sabato 22 agosto 2009

REPORTAGE MUSICALE - Primavera Sound Festival, Barcellona (Spain)

PUBBLICATA SU INDIE-ROCK.IT

28-5-2009
Primavera Sound Festival @ Barcellona (Spagna) - Giorno 1

Barcellona è la città dove ogni ragazzo si vorrebbe trasferire. Sole, mare, gente positiva e molto aperta, birre a basso costo, divertimento ovunque e sempre. Una città viva che può permettersi, durante l'estate, un numero elevato di festival con generose line-up. E per questo si inizia già a maggio con il Primavera Sound Festival. Il Primavera è collocato sulle spiagge mediterranee, è formato da 5 palchi (con sfondo marino) e dura tre giorni. La birra costa tra i 2 e i 4 euro, il perimetro è immenso e c'è sempre il sole (almeno quest'anno), anche se la temperatura non diventa mai ossessiva.

La prima band che riusciamo ad ascoltare sono i Women (voto:6), di cui, da qualche tempo, si vocifera parecchio. Le trame dei loro brani sono rarefatte e spesso è lo shoegaze a padroneggiare sul palco Pitchfork. Vi è un certo distacco tra la band e il pubblico, causata soprattutto da una mancanza di personalità da parte del cantante, spesso troppo distante dal microfono per dar sfogo alla sua timbrica. Il suono dei Women è comunque di ottimo livello, supportati prevalentemente dalle grandi doti del loro batterista. Lontanamente, qualche sonorità potrebbe ricordare i Jesus And The Mary Chain o il loro limitrofo periodo storico.

Ci spostiamo per l'enorme territorio a disposizione del Primavera e ci imbattiamo nei Magik Markers (voto: 4), band che giace sotto l'ala protettrice di Thurston Moore. Dal vivo non capiamo, però, il perché di tale scelta da parte di Moore. Elisa Ambrogio (voce-chitarra) cerca a tutti i costi l'attitudine da menefreghista in una jam session ubriaca e la band si perde nei propri stessi limiti dettati dalla totale anarchia che regna on stage. "E' psicosomatico, è tutto nella tua testa", è ciò che rimbomba dall'amplificazione.

Il Primavera concede anche due piccole zone dove poter schierare alcune band in versione acustica (Ray-Ban Unplugged Stage) o in versione garage (MySpace Stage). La prima performance acustica a cui riusciamo a partecipare è quella dei Veracruz (voto: 7) che, in verità, ci lascia perplessi in quanto, sul programma principale, erano segnalati i Phoenix. Rammaricandoci per la scoperta che il programma era stato cambiato (senza avvertimenti di nessun genere per il pubblico), ci possiamo godere due brani in versione unplugged dei Veracruz, nei quali scaturisce tutto lo spirito gitano del gruppo. Il minuscolo tendone che li ospita è per la maggior parte occupato dai vari membri che regalano un suono nomade e popolare ai molti radunatosi li intorno.

Finalmente si arriva alla prima serata. E finalmente entrano in gioco i mostri sacri che, quest'anno, saranno il leit-motiv dell'edizione del festival. Sul palco principale (Estrella Damm) si presentano gli Yo La Tengo (voto: 7). Il loro tour è in supporto alla loro ultima fatica, 'Popular Songs', che uscirà tra qualche settimana. L'enorme discografia della band rende inutile l'elencare i brani in modo razionale. Gli Yo La Tengo concedono un'ora abbondante di pop songs mescolate a lunghe suite psicalediche che incantano e rapiscono la platea. Nervosismi musicali si alternano a melodie efficaci e dirette.

Ma c'è qualcosa che sembra tenere unito il filone logico del primo giorno di festival: la distruzione di una predefinita forma canzone. A dimostrazione di tale tesi, salgono sul palco (e il che è fondamentalmente una novità) i Lightning Bolt (voto: 9). Basta qualche minuto per capire di essere venuti a contatto con una delle realtà contemporanee più pazze, psicopatiche e geniali. Basso e batteria in un totale degenero sonoro difficilmente descrivibile. Brian Chippendale (batteria, urla e maschera) è un musicista incredibile. Basterebbe vedere le sue braccia che, senza tregua, colpiscono ogni tamburo possibile per capire il suo potenziale dietro alla gran cassa, ma ascoltando le sue frenetiche progressioni si percepisce di essere di fronte ad uno dei maggiori talenti moderni. Non da meno è il bassista Brian Gibson che tra effettistica e accordatura (da studiare la composizione delle corde del suo basso) dimostra di completare un duo dal potenziale sonoro unico. Forse una delle migliori performance dell'intero festival.

Altrettanto geniale, ma di genere musicale opposto è Andrew Bird (voto: 10), cantautore e polistrumentista americano. Andrew sul palco è solo. Porta con sé il suo violino, un glockenspiel, una chitarra, due microfoni e poco altro. L'oggetto più importante della sua strumentazione è però una loop station. Andrew suona tutto looppando in presa diretta. Lo si vede armeggiare con il violino in posizione classica per poi suonarlo come una chitarra, poi al microfono a registrare battiti di mani e fischiettii per poi aprire il suono con la chitarra e la sua straordinaria potenza canora. I brani trovano un'armonia incredibile e lasciano sospesa nell'aria l'anima di fronte a tale gioia sonora. Uno spettacolo magnifico. Sia visivo che uditivo. Anche qui la forma canzone viene meno, a favore di un ripetersi meccanico dei loops che, qua, trovano un'incredibile valenza umana. La musica dà vita alle macchine e ai meccanismi. Tutto diventa natura.

Non c'è tempo di riprendersi dal panteismo sonoro di Andrew Bird che già bisogna correre per le rive del mediterraneo per giungere al cospetto dei Phoenix, oramai in via di conclusione. Dopo il loro ultimo lavoro erano certamente una gruppo da vedere. Ma essendo presenti un po' ovunque st'estate, gli abbiamo preferito un poeta come Bird. Riusciamo però a goderci le ultime due canzoni 'If I Ever Feel Better' e 'Rome'. Il concerto sembra essere stato di grande impatto poiché, al nostro arrivo, troviamo Thomas Mars abbracciato dalla prima fila del pubblico che intona con lui le strofe delle canzoni della band di Versailles.

Questa toccata e fuga ci dà la scossa giusto per entrare in contatto con i veri mostri sacri della giornata, i My Bloody Valentine (voto: 8). C'è nuovo materiale da offrire in pasto agli ascoltatori e quindi ecco spiegato il perchè del nuovo tuor dei MBV (che segue quello della scorsa estate). La potenza e la completezza sonora della band sono ormai famose e assicurate. L'unica pecca è la scarsa valorizzazione causata dall'amplificazione del palco centrale che non risulta all'altezza (che condizionerà la maggior parte dei 'big'). Ma i My Bloody Valentine superano l'imprevisto, creando trame di rara (a)simmetria sonora, tra chitarre e synth, immerse in gigantesche suite shoegaze che formano un impenetrabile ed invalicabile muro del suono.

Percorriamo per tutta la sua lunghezza lo spazio del festival e arriviamo al live degli Horrors (voto: 7). Il nuovo disco ha segnato un'impronta fondamentale per il garage-punk di questi inglesi. Appena giungiamo sotto il palco, troviamo il cantante Faris Badwan che, più che pensare a cantare, è intento a litigare platealmente con il malcapitato fonico che, a parere del cantante, non riesce a modellare bene il suono della sua voce. Per attirare costantemente la sua attenzione, Badwan rivolge più volte il microfono alle casse spie, distruggendo con dei fischi clamorosi le orecchie dello sfortunato fonico con il quale il cantante viene quasi alle mani, prima di un'infinità di gesti di stizza da parte di entrambi. Superata la questione, che occupa la mente di Badwan per metà concerto, gli Horrors procedono con molti spunti interessanti ed un ottima presa sul pubblico. L'apice lo si tocca con 'Sheena Is A Parasite', manifesto di una loro certa visione di vita. Riuscissero, anche dal vivo, a superare i propri cliches, raggiungerebbero un'importante zona di rilievo nella scena musicale.

Prima e dopo gli Horrors, riusciamo però a gustarci anche un po' del dj set di Aphex Twin (voto: 7). La sua elettronica è come sempre marchiata da suoni inconfondibili. Si miscela la deep con l'electro e la d'n'b, con spunti di musica classica qua e là. Il set, per un festival, risulta forse troppo pesante, troppo torbido in alcune situazioni, anche se, tecnicamente, Aphex è impeccabile.

Arriviamo quindi, con le orecchie invase da suoni di ogni sorta, agli show conclusivi del primo giorno. Allo stage Ray-Ban (quello ufficiale) si esibiscono le scatenate Ebony Bones (voto: 6) che, già dal loro abbigliamento, mostrano una totale attitudine funny al loro show. Una sorta di CSS più dance. Ci sono balletti studiati appositamente per far muovere la folla, ritmi tribali e funky. A rovinare lo show una inspiegabile 'Seven Nation Army' eseguita in chiave tribale come bis conclusivo.

La notte di Barcellona è più fredda di quanto uno si aspetti. Bisogna indossare felpe o giacche leggere per rimanere in temperatura. O aumentare i dosaggi alcolici. Preferiamo la prima scelta (almeno questa volta), sperando di essere scaldati dal live di Squarepusher (voto: 4) (al Rockdelux). Ma bastano pochi momenti per farci rimpiangere tale scelta. Thomas Jenkison (accompagnato in questo caso da un batterista) porta on stage un set difficilissimo. Drum'n'bass acidissima, suoni scarsamente assimilabili e ritmi forsennati. Il pubblico fatica a trovare e a reggere un ritmo di tale portata e il risultato ne è una completa delusione, sospesa tra un'elettronica che nel suo tentativo di divenire nuova, finisce per rimanere sola.

Rimane qualche dj set di dubbio valore, il sole sembra voler iniziare a sorgere ed è quindi il momento di dire stop, almeno per il primo approccio al festival.


29-5-2009
Primavera Sound Festival @ Barcellona (Spagna) - Giorno 2

Le sbornie post vittoria calcistica nella Champions League (che avevano esaltato Barcellona la notte prima dell'inizio del festival) pian piano scemano. Anche gli spagnoli iniziano ad avere le forze per partecipare all'evento e il pubblico del secondo giorno del Primavera Sound aumenta vertiginosamente.

I live interessanti quest'oggi iniziano presto. Sono le sette e in alto c'è ancora un bel sole quando Natasha Khan e la sua band iniziano il loro live sul palco centrale. Bat For Lashes (voto: 8) è forse il nome che più si sta facendo spazio nei nuovi talenti emergenti e l'attesa per la sua performance è davvero alta. Natasha dimostra subito che ogni buon giudizio conferitole è più che meritato. Lo show è importante, la band riesce a ricreare le atmosfere fiabesche ed elettroniche dei due dischi. La voce di Natasha cattura la folla e la ammalia come poche altre ugole. Il concerto è emozionante e probabilmente sarebbe stato magnifico in orari successivi, in piena notte. Manca solo la luna alla performance dei Bat for Lashes.

Ci spostiamo di palco per raggiungere gli Spiritualized (voto: 7). La band di Jason Pierce si propone visivamente in un semicerchio dove ogni strumento (compreso le coriste) può trovare un ruolo da protagonista senza subire ombre. L'apice di 'Soul On Fire' innalza il livello di un live positivo e piacevole, che i più preferiscono ascoltare seduti, lasciandosi trasportare dalle melodie della band.

Ancora main stage e cambio vorticoso di registro. Arrivano gli Art Brut (voto: 8). Smagliante forma per la band londinese che crea subito una forte presa sulla gente. La voce di Eddie Argos (oggi più tranquillo e logorroico del solito) è, sfortunatamente, mal equalizzata e spesso, nei momenti di maggior tiro dei brani, viene sovrastata dai riff taglienti ed ammiccanti delle due chitarre. Divertente la spiegazione di 'Modern Art', con Eddie che simula la sua faticosa scalata nel museo di arte moderna di Amsterdam e l'introduzione del nuovo singolo della band 'Alcoholics Unanimous', nella quale Argos spiega di aver smesso di bere, naturalmente sorseggiando vino rosso. Da citare ancora gli eterni siparietti tra i chitarristi Jasper Future e Ian Catskilkin che spesso riescono, addirittura, a rubare la scena a Eddie. Gli Art Brut dimostrano, per chi ancora avesse dubbi, di essere puri animali da palco. E' un piacere vederli ciclicamente sui quelli d'Europa.

Sfortuna vuole che di Sunn O))) (s.v.) riusciamo a sentire solo i minuti finali, minuti nei quali un muro di droni riempiono l'aria. Incappucciati e immersi nel fumo, ci conducono ad una realtà apparentemente malvagia e macabra.

Da citare anche i Crystal Antlers (s.v.) che, da lontano, (tempo che arriviamo al loro palco, il concerto si conclude) appaiono un gruppo da tenere in forte considerazione.

Ci si sposta al palco centrale per assistere al live del paladino del pop inglese, mister Jarvis Cocker (voto: 8). Il fascino di Jarvis è conosciuto e risaputo. La presa sul pubblico è figlia di una carriera importante. Il nuovo disco di Cocker suona davvero bene e i brani scelti hanno un ottimo riscontro. Jarvis, a tratti indemoniato, si esibisce in balli di ogni sorta, scatenandosi su e giù per il palco. Nuovi e vecchi brani si mischiano e a tratti ci si emoziona in ballate pop tipicamente inglesi o in schitarrate da pop-rock anglosassone. Si conclude con 'You're In My Eyes' che, come inserito a parentesi a seguito del titolo, è una 'discosong'.

I Saint Etienne (voto: 6) propongono la loro lunga carriera dance pop (oramai ventennale) con un live allegro, ma, per i non amanti, davvero difficile da reggere nel complesso.

Pareri discordanti invece sugli Shellac (voto: 5). C'è chi li osanna e chi, al contrario, ne rimane di idea opposta. Noi ci appostiamo sulla seconda. Gli Shellac sembrano una band piena di idee con difficoltà nell'applicarle. Più o meno lo stesso problema che ha una giovane band nella propria sala prove (sebbene gli Shellac siano tutt'altro che alle prime armi).

Conclusione della serata sul palco principale è affidata ai Bloc Party (voto: 7). Kele si presenta con shorts di jeans, camicia folk H&M e cappello trucker. A differenza della maggior parte delle esibizioni dei quattro inglesi, Kele e compagni mostrano un attitudine più funny e umana sul palco. Non sono più la statica band meccanica di inizio carriera, ma, anzi, questa volta, sono circondati da un mood molto tranquillo e divertito. Da qui deriva anche qualche errore (Kele non usa perfettamente la loop station in 'Mercury' perdendo il tiro del brano). Si capisce, ascoltando l'intero concerto, che i brani dell'ultimo disco non riescono ad avere, nella versione live, il tiro dance che dovrebbero. Anche il pubblico pare di questo parere, e naturalmente le maggiori ovazioni le si ritrovano nei brani di inizio carriera.

Provati da un correre continuo tra i cinque palchi, decidiamo di rientrare per risparmiare le energie per l'ultimo lunghissimo giorno di festival.


30-5-2009
Primavera Sound Festival @ Barcellona (Spagna) - Giorno 3

Terzo e ultimo giorno del Primavera Sound. Il sole è ancora caldo e la stanchezza inizia ad accumularsi. E' sabato pomeriggio e la notte è ancora lontana dall'essere vissuta. Ci presentiamo al parco del forum intorno alle 20, giusto il tempo di vedere la conclusione di un mine live dei Black Lips (s.v.) al palco gestito da MySpace. Un paio di riff decisi, un buon ritmo ed è già tempo di dirigersi al live dei Plants & Animals (s.v.), anch'essi in dirittura d'arrivo.

Il primo show segnato sui nostri taccuini è quello degli Herman Dune (voto: 8). La band francese, oramai forte di una sicura e valida discografia, concede il proprio sound dando le spalle al magnifico panorama visivo del mare di Barcellona. Il folk dei due fratelli Ivar diverte e compiace il pubblico presente. Il clima è sereno e sembra disegnato appositamente per il loro live.

Si rimane sulla scia del folk, tornando proprio alle radici di tale genere, con uno dei suoi massimi esponenti, Neil Young (voto: 8). La cornice di pubblico è magnifica. Tutti i presenti al festival sono radunati sotto il palco principale (non ci sono altri concerti in concomitanza), chi in piedi e chi, invece, seduto sul cemento o sul prato adiacente. Migliaia di volti e vestiti vengono trapassati dalle parole del cantautore canadese. Si passa dai brani più country a quelli più rock con disinvoltura, Neil è pieno di energie quest'oggi. Si muove molto sul palco, indemoniato come un ragazzino di fronte alla sua prima folla immensa. Un'ovazione di pubblico gigantesca per uno dei re della scena musicale mondiale.

Dopo questo immenso bagno di folla, decidiamo di andare a rifocillarci dall'altra parte del forum, incontrando, piacevolmente, gli Oneida (voto: 7). Tra un morso e l'altro possiamo goderci il sound della band newyorkese, il quale spesso ricorda quello dei loro concittadini Battles, limitando la parte elettronica in compenso di una maggiore propensione al rock.

Veloce spostamento di palco ed eccoci al cospetto dei Liars (voto: 8). La band americana ci introduce attraverso le proprie melodie articolate e dissonanti, idee sonore intelligenti e spesso imprevedibili. Con il cielo che si fa buio e le atmosfere sempre più rarefatte, i Liars colpiscono il pubblico che spesso esplode in vere e proprie ovazioni di stima. Ritmi forsennati, ossessività.

Ma la portata principale di questa ultima giornata di festa è però altro. Palco centrale, mezzanotte passata, Sonic Youth (voto: 8). La tournée è di supporto al loro ultimo lavoro, il tanto chiacchierato ritorno all'indipendenza discografica, dopo l'abbandono della major. E siamo di nuovo di fronte ad un monumento. Ad un mito. A qualcosa più grande di noi che difficilmente si può spiegare a parole. I Sonic Youth sono parte integrante della storia della musica. Sono il modello di riferimento di un numero spropositato di band che sono nate e cresciute negli ultimi vent'anni. Sono il noise, il punk-rock, le musicassette. Sono il significato della parola indie, ora più che mai. E a noi non ci resta che rimanere a farsi travolgere dalla storia.

La notte inizia a farsi spazio con più prepotenza, le band vengono quasi tutte congedate a favore dei dj set. Si inizia con i Simian Mobile Disco (voto: 7) che miscelano un'elettronica di buon gusto alle loro produzioni, oramai conosciute ovunque. Risuona l'oramai classico 'It's The Beat', ad esempio.

L'ultima band che riusciamo a seguire sono i Black Lips (voto: 7), i quali si esibiscono alle 3 sul palco Rayban. Avevamo già avuto il piacere di vedere la loro grinta e la loro attitudine sul palco al FIB dell'anno scorso. Questa è l'ennesima dimostrazione di valore dei cattivi ragazzi americani. Un concerto tirato che riesce a smuovere le ultime forze del pubblico oramai stremato da stanchezza e alcool.

La conclusione del festival e affidato ai dj set di A-Trak e DJ Mehdi, che dalle 4 del mattino fino all'alba propongono il loro misto di french touch e ghetto house, consumando definitivamente le Converse della maggior parte dei presenti.

L'alba fa capolino al di sopra del mare, gli occhiali dalle borse ritornano sopra il naso e la security ci invita ad uscire. Si capisce che è la fine. Con in sol sopra ad allungare le nostre ombre.

Mattia Barro

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