le dita e gli occhi e gli specchi riflessi dell'adolescenza sul tuo viso liscio senza trovare nulla. Niente perforazioni, niente performance. Solo le deformazioni visive del gin.
E sbronzi abbiamo perso la via di casa. E in due la cercavamo con le dita e gli occhi e gli specchietti della macchina sul ciglio stradale senza trovare nulla. Niente indicazioni, niente informazioni. Solo le deformazioni visive della vodka.
E stronzi abbiamo preso l'alcool di tutti. E in due cercavamo con le dita e gli occhi e le borse di nasconderlo dai visi accigliati di coloro che nn trovavano più nulla. Niente bottiglioni, niente emancipazioni. Solo le nostre deformazioni visive.

L'unica cosa che ricordo ora è il retrogusto della lemon nel cuore.


Mattia Barro

mercoledì 16 settembre 2009

"V per Volevamo uscire ma c'era il sole" - STRALCIO

Venti minuti e siamo a Ventimiglia. L'autogrill più brutto d'Italia; ventagli in vendita. Inveisco. Tagliamo il confine e se i venti son dalla nostra saremo li alle venti e trenta, dici. Mentre ti vanti non inventi nulla di nuovo. Volantini, volontari, volatili. Andiamo avanti. Poi verso inverno ritorneremo qui, avvalorando la tesi di testimoni in viaggio. Le vendemmie dal basso ventre mentre vendichiamo il nostro invalido matrimonio ventennale. Che a vent'anni la fine del mondo non è valida.

Mattia Barro

sabato 5 settembre 2009

"Parlami della tua gioventù, non c'è più" - STRALCIO

Le montature dei Wayfarer che si scontrano: è amore. Calesse comrpeso.
I giorni ai parchi e tu che mi hai stretto per fermare il parkinson. Poi qualche birra dai pakistani. Tremitalia.
Parlarmi della tua gioventù, non c'è più.
Hai gli occhi dello stesso calore e colore. Bright Eyes si fa chiamare con il suo vero nome da quando ci sei tu.


Mattia Barro

sabato 22 agosto 2009

REPORTAGE MUSICALE - Primavera Sound Festival, Barcellona (Spain)

PUBBLICATA SU INDIE-ROCK.IT

28-5-2009
Primavera Sound Festival @ Barcellona (Spagna) - Giorno 1

Barcellona è la città dove ogni ragazzo si vorrebbe trasferire. Sole, mare, gente positiva e molto aperta, birre a basso costo, divertimento ovunque e sempre. Una città viva che può permettersi, durante l'estate, un numero elevato di festival con generose line-up. E per questo si inizia già a maggio con il Primavera Sound Festival. Il Primavera è collocato sulle spiagge mediterranee, è formato da 5 palchi (con sfondo marino) e dura tre giorni. La birra costa tra i 2 e i 4 euro, il perimetro è immenso e c'è sempre il sole (almeno quest'anno), anche se la temperatura non diventa mai ossessiva.

La prima band che riusciamo ad ascoltare sono i Women (voto:6), di cui, da qualche tempo, si vocifera parecchio. Le trame dei loro brani sono rarefatte e spesso è lo shoegaze a padroneggiare sul palco Pitchfork. Vi è un certo distacco tra la band e il pubblico, causata soprattutto da una mancanza di personalità da parte del cantante, spesso troppo distante dal microfono per dar sfogo alla sua timbrica. Il suono dei Women è comunque di ottimo livello, supportati prevalentemente dalle grandi doti del loro batterista. Lontanamente, qualche sonorità potrebbe ricordare i Jesus And The Mary Chain o il loro limitrofo periodo storico.

Ci spostiamo per l'enorme territorio a disposizione del Primavera e ci imbattiamo nei Magik Markers (voto: 4), band che giace sotto l'ala protettrice di Thurston Moore. Dal vivo non capiamo, però, il perché di tale scelta da parte di Moore. Elisa Ambrogio (voce-chitarra) cerca a tutti i costi l'attitudine da menefreghista in una jam session ubriaca e la band si perde nei propri stessi limiti dettati dalla totale anarchia che regna on stage. "E' psicosomatico, è tutto nella tua testa", è ciò che rimbomba dall'amplificazione.

Il Primavera concede anche due piccole zone dove poter schierare alcune band in versione acustica (Ray-Ban Unplugged Stage) o in versione garage (MySpace Stage). La prima performance acustica a cui riusciamo a partecipare è quella dei Veracruz (voto: 7) che, in verità, ci lascia perplessi in quanto, sul programma principale, erano segnalati i Phoenix. Rammaricandoci per la scoperta che il programma era stato cambiato (senza avvertimenti di nessun genere per il pubblico), ci possiamo godere due brani in versione unplugged dei Veracruz, nei quali scaturisce tutto lo spirito gitano del gruppo. Il minuscolo tendone che li ospita è per la maggior parte occupato dai vari membri che regalano un suono nomade e popolare ai molti radunatosi li intorno.

Finalmente si arriva alla prima serata. E finalmente entrano in gioco i mostri sacri che, quest'anno, saranno il leit-motiv dell'edizione del festival. Sul palco principale (Estrella Damm) si presentano gli Yo La Tengo (voto: 7). Il loro tour è in supporto alla loro ultima fatica, 'Popular Songs', che uscirà tra qualche settimana. L'enorme discografia della band rende inutile l'elencare i brani in modo razionale. Gli Yo La Tengo concedono un'ora abbondante di pop songs mescolate a lunghe suite psicalediche che incantano e rapiscono la platea. Nervosismi musicali si alternano a melodie efficaci e dirette.

Ma c'è qualcosa che sembra tenere unito il filone logico del primo giorno di festival: la distruzione di una predefinita forma canzone. A dimostrazione di tale tesi, salgono sul palco (e il che è fondamentalmente una novità) i Lightning Bolt (voto: 9). Basta qualche minuto per capire di essere venuti a contatto con una delle realtà contemporanee più pazze, psicopatiche e geniali. Basso e batteria in un totale degenero sonoro difficilmente descrivibile. Brian Chippendale (batteria, urla e maschera) è un musicista incredibile. Basterebbe vedere le sue braccia che, senza tregua, colpiscono ogni tamburo possibile per capire il suo potenziale dietro alla gran cassa, ma ascoltando le sue frenetiche progressioni si percepisce di essere di fronte ad uno dei maggiori talenti moderni. Non da meno è il bassista Brian Gibson che tra effettistica e accordatura (da studiare la composizione delle corde del suo basso) dimostra di completare un duo dal potenziale sonoro unico. Forse una delle migliori performance dell'intero festival.

Altrettanto geniale, ma di genere musicale opposto è Andrew Bird (voto: 10), cantautore e polistrumentista americano. Andrew sul palco è solo. Porta con sé il suo violino, un glockenspiel, una chitarra, due microfoni e poco altro. L'oggetto più importante della sua strumentazione è però una loop station. Andrew suona tutto looppando in presa diretta. Lo si vede armeggiare con il violino in posizione classica per poi suonarlo come una chitarra, poi al microfono a registrare battiti di mani e fischiettii per poi aprire il suono con la chitarra e la sua straordinaria potenza canora. I brani trovano un'armonia incredibile e lasciano sospesa nell'aria l'anima di fronte a tale gioia sonora. Uno spettacolo magnifico. Sia visivo che uditivo. Anche qui la forma canzone viene meno, a favore di un ripetersi meccanico dei loops che, qua, trovano un'incredibile valenza umana. La musica dà vita alle macchine e ai meccanismi. Tutto diventa natura.

Non c'è tempo di riprendersi dal panteismo sonoro di Andrew Bird che già bisogna correre per le rive del mediterraneo per giungere al cospetto dei Phoenix, oramai in via di conclusione. Dopo il loro ultimo lavoro erano certamente una gruppo da vedere. Ma essendo presenti un po' ovunque st'estate, gli abbiamo preferito un poeta come Bird. Riusciamo però a goderci le ultime due canzoni 'If I Ever Feel Better' e 'Rome'. Il concerto sembra essere stato di grande impatto poiché, al nostro arrivo, troviamo Thomas Mars abbracciato dalla prima fila del pubblico che intona con lui le strofe delle canzoni della band di Versailles.

Questa toccata e fuga ci dà la scossa giusto per entrare in contatto con i veri mostri sacri della giornata, i My Bloody Valentine (voto: 8). C'è nuovo materiale da offrire in pasto agli ascoltatori e quindi ecco spiegato il perchè del nuovo tuor dei MBV (che segue quello della scorsa estate). La potenza e la completezza sonora della band sono ormai famose e assicurate. L'unica pecca è la scarsa valorizzazione causata dall'amplificazione del palco centrale che non risulta all'altezza (che condizionerà la maggior parte dei 'big'). Ma i My Bloody Valentine superano l'imprevisto, creando trame di rara (a)simmetria sonora, tra chitarre e synth, immerse in gigantesche suite shoegaze che formano un impenetrabile ed invalicabile muro del suono.

Percorriamo per tutta la sua lunghezza lo spazio del festival e arriviamo al live degli Horrors (voto: 7). Il nuovo disco ha segnato un'impronta fondamentale per il garage-punk di questi inglesi. Appena giungiamo sotto il palco, troviamo il cantante Faris Badwan che, più che pensare a cantare, è intento a litigare platealmente con il malcapitato fonico che, a parere del cantante, non riesce a modellare bene il suono della sua voce. Per attirare costantemente la sua attenzione, Badwan rivolge più volte il microfono alle casse spie, distruggendo con dei fischi clamorosi le orecchie dello sfortunato fonico con il quale il cantante viene quasi alle mani, prima di un'infinità di gesti di stizza da parte di entrambi. Superata la questione, che occupa la mente di Badwan per metà concerto, gli Horrors procedono con molti spunti interessanti ed un ottima presa sul pubblico. L'apice lo si tocca con 'Sheena Is A Parasite', manifesto di una loro certa visione di vita. Riuscissero, anche dal vivo, a superare i propri cliches, raggiungerebbero un'importante zona di rilievo nella scena musicale.

Prima e dopo gli Horrors, riusciamo però a gustarci anche un po' del dj set di Aphex Twin (voto: 7). La sua elettronica è come sempre marchiata da suoni inconfondibili. Si miscela la deep con l'electro e la d'n'b, con spunti di musica classica qua e là. Il set, per un festival, risulta forse troppo pesante, troppo torbido in alcune situazioni, anche se, tecnicamente, Aphex è impeccabile.

Arriviamo quindi, con le orecchie invase da suoni di ogni sorta, agli show conclusivi del primo giorno. Allo stage Ray-Ban (quello ufficiale) si esibiscono le scatenate Ebony Bones (voto: 6) che, già dal loro abbigliamento, mostrano una totale attitudine funny al loro show. Una sorta di CSS più dance. Ci sono balletti studiati appositamente per far muovere la folla, ritmi tribali e funky. A rovinare lo show una inspiegabile 'Seven Nation Army' eseguita in chiave tribale come bis conclusivo.

La notte di Barcellona è più fredda di quanto uno si aspetti. Bisogna indossare felpe o giacche leggere per rimanere in temperatura. O aumentare i dosaggi alcolici. Preferiamo la prima scelta (almeno questa volta), sperando di essere scaldati dal live di Squarepusher (voto: 4) (al Rockdelux). Ma bastano pochi momenti per farci rimpiangere tale scelta. Thomas Jenkison (accompagnato in questo caso da un batterista) porta on stage un set difficilissimo. Drum'n'bass acidissima, suoni scarsamente assimilabili e ritmi forsennati. Il pubblico fatica a trovare e a reggere un ritmo di tale portata e il risultato ne è una completa delusione, sospesa tra un'elettronica che nel suo tentativo di divenire nuova, finisce per rimanere sola.

Rimane qualche dj set di dubbio valore, il sole sembra voler iniziare a sorgere ed è quindi il momento di dire stop, almeno per il primo approccio al festival.


29-5-2009
Primavera Sound Festival @ Barcellona (Spagna) - Giorno 2

Le sbornie post vittoria calcistica nella Champions League (che avevano esaltato Barcellona la notte prima dell'inizio del festival) pian piano scemano. Anche gli spagnoli iniziano ad avere le forze per partecipare all'evento e il pubblico del secondo giorno del Primavera Sound aumenta vertiginosamente.

I live interessanti quest'oggi iniziano presto. Sono le sette e in alto c'è ancora un bel sole quando Natasha Khan e la sua band iniziano il loro live sul palco centrale. Bat For Lashes (voto: 8) è forse il nome che più si sta facendo spazio nei nuovi talenti emergenti e l'attesa per la sua performance è davvero alta. Natasha dimostra subito che ogni buon giudizio conferitole è più che meritato. Lo show è importante, la band riesce a ricreare le atmosfere fiabesche ed elettroniche dei due dischi. La voce di Natasha cattura la folla e la ammalia come poche altre ugole. Il concerto è emozionante e probabilmente sarebbe stato magnifico in orari successivi, in piena notte. Manca solo la luna alla performance dei Bat for Lashes.

Ci spostiamo di palco per raggiungere gli Spiritualized (voto: 7). La band di Jason Pierce si propone visivamente in un semicerchio dove ogni strumento (compreso le coriste) può trovare un ruolo da protagonista senza subire ombre. L'apice di 'Soul On Fire' innalza il livello di un live positivo e piacevole, che i più preferiscono ascoltare seduti, lasciandosi trasportare dalle melodie della band.

Ancora main stage e cambio vorticoso di registro. Arrivano gli Art Brut (voto: 8). Smagliante forma per la band londinese che crea subito una forte presa sulla gente. La voce di Eddie Argos (oggi più tranquillo e logorroico del solito) è, sfortunatamente, mal equalizzata e spesso, nei momenti di maggior tiro dei brani, viene sovrastata dai riff taglienti ed ammiccanti delle due chitarre. Divertente la spiegazione di 'Modern Art', con Eddie che simula la sua faticosa scalata nel museo di arte moderna di Amsterdam e l'introduzione del nuovo singolo della band 'Alcoholics Unanimous', nella quale Argos spiega di aver smesso di bere, naturalmente sorseggiando vino rosso. Da citare ancora gli eterni siparietti tra i chitarristi Jasper Future e Ian Catskilkin che spesso riescono, addirittura, a rubare la scena a Eddie. Gli Art Brut dimostrano, per chi ancora avesse dubbi, di essere puri animali da palco. E' un piacere vederli ciclicamente sui quelli d'Europa.

Sfortuna vuole che di Sunn O))) (s.v.) riusciamo a sentire solo i minuti finali, minuti nei quali un muro di droni riempiono l'aria. Incappucciati e immersi nel fumo, ci conducono ad una realtà apparentemente malvagia e macabra.

Da citare anche i Crystal Antlers (s.v.) che, da lontano, (tempo che arriviamo al loro palco, il concerto si conclude) appaiono un gruppo da tenere in forte considerazione.

Ci si sposta al palco centrale per assistere al live del paladino del pop inglese, mister Jarvis Cocker (voto: 8). Il fascino di Jarvis è conosciuto e risaputo. La presa sul pubblico è figlia di una carriera importante. Il nuovo disco di Cocker suona davvero bene e i brani scelti hanno un ottimo riscontro. Jarvis, a tratti indemoniato, si esibisce in balli di ogni sorta, scatenandosi su e giù per il palco. Nuovi e vecchi brani si mischiano e a tratti ci si emoziona in ballate pop tipicamente inglesi o in schitarrate da pop-rock anglosassone. Si conclude con 'You're In My Eyes' che, come inserito a parentesi a seguito del titolo, è una 'discosong'.

I Saint Etienne (voto: 6) propongono la loro lunga carriera dance pop (oramai ventennale) con un live allegro, ma, per i non amanti, davvero difficile da reggere nel complesso.

Pareri discordanti invece sugli Shellac (voto: 5). C'è chi li osanna e chi, al contrario, ne rimane di idea opposta. Noi ci appostiamo sulla seconda. Gli Shellac sembrano una band piena di idee con difficoltà nell'applicarle. Più o meno lo stesso problema che ha una giovane band nella propria sala prove (sebbene gli Shellac siano tutt'altro che alle prime armi).

Conclusione della serata sul palco principale è affidata ai Bloc Party (voto: 7). Kele si presenta con shorts di jeans, camicia folk H&M e cappello trucker. A differenza della maggior parte delle esibizioni dei quattro inglesi, Kele e compagni mostrano un attitudine più funny e umana sul palco. Non sono più la statica band meccanica di inizio carriera, ma, anzi, questa volta, sono circondati da un mood molto tranquillo e divertito. Da qui deriva anche qualche errore (Kele non usa perfettamente la loop station in 'Mercury' perdendo il tiro del brano). Si capisce, ascoltando l'intero concerto, che i brani dell'ultimo disco non riescono ad avere, nella versione live, il tiro dance che dovrebbero. Anche il pubblico pare di questo parere, e naturalmente le maggiori ovazioni le si ritrovano nei brani di inizio carriera.

Provati da un correre continuo tra i cinque palchi, decidiamo di rientrare per risparmiare le energie per l'ultimo lunghissimo giorno di festival.


30-5-2009
Primavera Sound Festival @ Barcellona (Spagna) - Giorno 3

Terzo e ultimo giorno del Primavera Sound. Il sole è ancora caldo e la stanchezza inizia ad accumularsi. E' sabato pomeriggio e la notte è ancora lontana dall'essere vissuta. Ci presentiamo al parco del forum intorno alle 20, giusto il tempo di vedere la conclusione di un mine live dei Black Lips (s.v.) al palco gestito da MySpace. Un paio di riff decisi, un buon ritmo ed è già tempo di dirigersi al live dei Plants & Animals (s.v.), anch'essi in dirittura d'arrivo.

Il primo show segnato sui nostri taccuini è quello degli Herman Dune (voto: 8). La band francese, oramai forte di una sicura e valida discografia, concede il proprio sound dando le spalle al magnifico panorama visivo del mare di Barcellona. Il folk dei due fratelli Ivar diverte e compiace il pubblico presente. Il clima è sereno e sembra disegnato appositamente per il loro live.

Si rimane sulla scia del folk, tornando proprio alle radici di tale genere, con uno dei suoi massimi esponenti, Neil Young (voto: 8). La cornice di pubblico è magnifica. Tutti i presenti al festival sono radunati sotto il palco principale (non ci sono altri concerti in concomitanza), chi in piedi e chi, invece, seduto sul cemento o sul prato adiacente. Migliaia di volti e vestiti vengono trapassati dalle parole del cantautore canadese. Si passa dai brani più country a quelli più rock con disinvoltura, Neil è pieno di energie quest'oggi. Si muove molto sul palco, indemoniato come un ragazzino di fronte alla sua prima folla immensa. Un'ovazione di pubblico gigantesca per uno dei re della scena musicale mondiale.

Dopo questo immenso bagno di folla, decidiamo di andare a rifocillarci dall'altra parte del forum, incontrando, piacevolmente, gli Oneida (voto: 7). Tra un morso e l'altro possiamo goderci il sound della band newyorkese, il quale spesso ricorda quello dei loro concittadini Battles, limitando la parte elettronica in compenso di una maggiore propensione al rock.

Veloce spostamento di palco ed eccoci al cospetto dei Liars (voto: 8). La band americana ci introduce attraverso le proprie melodie articolate e dissonanti, idee sonore intelligenti e spesso imprevedibili. Con il cielo che si fa buio e le atmosfere sempre più rarefatte, i Liars colpiscono il pubblico che spesso esplode in vere e proprie ovazioni di stima. Ritmi forsennati, ossessività.

Ma la portata principale di questa ultima giornata di festa è però altro. Palco centrale, mezzanotte passata, Sonic Youth (voto: 8). La tournée è di supporto al loro ultimo lavoro, il tanto chiacchierato ritorno all'indipendenza discografica, dopo l'abbandono della major. E siamo di nuovo di fronte ad un monumento. Ad un mito. A qualcosa più grande di noi che difficilmente si può spiegare a parole. I Sonic Youth sono parte integrante della storia della musica. Sono il modello di riferimento di un numero spropositato di band che sono nate e cresciute negli ultimi vent'anni. Sono il noise, il punk-rock, le musicassette. Sono il significato della parola indie, ora più che mai. E a noi non ci resta che rimanere a farsi travolgere dalla storia.

La notte inizia a farsi spazio con più prepotenza, le band vengono quasi tutte congedate a favore dei dj set. Si inizia con i Simian Mobile Disco (voto: 7) che miscelano un'elettronica di buon gusto alle loro produzioni, oramai conosciute ovunque. Risuona l'oramai classico 'It's The Beat', ad esempio.

L'ultima band che riusciamo a seguire sono i Black Lips (voto: 7), i quali si esibiscono alle 3 sul palco Rayban. Avevamo già avuto il piacere di vedere la loro grinta e la loro attitudine sul palco al FIB dell'anno scorso. Questa è l'ennesima dimostrazione di valore dei cattivi ragazzi americani. Un concerto tirato che riesce a smuovere le ultime forze del pubblico oramai stremato da stanchezza e alcool.

La conclusione del festival e affidato ai dj set di A-Trak e DJ Mehdi, che dalle 4 del mattino fino all'alba propongono il loro misto di french touch e ghetto house, consumando definitivamente le Converse della maggior parte dei presenti.

L'alba fa capolino al di sopra del mare, gli occhiali dalle borse ritornano sopra il naso e la security ci invita ad uscire. Si capisce che è la fine. Con in sol sopra ad allungare le nostre ombre.

Mattia Barro

REPORTAGE MUSICALE - FIB, Benicassim (Spain)

PUBBLICATA SU INDIE-ROCK.IT

16-7-2009
Festival Internacional @ Benicassim (Spagna) - Giorno 1

Quarto anno consecutivo a Benicassim per noi di 'Indie-Rock.it'. Inutile dilungarsi in presentazioni per uno dei festival più belli d'Europa (in caso leggete le recensioni degli anni scorsi). La XV edizione del FIB Heineken presenta una line-up di tutto rispetto e si prepara a battere il record di presenze: ben 200.000 persone in quattro giorni intensi (50.000 in più dell'anno scorso), alla faccia di altre manifestazioni che hanno visto un brusco calo di pubblico o addirittura sono state cancellate.

L'area concerti 2009 è stata ingrandita assieme all'area camping e gli spazi al suo interno sono stati drasticamente rivisti e adattati per poter meglio ospitare i 'FIBers', composti per un buon 40% di inglesi. Il tendone Vodafone (il 3° palco in ordine di importanza) è stato ingrandito, il Fiberfib (il 2° palco) non è più coperto da una tenda dove ci si scioglie dal caldo, ma un'area all'aperto molto più ampia.

Arriviamo al recinto del festival mentre i Bishops (voto: 5) hanno iniziato da poco a suonare. Da lontano appaiono inconsistenti e indecisi, forse sono intimoriti dal pubblico già numeroso nonostante il sole cocente e i quasi 40°.

Ascoltiamo i View (voto: 6) che piacciono, sono carichi di energia ma non adatti ad un palco così grande. Sicuramente rendono di più in un piccolo club buio in atmosfere più intime.

Sono i Mistery Jets (voto: 7) a stupirci per il loro live espressivo e divertente. Appaiono freschi nonostante l'afa e il sole ancora alto in cielo. Sorseggiando birra ghiacciata canticchiamo 'Young Love' e la spendida 'Half In Love With Elizabeth'.

Gli headliner della giornata sono gli Oasis (voto: 7). Live sanno dire la loro ed è impossibile non cantare canzoni storiche come 'Roll With It', 'Supersonic', 'Wonderwall' solo per citarne alcune. E proprio durante 'Wonderwall' Liam si arrabbia e se ne va. Noel lascia continuare il pubblico, poi intona le prime note di 'Live Forever', si ferma e la folla canta il resto. Liam torna e ricomincia daccapo 'Wonderwall' (successivamente, durante un'intervista, giudicherà “una perdita di tempo” il concerto dati i numerosi problemi tecnici, e confesserà che solo grazie al calore del pubblico gli Oasis hanno proseguito l'esibizione.

Dopo poco salta la corrente sul palco... A questo punto lasciamo i fratelli Gallagher e compagni a favore dei Gang Of Four (voto: 8). Meravigliosi. Una band con le palle. Nonostante i volumi un po' bassi ci ha stupito la consistenza della loro performance. 'Natural's Not In It' impossibile da non ballare.

Pochi minuti di Telepathe (voto: 4) lasciano un retrogusto amaro, come ascoltare un'unica intro da cui ci si aspetta molto ma che non fa decollare mai il pezzo. Meglio ascoltarsi il disco.

Lasciamo il festival con le note in lontananza dei We Are Standard (voto: 6), una sorta di Subsonica in versione spagnola, ma molto più indie / punk-funk.


17/18-7-2009
Festival Internacional @ Benicassim, Spagna - Giorni 2 & 3

Giorno 2: venerdì. Dalle prime ore del pomeriggio si alza il vento. le nuvole velano il cielo. Arriviamo nell'Escenario Verde (il main stage) e Paul Weller (voto: 5) inizia a suonare. L'attenzione però è per l'incendio che si è sviluppato alle nostre spalle appena fuori dal recinto: un intero campo di sterpaglie viene mangiato da fiamme alte che aiutate dal forte vento minacciano i palazzi sul lungo mare. Tutto torna alla normalità dopo un paio d'ore, ma il vento ora è talmente forte che Weller deve fermarsi a metà concerto. La copertura del palco salta per metà, Il tendone dell'area press oscilla e viene chiuso assieme agli altri palchi. La gente non sa che fare.

Dopo due ore di silenzio l'organizzazione decide di far suonare sul palco grande i Tom Tom Club (voto: 5). Al termine del live il pubblico viene fatto defluire all'esterno del recinto, e coperti di polvere rossa ce ne torniamo a casa tristi di aver perso le (personalmente) tanto attese performance di Kings of Leon, Maximo Park, Horrors, Boys Noize e Yuksek.

Giorno 3: sabato. Il live dei Television Personalities (voto: 0) è quanto di più brutto abbiamo avuto l'occasione di vedere in tutta la nostra vita. Si è poi parlato di una qualche loro protesta durante lo 'show' (la parodia di 'All The Things That I’ve Done' dei Killers?) ma, oltre ad uno strafatto Dan Stacey che a metà decide di non suonare più la chitarra, c’è poco da dire. Il batterista a volte si ritrova a suonare da solo per lunghi minuti dato che sul palco tutti parlano e si raccontano i fatti loro. Non vengono lapidati dal pubblico grazie al loro importante nome, ma la performance, o finta tale, risulta una presa in giro, una totale mancanza di rispetto verso chi si è posto di fronte a loro per ascoltare musica.

I 2Manydjs (voto: 9) li abbiamo visti in ogni modo in Italia. Al nord sono quasi dei resident. Ma questa volta sorprendono. I fratelli Dewaele fanno sempre dj set, OK, ma in questa occasione il loro percorso nella storia della musica è impressionante. Si toccano tutte le decadi dagli anni '60 in poi. I due, che paradossalmente suonano con una consolle extralusso (due dvj con controllo video e due cdj, mixer con kaoss pad e altro), si dividono l’unica cuffia a disposizione. Il maxi schermo del palco principale mostra una telecamera fissa sulla consolle, ed è impressionante quante volte le loro mani si muovono sui comandi gestendo ogni singolo movimento del loro set. La folla risponde come di fronte ad una delle più acclamate rockband. Sempre una spanna avanti a tutti.

Gli Elbow (voto: 9), sfortunatamente, li sentiamo solo da tre quarti concerto. Giusto il tempo di capire di aver perso uno spettacolo incredibile, dalle atmosfere dense e profonde. In particolar modo è la voce di Guy Garvey ad ammaliare. A farsi e a fare amare.

I Maximo Park (voto: 8) sono una band da concerto live. O meglio, Paul Smith è un animale da palco. Nonostante l'ultima loro fatica discografica non sia di gran livello la band di Newcastle si conferma per l'ennesima volta una delle poche ad essere sopravvissute dall'ondata indie di metà decennio. Dunque assolutamente da vedere dal vivo. E speriamo che il quarto disco, se e quando uscirà, sarà dello stesso livello dell'inparagonabile 'A Certain Trigger' del 2005.

Qualche aggiustatina, ma solo ai capelli, per questo live dei Franz Ferdinand (voto: 8). La scaletta e la performance sono identiche a quelle del tour dei palazzetti. Cambia poco (sparisce 'This Fire' dalla chiusura, lasciata al delirio elettronico di 'Lucid Dreams') e il risultato è sempre lo stesso: un’incredibile carica adrenalinica. I Franz hanno oramai una miriade di singoli per far saltare tutti gli indie guys d’Europa. Dai brani taglienti degli esordi, ai nuovi droni elettronici. Oramai una sicurezza, una delle poche band degli anni zero che ci ricorderemo.

Peaches (voto: 10) è la rivelazione del festival. Seguita dalla sua band, The Sweet Machine, il suono che viene a crearsi è un’elettronica mischiata con il rock, la dance, il pop. Electroclash dai mille spunti che ha come valore aggiunto una scelta di suoni davvero valida ed accurata, che anche i Justice e compagnia bella potrebbero invidiare. Peaches è la star. Viene innalzata dal pubblico durante il suo stage diving e, sorretta dalla folla, continua a cantare anche quando viene fatta rimbalzare tra centinaia di mani. La platea pende dalle sue labbra e, all’ordine di togliersi le t-shirts, migliaia di magliette vengono fatte sventolare in suo onore. Peaches ha una carica incredibile e si diverte a giocare sul sesso urlato e non mascherato. Lo show è un suo lungo spogliarello fino al conclusivo body color carne con la zona genitale, la sua 'peach', illuminata.


19-7-2009
Festival Internacional @ Benicassim, Spagna - Giorno 4

L’organizzazione del FIB, messa KO dalle intemperie del venerdì sera, fatica a trovare un giusto ordine delle cose. Finisce così che arrivando in orario per i Calexico, ci si trovi a sentire la loro ultima canzone, scoprendo che tutti gli orari del FiberFib e dell’Escenario Verde sono stati cambiati. Bisogna quindi correre a capirci qualcosa e ricomporre le varie timetable.

Buona sorpresa i White Lies (voto: 7) dei quali si vociferava molto male riguardo ai loro live. Invece, la band di Londra si dimostra capace di ricreare quanto fatto su disco, anche se il giovanissimo leader Harry McVeigh non spicca per personalità. Spesso pare quasi intimorito dalla grande folla che intona i vari singoli estratti dal loro sorprendente album d’esordio. Un concerto che invece riesce a mantenere la propria carica emotiva, aiutato dai colori e dalle luci del tramonto.

In contemporanea (a causa degli spostamenti d’orario), troviamo i TV On The Radio (voto: 6) che questa volta non riescono proprio a far brillare la loro stella. La stratificazione dei brani su disco dal vivo non riesce a ricrearsi e spesso i suoni si sovrappongono e non riescono ad essere chiari nel proprio rumore. L’equalizzazione del palco, oltretutto, non aiuta la band di New York nella sua impresa, intrappolandola in un suono non all’altezza (troppi bassi della cassa e frequenze medie tagliate). Dispiace quindi che le conclusive 'DLZ' e 'Staring At The Sun' non trovino quell’incredibile luce di cui solitamente splendono.

Lykke Li (voto: 10) è la miglior performance a cui si possa partecipare a questa edizione del FIB. L’appena ventiquattrenne svedese, con all’attivo un solo album, mostra sul palco una maturità incredibile e fuori da ogni norma. I generi toccati sono molti, dall’indie-rock, all’electro, alla musica d’autore, al rap. Timotej Zachrisson (all’anagrafe) è una performer in grado di adattarsi a tutto ciò. Ma il suo non è un adattarsi, è essere di un’anima multiforme. Timotej è tutto ciò. E’ selvaggia e animalesca nei movimenti, ma anche delicata e jazz nella conclusiva 'Tonight', che si conclude con il pubblico che intona l’ultimo verso del ritornello e Lykke Li che applaude ed esce. Forse siamo davanti ad una nuova regina, in grado di rendere gigantesco il minimalismo di 'Dance, Dance, Dance' e di rendere educato e sofisticato il saltare di 'Breaking It Up' (il brano meglio riuscito dell’intero blocco). C’è anche spazio per la cover di 'Knocked Up' dei Kings Of Leon, un omaggio a noi che non abbiamo avuto il piacere di sentirli. Siamo probabilmente davanti a qualcosa di davvero nuovo e magnifico.

Gli headliner di quest’ultimo giorno sono i Killers (voto: 6), affermati oramai anche nel mondo mainstream. Sintetizzando il concerto si potrebbe definire come un live per fans. I Killers non sono dei grandi musicisti e Brandon Flowers subisce la sua stessa scrittura: le sue parti vocali dal vivo sono troppo difficili anche per lui. Proprio a causa di ciò, coloro che non amano i Killers nemmeno su disco finiscono per annoiarsi ed allontanarsi. I veri affezionati, o quelli che apprezzano esclusivamente i loro singoli, riescono a divertirsi e a trovare spunti di piacere. Effettivamente Brandon è un ottimo frontman e visivamente riesce a catturare la folla (principalmente femminile). I singoli funzionano (peccato una 'Mrs. Brightside' debole) e alla maggior parte della platea basta ciò. Da lavorarci. Ma ne avran tempo e voglia adesso?

Sempre martoriati da problemi tecnici questi Friendly Fires (voto: 7)! Questa volta è il turno delle tastiere del cantante Ed Macfarlane. Risolto questo problema, i Friendly Fires dimostrano già di avere numerosi singoli da battaglia e il trittico 'Skeleton Boy', 'Lovesick', 'Jump In The Pool' ne sono la dimostrazione. Il pubblico inglese li ha già resi idoli e loro riescono a trovare una buona attitudine on stage capace di intrattenere e far ballare con sezioni ritmiche sempre molto lavorare e originali.

Chiudono la serie di concerti del FIB 2009 i Rinoçerose (voto: 6), dal groove bello potente. Il loro impatto è deciso e molto dance, cassa dritta e basso corposo; vestono di bianco e nero e sono molto scenici anche se un po' troppo fermi sul palco. Bella la comparsa di Bnann Watts degli Infadels in 'Cubicle'. Nonostante ciò dopo un po' la nostra soglia di attenzione cala perché tutto sommato la band francese non ha molto da dire.

Anche questa quindicesima edizione è giunta al termine. Chiudiamo gli occhi e balliamo i set di DiskJokke e DJ Hell. E mentre il sole sta sorgendo rammaricati abbandoniamo il festival con la consapevolezza che l'anno prossimo saremo ancora lì, pronti a cantare e ballare.


Mattia Barro & Andrea Alibardi

REPORTAGE MUSICALE - Eurockéennes Festival, Belfort (France)

PUBBLICATA SU INDIE-ROCK.IT

3-7-09
Eurockéennes Festival @ Belfort (Francia) - Giorno 1


Francia dell'est. Quella al confine con la Germania, appena sopra la Svizzera. La famosa regione dell'Alsazia, celebre più che altro per i suoi continui passaggi postbellici tra Germania e Francia. E' inizio luglio e si sta bene. Il caldo non è torrido e le nuvole fanno addirittura immaginare futuri acquazzoni. L'Eurockeennes è collocato in un piccolo lembo di terra che si immerge nelle acque del lago di Belfort. Si dilunga per tre giorni. Propone, per ogni serata, headliners di diverso genere: Prodigy, Kanye West e Slipknot. In mezzo qualche perla, circondata da tanti tanti tanti artisti francesi.

Menzione particolare va subito fatta sull'ambiente, sull'atmosfera. Il clima generale è da sagra del paese. Fa subito strano notare come siano praticamente assenti gli stand di etichette discografiche (o di qualsiasi cosa si avvicini alla musica). Gli stand sono prevalentemente dedicati al cibo, ai vestiti di dubbio gusto e ai venditori di orecchini, cartine, bongs. Fa strano, in particolar modo, vedere la totale assenza di una qualche popolazione indie. In quantità centellinata si avvistano Wayfarer, Converse e skinny jeans. La gente è composta prevalentemente da persone normali, prive di una anche minima estrosità estetica. Fa paura, invece, la forte presenza di tamarri di ogni genere, giustificata dal basso costo del festival (85 euro l'abbonamento ai tre giorni) e alla presenza, nella prima giornata, dei Prodigy.

In maniera molto semplice riusciamo a raggiungere in macchina Belfort e il suo festival, grazie ad un'ottima segnaletica stradale. Sfortunatamente, parcheggio e camping sono a distanza chilometrica dall'area concerti e quindi bisogna utilizzare le apposite navette per raggiungerla. Bastano poi due passi all'interno di tale area per capire che sarà molto difficile la comunicazione. Gli addetti al rilascio di biglietti e accrediti non spiccicano una parola di inglese e bisogna comunicare con loro in modo primitivo. Ciò rimarrà un problema anche per i giorni a seguire, in quanto nessun partecipante o addetto ai lavori pare conoscere una lingua diversa dal francese (quando si chiede "One Beer", si viene scrutati come marziani). La zona dedicata ai concerti è formata da quattro palchi, di cui uno coperto. Il numero elevato dei partecipanti crea a volte difficoltà negli spostamenti tra i vari palchi, ma, saltato questo ostacolo, la logistica non risulta un problema.

Il primo show che abbiamo segnato in agenda è quello di Emiliana Torrini (voto: 8). La cantautrice islandese ci allieta, anche questa volta, con la sua voce e il suo particolarissimo accento, creando, anche in pieno giorni, emozioni vive. La scaletta è composta dai principali brani dei tre suoi ultimi dischi, raccogliendo a sé i percorsi della carriera musicale di Emiliana. Manca forse una certa intimità al tutto. Vi è della dispersione di troppo, sia per il molto pubblico non troppo attento, sia per il sole ancora alto e caldo.

La programmazione è molto delineata e non c'è molta competizione tra i palchi. A volte, ci si ritrova con un solo palco a disposizione e tutti i presenti vi si affollano costretti. E' questo il motivo principale del pienone riscosso dai Las Wampas (voto: 4), patetico gruppo formato da vecchietti al limite del ridicolo tra jeans attilati rosa, magliettine e petti nudi. La musica è una sorta di rock 'n' roll in chiave dance gay che annoia. Potremo compararli ai Rolling Stones, ma solo per via dell'età.

Fuggiti da questa performance abbiamo la fortuna di ripararci con Oxmo Puccino (voto: 8), rapper francese, seguito dalla sua band. Il rap di Oxmo è molto passionale, molto vicino al pubblico. Non cade nei tipici cliché dell'hip-hop d'oltreoceano. I francesi (difficile scovare altre nazionalità) lo amano e ne cantano ogni strofa, spesso prive di difficile metriche, ma a favore di messaggi concisi e diretti.

C'è tempo di girare un po' nel negozio Fnac (con ottime promozioni) e nell'unico stand di un'etichetta (Les Boutiques Sonores) prima dell'inizio dello show degli Yeah Yeah Yeahs (voto: 9). La band newyorkese dà il massimo. Il pubblico è fuori di testa. Karen O si agita più che mai e a volte gli scappa un sorriso emozionato nel vedere la gente così coinvolta. Addirittura fin troppo. Anche nei brani più lenti si vedono ragazzi catapultati sopra le nostre teste e tentativi di pogo. La scaletta per un'ora di fuoco è studiata con dovizia, miscelando quanto ti meglio è stato prodotto dalla band nei proprio tre album. Un live tirato, diretto.

Aggirandoci ancora per la location del festival, ci imbattiamo nel live dei We Were Evergreen (voto: 8) nello stand della Sfr. Il trio francese, che canta in inglese, propone un educato folk che trova la sua forza nelle trovate più giocose e nell'alternarsi della voce maschile con quella femminile. Da trovare, scovare ed ascoltare.

Sul palco principale è tempo dei Cypress Hill (voto: 7), band confermata in extremis. E' forte la comunità hip-hop all'interno del festival che trova vari suoi rappresentati nei tre giorni. Ma i Cypress Hill subiscono la mancanza di una minima conoscenza dell'inglese e spesso gli inviti di B-Real si perdono nella collinetta di fronte a lui. Il coinvolgimento dal palco è alto e quando si riesce a trovare un compromesso con la folla, il risultato è esplosivo. A causa di questo decifit di comunicazione, lo show rimane complessato e sottotono.

Dall'altra parte della piccola penisola, sul palco posto sulla spiaggia si esibisce Alela Diane (voto: 7). Il folk della giovane californiana è conciso e nella forma chitarra-voce, Alela riesce ad emozionare profondamente. Non riusciamo a seguire completamente il live, penalizzato forse solo da una certa staticità stilistica.

Un ascolto rapido è quello che concediamo ai Kills (voto: 6) che, confermando quanto visto al FIB di Benicassim dell'anno scorso, dal vivo rendono veramente poco. Il minimo sindacale per una band di cui si parla sempre molto.

Toccata e fuga anche per i Naive New Beaters (voto: 8), che con il loro electro rock mescolato al rap, compongono ottime strutture rendendosi ballabili ed apprezzabili. Buone vibrazioni.

L'attenzione è tutto per il main event della serata: i Prodigy (voto: 10). Un live dei Prodigy è come ognuno di noi lo immagina. Potente, devastante. Un acido sonoro lungo un'ora e mezza. Maxim, durante l'esecuzione di 'Smack My Bitch Up' riesce a far sedere tutti i presenti (40mila?) per fare esplodere il loro urlo nel momento dell'attacco del "ritornello". E' un'esperienza mistica. Una sorta di Trainspotting emotivo. La lista di trip elettronici è infinita. La drum 'n' bass si mischia alla techno, al rap, all'electro e la band (perchè i Prodigy aumentano a livello numerico nella sfera live) riesce a creare un flusso sonoro penetrante. Impagabile.

Riprendersi da un concerto come quello dei Prodigy non è facile. Tutto, dopo, può sembrare debole. A sfatare subito quanto detto, invece, ci sono le due band di chiusura. Da una parte i Ting Tings (voto: 8), più in forma che mai. Il duo inglese oramai gira i palchi da qualche anno. Katie White è una catalizzatrice d'attenzione affermata. Ogni suo movimento è guardato ed amato dalla platea. Non da meno è De Martino, che si permette pure una sorta di mash-up tra varie canzoni (compresa la sigla di 'Ghostbusters') giocando con una tastiera con loop station. Ottima anche l'impressione sui nuovi brani, rodati sull'esaltato pubblico francese. Inutile confermare che i vari singoli sul dancefloor hanno un effetto potentissimo.

L'ultima performance (è vero, ci sarebbero anche Diplo e i Crookers in contemporanea) è affidata ai casalinghi Kap Bambino (voto: 8). Conosciuti da noi per aver attraversato più volte la penisola italiana, il duo francese si esibisce in uno show durissimo. Electro-punk misto hardcore da far tremare le orecchie. Caroline Martial è un animale da palco. Poco dopo l'inizio si aggira scalza per il palco completamente svuotato da ogni strumento. Sale sulla schiena degli uomini della sicurezza e si fa scorrazzare vicino alle transenne fino al suo tanto acclamato stage diving in cui cade in pasto ad un pubblico esaltato e feroce. Un live che ha la fortuna di trovare nel suo orario (le 3 di notte) un'atmosfera incredibile.

Usciamo dal festival rintronati ancora da Caroline e da 'Day 'n' Nite', proposta dai Crookers, ultimi rimasti ad esibirsi. La coda per le navette è infinita e la notte è oramai nel suo pieno splendore.


4-7-2009
Eurockéennes Festival @ Belfort (Francia) - Giorno 2


Decidere di passare la notte (ma poi praticamente la mattina) in macchina, in una delle tante pianure dell’est Francia, esposti al sole e con migliaia di altri sventurati compagni di avventura, porta come risultato una stanchezza impareggiabile. Il festival, per il suo secondo giorno, ha in serbo qualche bella perla.

Iniziamo con il folk rock di Sophie Hunger (voto: 7), cantautrice svizzera. Il suo repertorio è molto classico, a volte un po’ troppo rigido. Quando, invece, si lascia andare, i brani trovano uno sviluppo molto nervoso che riesce a strappare una personalità di Sophie tenuta per la maggior parte del tempo all’oscuro.

Per gli Answer (voto: 4) non spendiamo troppo tempo. E’ rock. Ma quello di più di trent’anni fa. Fatto come quello di più di trent’anni fa. Anzi, fatto peggio. Non c’è originalità e non ci sono tentativi di rendere fresco un genere che suona da decenni. Si passa dai tre accordi, a dell’hard rock scontato. Una band inutile in questi anni.

Sorpresa piacevole è, invece, il trio svedese Peter, Bjorn & John (voto: 8), interpreti di un pop rock dalle varie chiavi sperimentali. Conosciuti ed esplosi con il singolo 'Young Folks', alle spalle hanno però una carriera decennale. E lo si nota particolarmente dal modo in cui Peter si agita sul palco e davanti alla platea, catturata dalle sue buffe movenze colorate dall’azzurro acceso del suo vestito. Una prova decisamente valida, con alcuni brani capaci di stupire soprattutto nella sezione ritmica di John e che, a volte, intraprendono paradossalmente strade al limite del country-rock.

Snobbiamo il sempre noiosissimo Tricky (voto: 5), che non scende dal palco neanche dopo l’ora e mezza attribuitogli, per tentare di scoprire il valore di La Roux (voto: 6). Ammettiamo che una certa confusione si crea nel capire che La Roux non è lei, Elly, la rossa cantante, ma un duo, anche se sul palco si presentano in quattro. E ammettiamo una certa confusione del pubblico nel capire che il duo non è francese, ma totalmente british. A parte ciò, il concerto dei La Roux non è niente di che. Ma davvero niente di che. Elly Jackson non ha personalità e l’electropop made in '80s della band si perde in un’ora di cover di un tempo passato. Elly passa metà dello show dando le spalle al pubblico e lei, come la band, sembrano usciti per direttissima da una qualche copertina di 'Dazed & Confused'. Il live è però pulitissimo, nessuna sbavatura. Quasi una innaturale ri-rappresentazione del disco. Musica senz’anima.

Mezz’ora prima del concerto di Doherty, decidiamo di sdraiarci vicino al palco a riprendere le forze. Tempo di sedersi e sul palco spunta proprio Peter, che inizia a lanciare birre al pubblico. Svuotata un’intera cassa frigo, scompare nuovamente dietro le quinte. Poco dopo è tempo del vero show di Peter Doherty (voto: 8), che si presenta solo con la propria chitarra (come a Milano tempo fa), il solito cappello e si mette a suonare. Suona tanto e di tutto. Si passa dai brani dei Libertines ('Time For Heroes', 'Can’t Stand Me Now' e molte altre), a quelli dei Babyshambles ('Delivery', 'Albion', ma non 'Fuck Forever'), alle cover ('Waterfalls' degli Stone Roses e 'Billie Jean' di Micheal Jackson), ai nuovi brani del suo disco solista. Ma Doherty risulta tutt’altro che il fiacco leader strafatto degli anni passati. Sa come suonare, sa cosa cantare, sa fare ciò che deve fare. Il suo forte carisma da idolo adolescenziale riesce a funzionare e mostra Peter in una veste che sembra calzargli a pennello, un cantautore moderno capace di creare inni giovanili. Il live si conclude con un duetto con Tricky facilmente evitabile: basta dire che Tricky non sa le parole della canzone e che, quindi, non canta praticamente mai.

Per continuare sulla strada di un festival altamente hip-hop, l’headliner di questa sera è Kanye West (voto: 9). E Kanye si dimostra un vero headliner. Un leader. Metà delle produzioni sono suonate, metà computerizzate. Kanye canta e rappa aiutato da vari coristi, agitandosi sull’enorme palco a sua disposizione. Interessante la decisione di strutturare la scaletta con un inizio composto da un medley dei suoi primi singoli di successo 'Through The Wire', 'All Falls Down', 'Homecoming', per poi lasciare gran spazio ai nuovi brani più elettronici come 'Love Lockdown' e gli altri singoli del suo ultimo lavoro. Intermezzi dalla forte carica come 'Jesus Walks' registrano una profonda tensione emozionale. Kanye sul palco padroneggia, fino ad un quasi delirio di onnipotenza quando, on stage, salgono cinque ballerine seminude e dorate che si dispongono immobili come un altare in suo onore. Una performance che conferma Kanye West come artista a tutto tondo. Uno dei pochi casi in cui un rapper riesce a scardinare la gabbia che si è auto-imposto e riesce a girare liberamente nel mondo della musica. La conclusione ne è manifesto: 'Stronger'.

Da un finale elettronico ad un set elettronico. Ecco il nuovo pupillo del french touch: Yuksek (voto: 8). Attorno a lui sono disposti computer, sintetizzatori, vocoder, mixer. Il set si compone a metà tra suonato e registrato. Il live è una forza elettronica che fa saltare tutti i presenti, fino ai più stanchi, come noi. Non c’è molta novità, anzi, molto si è già sentito in dieci anni di scuola francese, ma fa piacere l’alta qualità delle produzioni e la capacità di far ballare.

Ultimi ad interessarci sono i Friendly Fires (voto: 8). In Italia sono usciti con una hit da dancefloor come 'Skeleton Boy', in Inghilterra si son già fatti strada e in Francia sono famosi per la loro 'Paris' con le Au Revoir Simone. Il live è divertente, allegro, ritmato. Le sezione di batteria e percussioni aggiunte contemplano sia il mondo della classe dritta, sia quello dei ritmi tribali. La chitarra è tagliente e fa capolino con sferzate nervose e inusuali. La massima espressione della band, però, si registra nell’esplosione dei ritornelli in cui si viene a creare un’atmosfera unica, onirica. Sfortuna vuole che la chitarra negli ultimi due brani smetta di vivere. Ciò costringe il chitarrista a munirsi di maracas e di gettarsi sul pubblico in delirio. E il nostro Eurockeennes finisce qui.

Il terzo giorno vede in cartellone Mos Def, Slipknot, Phoenix e poco altro, ma oramai noi abbiamo deciso di rientrare in Italia e lasciarci dietro queste pianure francesi costellate da case minuscole.

In conclusione, un festival che per noi, non-francesi, è difficile da percepire come uno vero e proprio: quest’aria da sagra di paese permane per tutti i giorni. Ma, non facendo caso a ciò e all’eccessiva vitalità del pubblico, è un festival che può regalare ottimi live, soprattutto grazie a orari molto ben delineati e ad un’alta qualità della line-up generale.


Mattia Barro

venerdì 21 agosto 2009

"La sabbia nelle mura e nelle mutande" - STRALCIO

Le co-gestioni e le congestioni del nostro equo rapportarsi. I discorsi (in)finiti, infine.
La sabbia nelle mura e nelle mutande. Nei nostri sentimenti mutanti.
Girovagando per l'Europa ho trovato tutto eccetto te. E' certo.
E c'eravamo spogliati dai pomeriggi accaldati e dall'aria statica.
Statistiche a parte, non ci calcoliamo più.
I limiti sul nostro corpo e i lividi del nostro rapporto. Il mondo è solo una palla. Non giocando più il nostro è stato solo un puro sporcarsi di fango ancora.
La polvere sui dischi, sui libri, su noi, sui mobili Ikea composti e decomposti.
Gli inverni caldi.
Gli inversi saldi.
La nostra palla in saldo, ora.

Mattia Barro

venerdì 7 agosto 2009

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Ricegirl sleeps.

"Le rotaie con le biciclette incastrate dentro e i tram che deragliano" - STRALCIO

E quando si sono rotte le acque siamo affogati.
I taxi e i tassi d'interesse alti, l'alta tensione e l'alta velocità; e noi siamo bloccati nel traffico fitto di Milano. Partorirai tra lo smog e l'afa e la facilità di dire "Benvenuto a Milano, amore mio".
Tutto sembra sudare. Tutto sembra salutare. "Fai ciao con la manina".
La precarietà del lavoro mio e dell'equilibrio mentale tuo. Il dolore e il dollaro che perde sull'euro e le crisi da neuro che hai ora seduta sul sedile posteriore col posteriore appiccicato al sintetico.
Le rotaie con le biciclette incastrate dentro e i tram che deragliano.
Tu che urli e il 112 e il 113 e il 118 di via Nonriescoaleggerefinoalaggiù. Ma sempre Milano è. Ma sempre Milano c'è.
Impiccheremo dio nel suo stesso cordone ombelicale un giorno. Te lo prometto mentre piangi e bestemmi.
Vedo gli stemmi di chi ti salverà. Catarifrangenze e auto blu che ci sorpassano.
Non si pareggia nemmeno stavolta.

-Stralci Di Vita Quotidiana-
Mattia Barro

mercoledì 17 giugno 2009

"A bordo di un aereo sul tetto del mondo ho bevuto vino rosso" - SDVQ

A bordo di un aereo sul tetto del mondo, bevo vino rosso in bottigliette mignon come le nostre ambizioni relazionali. Il nostro "amore" è una turbolenza ed ogni volta che ne vieni a contatto, vomiti nel sacchetto di fronte a te.
Io ti tengo su la fronte.
Stiamo sorvolando l'oceano di stronzate che abbiamo fatto insieme, ma ne proviamo noia. Avvisteremo tutta la terra che abbiamo calpestato per decenni, prima, poi atterreremo schiantandoci contro la realtà.
Come quando a testa in giù mi hai detto che mi amavi e ho capito tutto, ma al contrario. Le gigantesche campagne militari della nostra adolescenza e le mine antiuomo che abbiamo lasciato come ricordo nei nostri parco giochi.
O come quando mi hai somministrato ogni droga possibile mentre giocavamo al dottore del SerT e io ti ho sorriso con uno sguardo perso, paragonandoti a dio. Addio rispondevi.
La hostess ci chiede se abbiamo bisogno di qualcosa da bere avere amare e tu scuoti il capo di Vivienne Westwood che indossi sulle ossa. Al nostro primo avversario hai detto che sono out e tuo. In ogni senso, fino a perderli e svenire.
Il nostro relazionarsi soffre di disturbi alimentari e le turbe elementari che non regoliamo più ci stanno mangiando vivi. E vegetali.
Mesi prima di questa partenza, recitavi ancora. Eri recidiva. Allora ti sei disintossicata da ogni parte e io da ogni arte. Per solidarietà e solidità. E soldi.
Il palco ti stava piccolo come quell'abito nero di chissà quale stilista. Non hai più mangiato da allora. In quel periodo eravamo diabetici e ridotti all'abc. Agli acidi. Agli AC-DC.
Ho sostituito la verità dei tuoi occhi con i tuoi status su facebook e forse ora ti capisco meglio. E ora che stiamo svanendo come la scia di questo aeroplano nel cielo, la borsa dei ricordi non ce l'ho.
Abbiamo anche provato a spegnere il cervello e i motori cercando di provare a sentire ancora qualcosa tra noi.
Abbiamo anche provato a chiedere al comandante di farci pilotare il nostro rapporto oltre altri meridiani e paralleli. Che siamo due orgogliose linee rette.
Ti indico un'isoletta a migliaia di piedi sotto di noi.
Ti dico che sarebbe bello aver casa in un posto così.
Con la testa tra le nuvole rispondi,
sì, forse.

-Stralci Di Vita Quotidiana-
Mattia Barro