sabato 22 agosto 2009

REPORTAGE MUSICALE - Eurockéennes Festival, Belfort (France)

PUBBLICATA SU INDIE-ROCK.IT

3-7-09
Eurockéennes Festival @ Belfort (Francia) - Giorno 1


Francia dell'est. Quella al confine con la Germania, appena sopra la Svizzera. La famosa regione dell'Alsazia, celebre più che altro per i suoi continui passaggi postbellici tra Germania e Francia. E' inizio luglio e si sta bene. Il caldo non è torrido e le nuvole fanno addirittura immaginare futuri acquazzoni. L'Eurockeennes è collocato in un piccolo lembo di terra che si immerge nelle acque del lago di Belfort. Si dilunga per tre giorni. Propone, per ogni serata, headliners di diverso genere: Prodigy, Kanye West e Slipknot. In mezzo qualche perla, circondata da tanti tanti tanti artisti francesi.

Menzione particolare va subito fatta sull'ambiente, sull'atmosfera. Il clima generale è da sagra del paese. Fa subito strano notare come siano praticamente assenti gli stand di etichette discografiche (o di qualsiasi cosa si avvicini alla musica). Gli stand sono prevalentemente dedicati al cibo, ai vestiti di dubbio gusto e ai venditori di orecchini, cartine, bongs. Fa strano, in particolar modo, vedere la totale assenza di una qualche popolazione indie. In quantità centellinata si avvistano Wayfarer, Converse e skinny jeans. La gente è composta prevalentemente da persone normali, prive di una anche minima estrosità estetica. Fa paura, invece, la forte presenza di tamarri di ogni genere, giustificata dal basso costo del festival (85 euro l'abbonamento ai tre giorni) e alla presenza, nella prima giornata, dei Prodigy.

In maniera molto semplice riusciamo a raggiungere in macchina Belfort e il suo festival, grazie ad un'ottima segnaletica stradale. Sfortunatamente, parcheggio e camping sono a distanza chilometrica dall'area concerti e quindi bisogna utilizzare le apposite navette per raggiungerla. Bastano poi due passi all'interno di tale area per capire che sarà molto difficile la comunicazione. Gli addetti al rilascio di biglietti e accrediti non spiccicano una parola di inglese e bisogna comunicare con loro in modo primitivo. Ciò rimarrà un problema anche per i giorni a seguire, in quanto nessun partecipante o addetto ai lavori pare conoscere una lingua diversa dal francese (quando si chiede "One Beer", si viene scrutati come marziani). La zona dedicata ai concerti è formata da quattro palchi, di cui uno coperto. Il numero elevato dei partecipanti crea a volte difficoltà negli spostamenti tra i vari palchi, ma, saltato questo ostacolo, la logistica non risulta un problema.

Il primo show che abbiamo segnato in agenda è quello di Emiliana Torrini (voto: 8). La cantautrice islandese ci allieta, anche questa volta, con la sua voce e il suo particolarissimo accento, creando, anche in pieno giorni, emozioni vive. La scaletta è composta dai principali brani dei tre suoi ultimi dischi, raccogliendo a sé i percorsi della carriera musicale di Emiliana. Manca forse una certa intimità al tutto. Vi è della dispersione di troppo, sia per il molto pubblico non troppo attento, sia per il sole ancora alto e caldo.

La programmazione è molto delineata e non c'è molta competizione tra i palchi. A volte, ci si ritrova con un solo palco a disposizione e tutti i presenti vi si affollano costretti. E' questo il motivo principale del pienone riscosso dai Las Wampas (voto: 4), patetico gruppo formato da vecchietti al limite del ridicolo tra jeans attilati rosa, magliettine e petti nudi. La musica è una sorta di rock 'n' roll in chiave dance gay che annoia. Potremo compararli ai Rolling Stones, ma solo per via dell'età.

Fuggiti da questa performance abbiamo la fortuna di ripararci con Oxmo Puccino (voto: 8), rapper francese, seguito dalla sua band. Il rap di Oxmo è molto passionale, molto vicino al pubblico. Non cade nei tipici cliché dell'hip-hop d'oltreoceano. I francesi (difficile scovare altre nazionalità) lo amano e ne cantano ogni strofa, spesso prive di difficile metriche, ma a favore di messaggi concisi e diretti.

C'è tempo di girare un po' nel negozio Fnac (con ottime promozioni) e nell'unico stand di un'etichetta (Les Boutiques Sonores) prima dell'inizio dello show degli Yeah Yeah Yeahs (voto: 9). La band newyorkese dà il massimo. Il pubblico è fuori di testa. Karen O si agita più che mai e a volte gli scappa un sorriso emozionato nel vedere la gente così coinvolta. Addirittura fin troppo. Anche nei brani più lenti si vedono ragazzi catapultati sopra le nostre teste e tentativi di pogo. La scaletta per un'ora di fuoco è studiata con dovizia, miscelando quanto ti meglio è stato prodotto dalla band nei proprio tre album. Un live tirato, diretto.

Aggirandoci ancora per la location del festival, ci imbattiamo nel live dei We Were Evergreen (voto: 8) nello stand della Sfr. Il trio francese, che canta in inglese, propone un educato folk che trova la sua forza nelle trovate più giocose e nell'alternarsi della voce maschile con quella femminile. Da trovare, scovare ed ascoltare.

Sul palco principale è tempo dei Cypress Hill (voto: 7), band confermata in extremis. E' forte la comunità hip-hop all'interno del festival che trova vari suoi rappresentati nei tre giorni. Ma i Cypress Hill subiscono la mancanza di una minima conoscenza dell'inglese e spesso gli inviti di B-Real si perdono nella collinetta di fronte a lui. Il coinvolgimento dal palco è alto e quando si riesce a trovare un compromesso con la folla, il risultato è esplosivo. A causa di questo decifit di comunicazione, lo show rimane complessato e sottotono.

Dall'altra parte della piccola penisola, sul palco posto sulla spiaggia si esibisce Alela Diane (voto: 7). Il folk della giovane californiana è conciso e nella forma chitarra-voce, Alela riesce ad emozionare profondamente. Non riusciamo a seguire completamente il live, penalizzato forse solo da una certa staticità stilistica.

Un ascolto rapido è quello che concediamo ai Kills (voto: 6) che, confermando quanto visto al FIB di Benicassim dell'anno scorso, dal vivo rendono veramente poco. Il minimo sindacale per una band di cui si parla sempre molto.

Toccata e fuga anche per i Naive New Beaters (voto: 8), che con il loro electro rock mescolato al rap, compongono ottime strutture rendendosi ballabili ed apprezzabili. Buone vibrazioni.

L'attenzione è tutto per il main event della serata: i Prodigy (voto: 10). Un live dei Prodigy è come ognuno di noi lo immagina. Potente, devastante. Un acido sonoro lungo un'ora e mezza. Maxim, durante l'esecuzione di 'Smack My Bitch Up' riesce a far sedere tutti i presenti (40mila?) per fare esplodere il loro urlo nel momento dell'attacco del "ritornello". E' un'esperienza mistica. Una sorta di Trainspotting emotivo. La lista di trip elettronici è infinita. La drum 'n' bass si mischia alla techno, al rap, all'electro e la band (perchè i Prodigy aumentano a livello numerico nella sfera live) riesce a creare un flusso sonoro penetrante. Impagabile.

Riprendersi da un concerto come quello dei Prodigy non è facile. Tutto, dopo, può sembrare debole. A sfatare subito quanto detto, invece, ci sono le due band di chiusura. Da una parte i Ting Tings (voto: 8), più in forma che mai. Il duo inglese oramai gira i palchi da qualche anno. Katie White è una catalizzatrice d'attenzione affermata. Ogni suo movimento è guardato ed amato dalla platea. Non da meno è De Martino, che si permette pure una sorta di mash-up tra varie canzoni (compresa la sigla di 'Ghostbusters') giocando con una tastiera con loop station. Ottima anche l'impressione sui nuovi brani, rodati sull'esaltato pubblico francese. Inutile confermare che i vari singoli sul dancefloor hanno un effetto potentissimo.

L'ultima performance (è vero, ci sarebbero anche Diplo e i Crookers in contemporanea) è affidata ai casalinghi Kap Bambino (voto: 8). Conosciuti da noi per aver attraversato più volte la penisola italiana, il duo francese si esibisce in uno show durissimo. Electro-punk misto hardcore da far tremare le orecchie. Caroline Martial è un animale da palco. Poco dopo l'inizio si aggira scalza per il palco completamente svuotato da ogni strumento. Sale sulla schiena degli uomini della sicurezza e si fa scorrazzare vicino alle transenne fino al suo tanto acclamato stage diving in cui cade in pasto ad un pubblico esaltato e feroce. Un live che ha la fortuna di trovare nel suo orario (le 3 di notte) un'atmosfera incredibile.

Usciamo dal festival rintronati ancora da Caroline e da 'Day 'n' Nite', proposta dai Crookers, ultimi rimasti ad esibirsi. La coda per le navette è infinita e la notte è oramai nel suo pieno splendore.


4-7-2009
Eurockéennes Festival @ Belfort (Francia) - Giorno 2


Decidere di passare la notte (ma poi praticamente la mattina) in macchina, in una delle tante pianure dell’est Francia, esposti al sole e con migliaia di altri sventurati compagni di avventura, porta come risultato una stanchezza impareggiabile. Il festival, per il suo secondo giorno, ha in serbo qualche bella perla.

Iniziamo con il folk rock di Sophie Hunger (voto: 7), cantautrice svizzera. Il suo repertorio è molto classico, a volte un po’ troppo rigido. Quando, invece, si lascia andare, i brani trovano uno sviluppo molto nervoso che riesce a strappare una personalità di Sophie tenuta per la maggior parte del tempo all’oscuro.

Per gli Answer (voto: 4) non spendiamo troppo tempo. E’ rock. Ma quello di più di trent’anni fa. Fatto come quello di più di trent’anni fa. Anzi, fatto peggio. Non c’è originalità e non ci sono tentativi di rendere fresco un genere che suona da decenni. Si passa dai tre accordi, a dell’hard rock scontato. Una band inutile in questi anni.

Sorpresa piacevole è, invece, il trio svedese Peter, Bjorn & John (voto: 8), interpreti di un pop rock dalle varie chiavi sperimentali. Conosciuti ed esplosi con il singolo 'Young Folks', alle spalle hanno però una carriera decennale. E lo si nota particolarmente dal modo in cui Peter si agita sul palco e davanti alla platea, catturata dalle sue buffe movenze colorate dall’azzurro acceso del suo vestito. Una prova decisamente valida, con alcuni brani capaci di stupire soprattutto nella sezione ritmica di John e che, a volte, intraprendono paradossalmente strade al limite del country-rock.

Snobbiamo il sempre noiosissimo Tricky (voto: 5), che non scende dal palco neanche dopo l’ora e mezza attribuitogli, per tentare di scoprire il valore di La Roux (voto: 6). Ammettiamo che una certa confusione si crea nel capire che La Roux non è lei, Elly, la rossa cantante, ma un duo, anche se sul palco si presentano in quattro. E ammettiamo una certa confusione del pubblico nel capire che il duo non è francese, ma totalmente british. A parte ciò, il concerto dei La Roux non è niente di che. Ma davvero niente di che. Elly Jackson non ha personalità e l’electropop made in '80s della band si perde in un’ora di cover di un tempo passato. Elly passa metà dello show dando le spalle al pubblico e lei, come la band, sembrano usciti per direttissima da una qualche copertina di 'Dazed & Confused'. Il live è però pulitissimo, nessuna sbavatura. Quasi una innaturale ri-rappresentazione del disco. Musica senz’anima.

Mezz’ora prima del concerto di Doherty, decidiamo di sdraiarci vicino al palco a riprendere le forze. Tempo di sedersi e sul palco spunta proprio Peter, che inizia a lanciare birre al pubblico. Svuotata un’intera cassa frigo, scompare nuovamente dietro le quinte. Poco dopo è tempo del vero show di Peter Doherty (voto: 8), che si presenta solo con la propria chitarra (come a Milano tempo fa), il solito cappello e si mette a suonare. Suona tanto e di tutto. Si passa dai brani dei Libertines ('Time For Heroes', 'Can’t Stand Me Now' e molte altre), a quelli dei Babyshambles ('Delivery', 'Albion', ma non 'Fuck Forever'), alle cover ('Waterfalls' degli Stone Roses e 'Billie Jean' di Micheal Jackson), ai nuovi brani del suo disco solista. Ma Doherty risulta tutt’altro che il fiacco leader strafatto degli anni passati. Sa come suonare, sa cosa cantare, sa fare ciò che deve fare. Il suo forte carisma da idolo adolescenziale riesce a funzionare e mostra Peter in una veste che sembra calzargli a pennello, un cantautore moderno capace di creare inni giovanili. Il live si conclude con un duetto con Tricky facilmente evitabile: basta dire che Tricky non sa le parole della canzone e che, quindi, non canta praticamente mai.

Per continuare sulla strada di un festival altamente hip-hop, l’headliner di questa sera è Kanye West (voto: 9). E Kanye si dimostra un vero headliner. Un leader. Metà delle produzioni sono suonate, metà computerizzate. Kanye canta e rappa aiutato da vari coristi, agitandosi sull’enorme palco a sua disposizione. Interessante la decisione di strutturare la scaletta con un inizio composto da un medley dei suoi primi singoli di successo 'Through The Wire', 'All Falls Down', 'Homecoming', per poi lasciare gran spazio ai nuovi brani più elettronici come 'Love Lockdown' e gli altri singoli del suo ultimo lavoro. Intermezzi dalla forte carica come 'Jesus Walks' registrano una profonda tensione emozionale. Kanye sul palco padroneggia, fino ad un quasi delirio di onnipotenza quando, on stage, salgono cinque ballerine seminude e dorate che si dispongono immobili come un altare in suo onore. Una performance che conferma Kanye West come artista a tutto tondo. Uno dei pochi casi in cui un rapper riesce a scardinare la gabbia che si è auto-imposto e riesce a girare liberamente nel mondo della musica. La conclusione ne è manifesto: 'Stronger'.

Da un finale elettronico ad un set elettronico. Ecco il nuovo pupillo del french touch: Yuksek (voto: 8). Attorno a lui sono disposti computer, sintetizzatori, vocoder, mixer. Il set si compone a metà tra suonato e registrato. Il live è una forza elettronica che fa saltare tutti i presenti, fino ai più stanchi, come noi. Non c’è molta novità, anzi, molto si è già sentito in dieci anni di scuola francese, ma fa piacere l’alta qualità delle produzioni e la capacità di far ballare.

Ultimi ad interessarci sono i Friendly Fires (voto: 8). In Italia sono usciti con una hit da dancefloor come 'Skeleton Boy', in Inghilterra si son già fatti strada e in Francia sono famosi per la loro 'Paris' con le Au Revoir Simone. Il live è divertente, allegro, ritmato. Le sezione di batteria e percussioni aggiunte contemplano sia il mondo della classe dritta, sia quello dei ritmi tribali. La chitarra è tagliente e fa capolino con sferzate nervose e inusuali. La massima espressione della band, però, si registra nell’esplosione dei ritornelli in cui si viene a creare un’atmosfera unica, onirica. Sfortuna vuole che la chitarra negli ultimi due brani smetta di vivere. Ciò costringe il chitarrista a munirsi di maracas e di gettarsi sul pubblico in delirio. E il nostro Eurockeennes finisce qui.

Il terzo giorno vede in cartellone Mos Def, Slipknot, Phoenix e poco altro, ma oramai noi abbiamo deciso di rientrare in Italia e lasciarci dietro queste pianure francesi costellate da case minuscole.

In conclusione, un festival che per noi, non-francesi, è difficile da percepire come uno vero e proprio: quest’aria da sagra di paese permane per tutti i giorni. Ma, non facendo caso a ciò e all’eccessiva vitalità del pubblico, è un festival che può regalare ottimi live, soprattutto grazie a orari molto ben delineati e ad un’alta qualità della line-up generale.


Mattia Barro

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